L'uomo e le parole di Magia

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C'era una volta un uomo che non sapeva parlare alle persone: nessuno lo capiva, tutti volevano solo litigare con lui! L'uomo sopportò questa sua condizione per gli anni migliori della giovinezza e dell'età adulta, e solo in età matura si decise a recarsi oltre monti e valli, miglia e ruote al santuario del demone Anajima.

"Dammi potere sugli altri!" gridò l'uomo irrompendo nel tempio, ai marmi neri e rosa della Provincia di Shaotel, alle mattonelle di giada al suolo e alle sculture di cornalina che ornavano l'altare. Oltre la porta degli spiriti, che apriva la parete posteriore del tempio, l'acqua del lago sacro era immota.

"Usa questa parola" disse allora un vecchio, apparso forse per magia o forse per celìa (o magari era già lì), e accostò le labbra alle orecchie dell'uomo. Il vecchio parlò e l'uomo sorrise maligno.

"Bene, vecchio!" rispose e fece ritorno in fretta, oltre ruote e miglia, valli e monti alla città di dove veniva: in fretta tornò perché voglioso di usare la magia, e quando alfine giunse, per un anno intero usò la parola imparata al santuario del demone Anajima, e la parola gli diede potere sugli altri inducendoli a fare ciò che voleva (purché non la chiedesse troppo grossa!) dandogli così la felicità che tanto bramava.
             
          
            
Un anno passò dunque, e il potere della parola s'indebolì; l'uomo - che nel frattempo aveva incontrato una compagna - riprese ad essere malvisto, perché per qualche motivo la parola non sortiva più effetto. Ripresero le questioni. Ripresero i litigi. La compagna tollerò finché poté, e poi lo lasciò.
Reso folle dal dolore l'uomo ripercorse monti e valli, miglia e ruote verso il santuario del demone Anajima; lì giunto spalancò il portale e gridò: "Dammi ancora potere sugli altri!".
Così gridò iroso, ai fregi d'oro puro che bordavano cornici di diaspro, al colonnato di pietra ambrata dello Guoshai e al suo soffitto lucido ed eburneo. Sull'altare le fiammelle delle candele erano ferme.

"Usa questa parola" disse allora il vecchio, apparso nuovamente, forse per diletto o forse per dileggio (o magari per ciò che, dappertutto e con molti nomi, viene chiamato Ka), e accostò le labbra alle orecchie dell'uomo. Il vecchio parlò e l'uomo raggiunse l'illuminazione.

"Bene, vecchio" rispose e fece ritorno lentamente, oltre ruote e miglia, valli e monti alla città di dove veniva: lentamente tornò perché desideroso di meditare su quanto aveva appreso, e quando alfine giunse, egli continuò a meditare per tutto ciò che rimaneva del suo tempo, con la compagna ritornata, continuando ad usare le parole di magia imparate nel santuario del demone Anajima. Con saggezza e non con ingordigia stavolta, perché al santuario l'uomo aveva raggiunto l'illuminazione.

E le parole che il vecchio - che vecchio non era, ma demone - gli aveva insegnato, erano per favore e grazie.

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