Eugenio per buona parte della vita visse in una casetta di legno sulla sommità di una collina, a qualche chilometro da Ventimiglia, e sotto lo sguardo senza passione delle alpi Marittime.
Per giungere, o anche solo per intravvedere la casa, era necessario risalire uno stretto quanto tortuoso sentiero, battuto più dalle orme che da una vera e propria strada.
Mentre lo si percorreva, si veniva abbracciati da entrambi i lati del sentiero da un fitto bosco, composto dalle più svariate specie della regione. Pini silvestri, castagni dal tronco bruno tessuto a forme spiraleggianti, alberi di larice e da eucalipti. Le chiome erano così alte e intrecciate tra loro, che i passanti non potevano fare a meno di pensare che una porzione della notte fosse stata rapita e ingabbiata per sempre dentro quel sentiero.
Quando si abbassava lo sguardo, s'incrociavano erbacce spontanee, ortiche, arbusti come il ginestro e l'alaterno, e rampicanti d'ogni tipo. Era anche possibile scorgere di qua e di la delle piante di alloro che donavano all'intero bosco un odore ad arcana fantasia.
Quando si arrivava alla fine del sentiero, si apriva un grande giardino botanico ripieno di fiori e piante d'ogni parte del mondo.
Era stata Giulia, la moglie di Eugenio, a seminarle e mantenerle in vita.
C'erano piante tropicali come palme, banani, avocadi, agale- dalle forme sotterrate di un ananas gigante-, euforboie. Cactus provenienti dal Messico e dal Perù; dei piccoli sentieri zen tappezzati da fiori di loto rossi e bianchi; aiuole di narcisi sparsi tra una quercia e l'altra, e altre aiuole di rose rosse, gialle e nere.
Era un'oasi ben protetta da un fitto bosco dove uccelli, innamorati e poeti potevano trovare un valido rifugio, grazie allo sguardo complice e comprensivo di Giulia, e anche - perché no?- allo scarso interesse che Eugenio nutriva per la proprietà privata.
La casa venne eretta quando la coppia aveva poco più di trentacinque anni. Interamente in legno di larice proveniente dai boschi sottostanti.
Fuori, era circondata da una veranda con sedie a dondolo. E quando si raggirava il perimetro della casa; in molti rimanevano sorpresi nel vedere ch'era stata costruita a pochi metri da un precipizio; che divideva la collina dalla fiancata delle alpi marittime.
- questa è stata la mia unica richiesta- spiego Eugenio a Fatima molti decenni dopo la costruzione della casa- il fatto di poter costatare quanto piccolo e fragile sia il mio corpo nei confronti del vuoto, mi ha sempre sollecitato lo spirito-
Attraverso una scala esterna, era possibile accedere ad un ampia balconata appositamente creata per ospitare cene e godere della pace di montagna, e da dove, era possibile aprire lo sguardo fino a quell'infinito sulla terra che qualcuno ha cercato di ingabbiare con il nome di mare.
Dentro la casa era piccola; giusto lo stretto necessario.
Un salotto ad accogliere, un bagno, una camera da letto, una cucina e uno studio.
Il salotto era la stanza più ampia della casa. La parete destra era interamente ricoperta di libri, da una scrivania e una sedia, in modo che Eugenio potesse svolgere i suoi studi di storico.
Mentre Giulia, che di lavoro faceva l'intagliatrice di candele, fin quando da bambina, immergendo il dito nella cera calda , non rimase affascinata nel mirare che qualcosa di così volubile come una candela potesse contenere qualcosa di così puro come il fuoco, decise di riempire la parete sinistra di candele appositamente lavorate da lei.
Alla fine di molti pensamenti e ripensamenti finì per costruire una piramide variopinta composta da decine di candele dove la base percorreva tutta la lunghezza della parete, mentre il vertice toccava l'esatta metà del soffitto. Alcune candele raffiguravano estesi paesaggi stilizzati, altre le venature di una foglia, altre ancora i volti di ogni razza del mondo. Ma se una cosa le accomunava tutte, era la straordinaria cura e precisione con cui erano state lavorate, tanto da renderle famose in molte parti del mondo.
La quarta parete, quella che si vedeva davanti quando si entrava, era una vetrata unica. Attraverso la quale era possibile contemplare un ruscello che spuntava da una fessura nella montagna, e che, prima di cadere nel burrone sottostante, aveva l'abitudine di rivestirsi di giallo, arancione e rosa a seconda degli umori del sole.
Nella vetrata ricadevano dei rampicanti; tra cui la passiflora, in cui crescevano fiori dai petali neri e azzurri di una bellezza senza tempo.
Non mancarono neppure gli animali. Cani, gatti, pappagalli e altri ancora popolarono e presidiarono la casa e i suoi dintorni. Erano belle e divertenti le scene in cui Eugenio inseguiva il cane perché questo gli aveva rovinato qualche libro, che a sua volta abbaiava contro il gatto, che dall'alto di qualche sistemazione provvisoria, manteneva pronto l'agguato contro gli uccelli che svolazzavano per casa.
Furono tempi felici che ebbero la loro fine.
In seguito allo scorrere degli anni e delle decadi, dopo la morte di Giulia e l'arrivo di Eusebio in quella stagione della vita chiamata vecchiaia; la casa cambiò radicalmente.
I fiori nel prato divennero polvere, e di quelli ch'erano stati tenuti dentro casa, non rimase che la memoria dettata da qualche vaso vuoto.
Tutte le piante morirono tranne quelle che riuscirono a pensare al proprio sostentamento. Gli animali scomparvero non appena videro che l'oasi divenne sterile. I poeti, che un tempo brulicavano come api, sparirono non avendo più la scia dei fiori a dettare loro i versi. E gli innamorati, che di poco s'interessano dove prendano luogo le loro discussioni, sparirono a loro volta, non avendo più il ristoro offerto da Giulia a base di acqua, chiacchere e paesaggi.
Il bosco, che Giulia s'assicurava di delimitare, dopo la sua morte avanzò sempre più vicino a casa sotto forma di erbacee, arbusti e ortiche che inghiottivano e abbruttivano tutto ciò che trovavano al proprio passaggio.
Dentro; la polvere era ovunque, e il profumo d'una volta mutò in odore a chiuso, vecchiaia e solitudine
- In fin dei conti la polvere non ha mai ucciso nessuno, e, tra le altre cose, è silenziosa; non disturba- disse Eugenio, giustificandosi, alcuni anni dopo, davanti a Fatima.
Perfino la vetrata, bella e lucente in altri tempi, divenne sporca, ricoperta di muschio, liane sterili, merda di uccello, vespai e quant'altro la natura ritenesse necessario farvi crescere.
Eugenio oltrepassata la settantina d'anni non fu più l'uomo maliardo e ,nonostante tutto, disinteressato. Divenne un anziano con il viso asciutto e le ossa ben visibili. Con pochi capelli nel capo, le orecchie grandi e pelose, il naso schiacciato e le labbra secche.
Tutto nel corpo era scolorito e affaticato dallo scorrere del tempo; tutto tranne i suoi occhi. Quelli, possedevano ancora una certa volontà di vivere, nonostante fossero attraversati dalla vena malinconica dell'uomo che trae nutrimento dalla propria solitudine.
Di certo la solitudine era un tratto del carattere che si portava appresso dalla più giovane età. Forse sviluppato durante le scuole elementari, quando tutti lo prendevano di mira per la sua statura minuta, la fronte ampia e la personalità antisportiva. O forse a seguito delle giornate solitarie passate a leggere storie di altri mondi. Ciononostante, quella non poteva essere una scusante e doveva ammettere a se stesso, che ormai lo spirito solitario, che lo aveva contraddistinto tra tutti i giovani agli occhi di Giulia, s'era andato irrimediabilmente inaridendo sino a diventare un puro eremitaggio dentro se stesso; che da niente e nessuno voleva sapere del mondo esterno se non da quello che fosse stato scritto tra le righe di un libro.
Di fatto, quando scendeva a Ventimiglia le uniche parole le scambiava con il fornaio, il fruttivendolo e occasionalmente con il macellaio, prima di fare ritorno a casa e sedere alla propria scrivania.
A onor del vero, è giusto aggiungere che neppure gli abitanti della città volevano avere a che fare con Eugenio. Quel modo solitario e brulicante di parole incomprensibili, che secondo alcuni era il chiaro segno della decadenza, spaventava i bambini. E poi aveva quel modo di vestire, sempre uguale; sempre in nero, ch'era ritenuto un poco irrispettoso dalle comare di paese
- Come se fosse sempre in lutto,-
Per giunta, le conferenze che teneva durante l'estate a proposito di altre epoche, ormai annoiavano la maggior parte delle persone, ed erano tacciate come un'inutile occupazione dello spazio pubblico.
Altri ancora, si chiedevano come Eugenio facesse ad essere ancora in vita. La pelle bianca fino all'inverosimile, le vene blu ben pronunciate nel collo e nelle tempie, il corpo magro che ci starebbe stato due volte dentro la giacca nera, e il passo malfermo davano molto su cui speculare alle voci di paese
- Solitamente un aspetto così c'è l'hanno i morti durante la veglia funebre,-
In alcuni circoli di vecchi amici, si arrivò perfino a scommettere quando sarebbe giunta la sua ora. E quando alla mattina non lo si vedeva passare, si incaricavano un paio di bambini di salire in collina e controllare se fosse ancora vivo o morto
Dalla lettura dell'9 novembre 1992:
Gilgamesh, dove stai andando?
La vita che tu cerchi, tu non la troverai.
Quando gli Dei crearono l'umanità,
essi assegnarono la morte per l'umanità,
tennero la vita nelle loro mani
" La saga di Gilgamesh"
Eugenio era cosciente della propria reputazione tra la gente- era un uomo acuto ed intelligente- ma non avrebbe smesso di indossare il lutto e avendo trovato il modo per sopraelevarsi ai propri anni, non si preoccupava più della morte e, a tal punto, che perfino la morte sembrava aver smesso di occuparsi di lui.
Ma se anche non aveva paura del futuro, della morte e dell'eterno, aveva il timore- quasi morboso- di non lasciarsi sfuggire il momento presente e di poterlo stringere tra le mani con tutta la considerazione e la premura di un uomo che conosceva a fondo l'irreversibilità del tempo.
Per questo, venuta la sera si alzava dalla scrivania, e non avendo nient'altro da fare, andava a sedersi nel sofà e stava ben attento a che ogni secondo seguisse ordinatamente quello successivo, che non ci fossero accavallamenti o raggiramenti tra l'uno e l'altro, e che tutti rispettassero la legge a loro imposta.
Quando si stancava di contemplare , si alzava e incominciava a inseguire i secondi per la camera da letto,il bagno, lo studio, con la stessa dedizione e pazienza con cui un naturalista insegue le farfalle in un immenso spazio verde.
Allorché, riuscendo ad afferrarne uno; se lo rigirava tra le mani. Esaminandone il capo e la coda; sentendone il palpito interno, l'irrefrenabile voglia di andarsene e soprattutto arrivando a scorgere tutta la vacuità che si apriva tra un'istante e l'altro.
Oscuro intervallo questo, composto dall'irrilevanza stessa della vita, che con gli anni aveva imparato a riconoscere, accettare e riempire con molte faccende; ma che con la morte di Giulia e il sopraggiungere della vecchiaia, non fu più in grado di arginare.
Ritrovandosi a camminare su di una esistenza dove l'istante perdeva, sempre più spesso, tutta la sua impalcatura.
Dopo, andava in camera a coricarsi su di un letto dove gli era possibile posare le fatiche della giornata e, in seguito, raggiunta una certa quiete interiore, ad ascoltare il riverberio dell'universo.
Dalla lettura del 8 aprile 1973
Colui che ha visto le cose di oggi, ha visto quello che nella perenne durata dei tempi già avvenne, e tutto quello che sarà nell'infinito futuro.
In tutte le cose unico è il genere ed uguale la specie.
( Rivolgi spesso la mente alla concatenazione di tutti gli eventi del mondo e alla condizione di reciproca dipendenza. Vedi che in certa guisa ogni cosa è intrecciata ad un'altra, e tutte per questo motivo reciprocamente amiche. Questi eventi si susseguono in un ordine dovuto alla opportuna tendenza del loro movimento, verso la cospirazione e l'unità dell'intera sostanza.)
"Marco Aurelio, Ricordi"
C'era un solo momento durante il quale l'isolamento e lo scorrere del tempo venivano dimenticati da Eugenio; attraverso le sue letture storiche.
Eugenio attraverso la storia aveva trovato un metodo infallibile per dilatare a dismisura la propria vita rispetto a quella che gli era stata concessa per prestito dalla natura.
Non solo; in questo modo poteva diventare qualsiasi persona seguendo i semplici capricci del proprio intelletto.
Se una persona, dopo averne esaminato le stropicciate condizioni del corpo, si fosse fermata davanti a lui e gli avesse chiesto:
- Lei deve avere tra i settantacinque e i novant'anni,-
Eugenio avrebbe risposto:
- Per prima cosa; si faccia gli affari suoi! Secondo; no! Ho molti più anni, lustri e secoli di quelli che ora tu vedi disegnati nel mio corpo. La mia vera età varia tra i duemilacinquecento e i tremila anni,-
E se questa persona, non contenta, gli avesse chiesto se almeno si chiamasse Eugenio:
- Sono molte, moltissime persone. E sì; sono anche Eugenio-
Il vecchio Dal monte poteva rivivere nel giro di un ora cinquant'anni di storia romana. Radersi con i legionari alle prime luci dell'alba; pranzare con Vercingetorige e divenire, venuta la sera, uno dei tanti amanti di cui si circondava la regina Cleopatra.
Tra l'altro, era un vecchio parecchio audacie e coraggioso; poteva sopportare le piaghe di peste con i veneziani, oppure scegliere di suicidarsi con i giapponesi e ammutinare con i giovani francesi dal fronte.
Riusciva a rivivere e partecipare a tutte le imprese di Alessandro. Dalla morte del padre sino a quella dello stesso conquistatore per mano del vino e dell'invidia. Passando per la congiura di Filippide e il tradimento di Clito il nero. Patendo la fame con i soldati macedoni nel mezzo del deserto di Siwa; stupendosi con loro alla visione dei primi elefanti indiani e spargendo un pugno di sabbia sopra al mantello rosso, da dove sarebbe stata eretta Alessandria d'Egitto.
Eugenio in una sola settimana poteva percorrere la nascita e la caduta di Roma. Da quando Romolo e Remo, infreddoliti dall'abbandono, trovarono calore nel latte della lupa, fino alle invasioni barbariche. Ridendo della pazzia di Caligola, soffrendo con i popoli conquistati e sottomessi e riflettendo con Marco Aurelio.
Non ha forse egli vissuto quattrocento anni di storia in soli sette giorni?
- Impossibile, questa è una gran sciocchezza... quell'uomo è solo un pazzo e uno svitato!- risponderanno in molti tra di voi
Ma Eugenio era un uomo anziano, vi risponderò io, e quando nel periodo successivo alle sue letture volgeva lo sguardo ai giorni trascorsi; non vedeva lui seduto in una sedia, piegato sulla scrivania; né le sue dita che sfogliavano le pagine di un libro, e neppure ricordava il sole che regalava o toglieva colore alle cose nella stanza, ma bensì rivedeva i grandi eserciti schierati e pronti alla battaglia, le flotte mediterranee, le grandi vie che attraversano l'impero romano e tutti quei luoghi dove la sua mente si era posata.
A forza di rivivere ed immergere i propri pensieri in tempi lontani dal proprio, anche le sue abitudini s'andarono sviluppando in maniera inusuale e bizzarra.
Pure se fuori splendeva il sole, gli uccelli cantavano e le foglie danzavano al canto invisibile del vento, Eugenio preferiva abbassare la tapparella sulla vetrata in salotto, e illuminare la stanza con la sola forza delle candele. Arrivando a dimenticare, per interi giorni, che da alcuni secoli un uomo d'oltre oceano aveva scoperto come ingabbiare i fulmini dentro a dei fili di rame e trasformarli, come per magia, in luce.
D'altronde, secondo il suo modo di vedere, non aveva bisogno che i raggi solari o le lampade a elettricità gli illuminassero l'intera stanza, quando i suoi libri, in confronto, erano tanto piccoli. Per quelli, la luce tenuta a mollo dalla cera sarebbe stata sufficiente.
- Che senza ombra di dubbio, illuminano più che a sufficienza le tre parole che devo leggere per volta,-
E poi, quelle candele avevano una forza nostalgica particolare...
Il bagno lo faceva due o tre volte al mese, e il completo nero lo metteva a lavare una volta ogni due settimane. Delle volte le due cose arrivavano perfino a coincidere.
- Se Luigi XIV, ricordato come il re sole e il costruttore di Versailles, si è fatto la doccia solo tre volte nella sua vita... Perché io, Eugenio dal monte, detto lo storico, devo farmela ogni giorno?- disse qualche anno più tardi, dissimulando il cattivo odore rilasciato dal suo corpo davanti agli occhi di Fatima.
Non accendeva mai la televisione, trovando banale che un uomo guardandola non avesse il modo di fermarla e riflettere su quanto ascoltato, diventando come foglia soggetta alle intemperie delle opinioni altrui. A differenza dei suoi libri, che in qualsiasi momento poteva richiudere; riflettere su quanto appena letto, e nel caso riaprire in qualsiasi altro momento.
Non leggeva neppure i giornali, consapevole che sarebbe stato compito di altri uomini catalogare e capire il periodo che a lui era toccato in sorte di vivere. Preferendo invece abbracciare a sguardo pieno le epoche che ormai avevano finito di dire quanto avevano da dire.
E poi trovava irritante il modo in cui, agli occhi dei giornali, un giorno fosse così diverso da un altro.
Oppure, lo si poteva sentire bisbigliare in latino o in sanscrito mentre faceva le file del pane o camminava per le vie della città.
Era per queste e altre ragioni che a Ventimiglia era ritenuto un uomo strano, che aveva perso il senno della ragione. E se una volta lo salutavano con il dovuto rispetto ad un uomo di spirito e di scienza; con il trascorrere del tempo e con l'inasprimento del suo isolamento, non gli vennero più rivolti che saluti di facciata e sguardi ripieni di compassione per un uomo che ormai viveva sull'orlo del precipizio.
In passato, non bisogna scordarlo, aveva stretto delle forti amicizie, e non era raro che lui e Giulia bandissero delle cene, all'occasione anche da trenta o quaranta convitati. Una festa di paese, ritenuta da molti una tradizione.
Ma con la morte di Giulia, le cene s'andarono diradando pian piano fino a scomparire completamente, quando durante una cena a base di ricordi sepolti, Eugenio, perse, d'un sol colpo, tutti gli amici per una partita truccata di briscola.
- Poco male- disse all'epoca- intrattenermi a parlare con uomini d'altri tempi m'è più che sufficiente-
Di tutt'altro grado e intensità fu la perdita della moglie.
Giulia morì quando Eugenio aveva sessantanove anni. In un pomeriggio di settembre come tanti altri ne erano trascorsi senza che niente succedesse.
Venne colpita da un malessere al cuore mentre sistemava le candele in cima alla piramide.
Eugenio, che in quel momento spolverava gli angoli della casa pensando a quali argomenti trattare durante la stagione delle conferenze estive, non si accorse della caduta nel vuoto e del conseguente tonfo per terra. E neppure si accorse di quei secondi nei quali Giulia cercò di rimettersi inutilmente in piedi, ma sentì invece la richiesta di aiuto che da lei gli arrivò con l'ultimo filo di voce.
Eugenio intuendo la gravità della situazione dalla vacuità con cui la moglie lo richiamò; si precipitò in salotto. Trovandola stesa per terra, con la mano destra stretta nel cuore e con gli occhi cercando qualcosa che non riusciva ad inquadrare oltre la vetrata.
Eugenio, pensando con più intensità di quanto non fece né prima né dopo, chiamò prima l'ambulanza e poi quanti amici sapeva a portata di mano.
Ma data la lontananza della casa, nessuno arrivò in tempo.
- La stessa casa a cui ho consacrato gran parte della mia felicità e delle mie speranze, sarà la stessa che me le toglierà entrambe,- disse Giulia con gli ultimi rantoli di voce.
Così fu che morì Giulia; attorniata dal calore della propria casa, dagli ultimi sospiri profumati delle rose fuori stagione, e nell'abbraccio, senza possibile consolazione, del marito.
Di quel periodo ci è impossibile conoscere le profondità che raggiunsero i pensieri di Eugenio, tanto erano torbidi e inqueti.
Ma da quella data fino alla propria morte, non smise di indossare il nero.
Il processo di invecchiamento accelerò a vista d'occhio : i capelli cominciarono a cadere, la pelle a stropicciarsi. La mente perse intensità, la vista lucidità, la lingua la voglia di parlare. I muscoli persero tonicità, il sangue perse il proprio impulso.
E il cuore?
Il cuore del povero Eugenio da quel giorno batte con metà della propria forza.
Inoltre, fu da quel giorno che le sue giornate cominciarono a scandirsi secondo parametri prestabiliti e le sue abitudini a diventare strane.
Ogni mattina, prima del sorgere del sole, Eugenio andava a far visita alla tomba della moglie. L'aveva fatta costruire a pochi metri dietro casa. Era una tomba ordinaria, costruita in legno di larice con i soldi della pensione e dei risparmi.
Sopra, al posto della lapide, vi aveva fatto costruire una scultura in legno alta un metro, raffigurante un uccello ad ali spiegate, che dall'interno, cercava di sollevare la propria gabbia.
Dall'epitaffio che Eugenio scrisse sulla tomba della moglie:
se è vero che l'anima è l'unico uccello che riesce a sollevare la propria gabbia, allora ti auguro buon volo!
Eugenio sedeva con la schiena appoggiata alla tomba, con i piedi sospesi nel vuoto e gli occhi rivolti alle increspature della roccia. E lì rimaneva a raccontare alla defunta delle terre lontane che aveva visitato, dei discorsi e profumi che aveva sentito e dei vari proponimenti che aveva per il nuovo giorno che s'andava aprendo.
Dal monte era impeccabile in quel proponimento.
Era un uomo che conosceva il peso e al contempo l'evanescenza che avevano la storia e la memoria sulle vicende umane. E se lui non fosse andata a visitarla ogni mattina, ricordandole che la serbava ancora al centro dei propri pensieri, sarebbe caduta nell'oblio. E in un matrimonio senza progenie come il loro, sarebbe stato come se non fosse mai esistita.
E quello no! Non poteva accadere.
Eugenio dopo quell'intimo incontro con la moglie, scendeva in paese a comprare quanti viveri aveva bisogno per il fabbisogno del proprio corpo.
In seguito, sedeva alla propria scrivania; da solo con i suoi libri, riflettendo come fa uno specchio, le idee dei tempi passati...
- sì, ma stare troppo tempo qua dentro può crearmi illusioni... ho bisogno di sentire che racconta il sole- disse un giorno tra i giorni nel suo ottantaquattresimo anno di vita.
Così dicendo, si alzò dalla sedia e andò alla porta con una cupa sensazione nello spirito. Uscendo, in modo da lasciarsi travolgere dalle parole del sole, si scontrò con una bambina che proprio in quel momento aveva il pugno sollevato con l'intenzione di bussare alla porta.
Era nient'altro che una fanciulla, forse superava i sette anni. Aveva capelli neri e raccolti, due occhi ambrati e la pelle dallo stesso colore del deserto.
In un primo momento, Eugenio pensò si trattasse di uno di quei bambini che venivano mandati da Ventimiglia per assicurarsi del suo stato di salute. Ma quando ne scrutò gli occhi stanchi, accorti e malinconici, di una persona che aveva perduto precocemente la sua condizione di bambina, capì che non poteva essere così. Allora le chiese:
- Chi sei? Ti posso aiutare in qualche modo?-
- Come posso raggiungere la Francia?- chiese la bambina
- E cosa ci vuole andare a fare una piccola creatura come te in Francia?-
La bambina esitò qualche istante e dopo ripeté:
- Come posso raggiungere la Francia?-
Questa volta Eugenio intese che quelle erano le uniche parole che la bambina sapeva dire. Quindi, guardò intorno cercando di capire il da farsi.
Il corpo gracile e i vestiti sporchi davano a intendere che quella bambina aveva un trascorso difficile alle spalle. Ma cosa poteva fare lui?
Guardò in direzione di Ventimiglia.
Doveva accompagnarla in città e vedere se qualcuno ne reclamava la custodia? O, alla meno peggio, accompagnarla dalle forze dell'ordine?
Sì, forse quella era la scelta più razionale.
Dal sentiero in fondo al giardino sbucò una figura umana. Eugenio ci mise qualche secondo a mettere a fuoco, ma quando vi riuscì, comprese che si trattava di una donna. Forse la madre. Aveva un velo rosa nel capo, una camicia bianca e logora, un paio di jeans e un grande zaino che sembrava essere il colpevole dell'andatura piegata della donna.
- E' tua madre quella?- chiese alla bambina indicandone la domanda.
La bambina si voltò. E ritornando alla posizione iniziale, disse:
- Con me,- battendosi l'indice al cuore.
Eugenio la prese per la mano, e con il consueto passo affaticato, andò incontro alla madre.
La donna prese la bambina dalle mani di Eusebio e incominciò a sgridarla in una lingua a loro comune. Eugenio capì che si trattava della madre, non tanto dall'appiglio consuetudinario e robotico con cui la sgrida, ma perché, come la bambina, aveva due perle ambrate incastonate nel viso. Guardandola meglio e da più vicino, si accorse che era una donna sulla quarantina di una incredibile bellezza velata dalla ventura.
Eugenio, nonostante l'età, sapeva ancora il fatto suo.
- Non preoccuparti, non ha fatto nessun danno- cercò di rasserenarla, sperando che almeno lei comprendesse l'italiano.
Ma non ebbe diversa fortuna. Ricevette solo una precisa mirata che lo inquadrava come la peggiore delle disgrazie.
Il vecchio Dal monte, volendo comunicare loro che non c'era nessun pericolo, cominciò a parlare in francese, ricordando che molti stati arabi erano stati colonizzati dalla Francia.
- Non c'è nessun problema- disse- con me potete stare tranquilli-
Gli occhi della donna s'illuminarono di miele.
- Lei parla francese?-
- Certo!- esclamò Eugenio, contento di aver colpito nel segno- Non c'è storico degno di questo nome che non lo conosca!-
- Ditemi ora- continuò- Come mai vi trovate a girovagare da queste parti? E' da un bel po' che queste terre non sanno più come affascinare l'occhio umano, quindi deduco che non siate qua solo per fare una libera passeggiata-
La donna, che disse chiamarsi Fatima, raccontò la loro storia. Erano profughe di guerra, che avevano attraversato mare e terra per raggiungere prima l'Italia, con l'idea di attraversare la Francia e raggiungere l'Inghilterra, dove avrebbero incontrato dei cari e un futuro meglio disposto. In quel momento però avevano bisogno di passare il confine, il quale però era fortemente presidiato. Quindi erano salite in montagna alla ricerca di un sentiero pulito da dove sconfinare.
- Ho compreso- disse infine Eugenio- Per favore aspettatemi qua qualche minuto . Devo andare a pensare-
Eugenio, con lo sguardò fisso a terra mentre con la mano destra afferrava il mento, cominciò a camminare attorno alla casa più e più volte.
- Se la memoria non m'inganna, e almeno su questo fatti non è mai successo, questa terra ha già vissuto una situazione analoga. Nel settembre del 38, dopo che al popolo israelita venne proibito l'insegnamento e l'iscrizione alle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, venne ultimato loro, attraverso un decreto, di lasciare il paese sei mesi dopo l'aprirsi dell'anno nuovo. Tralasciando la stupidità e la barbarie di un tale atto, una tale risoluzione si dimostrò un vero problema logistico. Tanto che l'allora ministro ordinò " che fosse agevolato l'esodo degli ebrei con ogni mezzo possibile"-
- Impossibile per me dimenticare! Gli ebrei vennero condotti verso i commissariati delle città di confine e la fuga in Francia era di sicuro la soluzione più praticabile, dato che la frontiera era poco presidiata e offriva buone possibilità di entrarvi illegalmente. Da allora la situazione cominciò a degenerare e si procedette all'immediata legalizzazione di attività prima ritenute illegali; qua in Liguria la milizia confinaria prese il posto dei contrabbandieri e assunse il ruolo di " passeur di stato" . I barcaioli divennero uno strumento indispensabile e ai pescatori venne garantita un'ampia libertà di azione. Nacquero perfino delle "agenzie di navigazione clandestina" che in solo mese riuscirono a trasportare più di 400 israeliti-
Eugenio arrivando a quel punto del ragionamento, si fermò e non si sorprese nel costatare come tutti i contrabbandieri, guardie di frontiera ed ebrei si fossero materializzati sotto forma di ricordi di fumo al suo fianco; urlando, cercando di persuadersi l'un l'altro, pagando, venendo pagati e strattonando i meno fortunati.
Allora, cominciando a camminare nel senso opposto, riprese:
- Sì la via marittima potrebbe essere una via di fuga abbastanza sicura per quella famiglia, ma da quello che Fatima mi dice, sembra essere ben presidiata- e ritornando con la mente ai fatti che la storia poteva suggerire - Ricordando bene, le autorità locali assunsero anche la gestione degli allontanamenti per i sentieri di montagna. Certo! Credo che questa possa essere la migliori delle soluzioni. D'altronde fu proprio qua a Ventimiglia dove la milizia confinaria concordava i luoghi di espulsione via montagna. E quali siano quei sentieri credo di saperlo; " il sentiero dei ciotti" a Villatella , il "Passo del cornà", oppure quello utilizzato dai contrabbandieri , il "Passo Muratore- Saorge". Ottimo! Ora so bene da dove farli attraversare-
Eugenio, concluso il quindicesimo giro attorno alla casa, andò di nuovo incontro alla famiglia, accompagnato da un ragionamento che gli sgorgava dal petto e che ebbe il buon merito di dare nuovamente significato alla vita di un vecchio storico.
- Se la storia, così come i numeri, non possiede un corpo con cui poter andare in giro a dire quanto sa. Ma, così come i numeri, ha una esistenza oltre ogni dubbio vera, allora gli presterò volentieri il mio corpo perché possa svolgere il proprio lavoro. E se tutta la mia vita non è servita ad altro che a conoscere Giulia e risolversi in questo momento, allora posso dirmi un uomo fortunato- e ricordando alcune voci pensò:
- D'altronde secondo la leggenda fu proprio da uno di quei sentieri da dove fuggi in esilio il presidente Sandro Pertini-
- Bene mie care. Ho finito di pensare!- esordì quando fece ritorno dalle due donne- Vi aiuterò con tutti i mezzi che ho a disposizione, e anche se sono pochi, saranno sufficienti. Ma credo che entrambe abbiate bisogno di un po' di riposo. Perciò vi invito a passare alcuni giorni nella mia casa,-
- E' sicuro?- chiese Fatima attonita
- Certo, seguitemi!-
Madre e figlia seguirono il vecchio Dal monte dentro casa. Accomodarono i bagagli, si fecero una doccia con tutto il sollievo dei mesi passati senza, e inventarono una cena con quanto Eugenio aveva in casa.
Dopo, fecero un giro per i vari sentieri che avrebbero potuto utilizzare a tempo debito.
Venuta la notte, dopo che Fatima mise a dormire la piccola Amina, Eugenio la invitò a sedere in uno dei due sofà in salotto, mentre lui s'accomodò su quell'altro.
- Scusami la condizione dei sofà, e della casa in generale. So che è piena di polvere ma è da molto che in questa casa non entrano ospiti,-
- Vedo,- asserì Fatima guardandosi in giro- Come mai?-
- Perché in fin dei conti la polvere non ha mai ucciso nessuno, e tra le altre cose, è silenziosa; non disturba-
Fatima rise.
- No, intendevo come mai non entrano più ospiti in questa casa, sarebbe così accogliente. Non è bene che un uomo viva in queste condizioni-
- Se mia moglie fosse qua saprebbe meglio come accogliervi,-
- Capisco... In ogni caso questo sofà è comodo, pensando che fino a questa mattina le nostre sedie erano scogli. Penso che domattina avrò perfino male alla schiena-
- Ottimo!- esclamò Eugenio- Come ti dicevo, è da molto tempo che in questa casa non entrano ospiti, ma devo ammettere che il vostro arrivò mi ha rallegrato il cuore più di quanto pensassi,-
- Anche il suo incontrò ha rallegrato, e soprattutto alleggerito il nostro,- aggiunse Fatima
- Bene,- riprese il vecchio- Io sono un vecchio curioso e se non è troppo vorrei chiederti di narrarmi la tua storia-
- Con piacere!- rispose Fatima
Alla fine, quei dialoghi notturni si prolungarono per oltre due anni e mezzo, durante i quali Fatima narrò alle orecchie attente di Eugenio la storia e le leggende del suo popolo, della sua religione e della propria terra.
Precisamente per le mille e una notte a seguire.
In quell'arco di tempo Fatima cercò di far ritornare la proprietà di Eugenio allo splendore di un tempo. Respinse e delimitò l'avanzata del bosco, che ormai era arrivato fino alle soglie della casa e si preparava a compiere l'assalto definitivo e finale. Poi, seminò, fin dove gli era possibile, molti dei fiori e delle piante scomparse, e diede nuova energia a quante erano riuscite a sopravvivere da sole.
Perfino le api, i poeti e gli uccelli ritornarono.
- Mia moglie sarebbe molto felice,- disse Eugenio un giorno come un altro mentre, seduto in veranda, mentre guardava il giardino nuovamente prospero.
- Magari lo è,- disse Fatima
- Vedremo...-
Eugenio, visto che non poteva aiutare Fatima quanto avrebbe voluto; educò la piccola Amina alle arti umanistiche e scientifiche. Le insegnò il francese, l'italiano e l'aritmetica. Stando bene attento al brusco quanto delicato passaggio tra l'alfabeto arabo e quello latino e cercando di riprendere le lezioni di aritmetica da laddove la bambina aveva dovuto abbandonarle a causa della guerra.
Dalla lettura del 2 febbraio 1974Tralasciando, dunque, il giudizio dei più, che, privo com'è di analisi critica, si lascia ingannare dalla prima apparenza delle cose, vediamo cos'è l'esilio. Chiaramente è un cambiamento di luogo. E perché non sembri che io voglia diminuirne l'importanza e sottrargli ciò che ha in sé di svantaggioso, dirò che questo cambiamento di luogo comporta dei disagi: povertà, infamia, disprezzo. Ma con questo mi confronterò dopo; per ora voglio, in primo luogo, esaminare che cosa vi è di sgradevole in questo cambiamento di luogo. "È una cosa insopportabile vivere lontani dalla patria." Suvvia, guarda un po' tutta questa gran folla cui appena bastano le case di questa città immensa: la maggior parte di questa gente è lontana dalla sua patria. Sono confluiti qui dai loro municipi, dalle loro colonie, da ogni parte del mondo. Alcuni li ha spinti qui l'ambizione, altri la necessità di un incarico pubblico, altri la ricerca di un luogo adatto alla loro lussuria e ricco di vizi, altri il desiderio degli studi liberali, altri quello di assistere agli spettacoli...
[] L'esilio umano si è riversato su vie impraticabili e ignote. Si portano dietro i figli, le mogli, i genitori appesantiti dalla vecchiaia. Alcuni, dopo un lungo errare, non si scelsero deliberatamente una sede, ma per la stanchezza occuparono quella più prossima; altri, con le armi, si conquistarono il diritto di una terra straniera. Alcune popolazioni, avventurandosi verso terre sconosciute, furono inghiottite dal mare, altre si stabilirono là dove la mancanza di tutto le aveva fatte fermare. Non tutti hanno avuto gli stessi motivi per abbandonare la loro patria e cercarne un'altra: alcuni, sfuggiti alla distruzione della loro città e alle armi nemiche e spogliati dei loro beni, si volsero ai territori altrui; altri furono cacciati da lotte intestine; altri furono costretti a emigrare per alleggerire il peso di un'eccessiva densità di popolazione; altri ancora sono stati cacciati dalla pestilenza o dai frequenti terremoti o da altri intollerabili flagelli di una terra infelice, altri, infine, si sono lasciati attirare dalla notizia di una terra fertile e fin troppo decantata. Ognuno ha lasciato la sua casa per una ragione o per l'altra. Questo, però, è certo: che nessuno è rimasto nel luogo dove è nato. Ma tutti questi spostamenti di popoli che cosa sono se non esili in massa?
[] Due cose ci seguono dovunque noi andiamo e sono le più belle che esistono: la natura, che è comune a tutti, e la nostra virtù personale. Questo è voluto, credimi, dal creatore dell'universo, chiunque egli sia, un Dio signore di tutte le cose, o una mente incorporea creatrice di tutto.
Perciò, di buon animo e fieri, affrettiamoci con passo fermo dovunque la sorte ci spinga. Percorriamo tutta la terra, non vi sarà nessun esilio; infatti al mondo non c'è luogo che sia straniero all'uomo. Da ogni parte, egualmente, si può volgere lo sguardo al cielo; la distanza che separa l'uomo dal cielo è sempre la stessa. Per questo, purché i miei occhi non siano privati di quello spettacolo di cui sono insaziabili, purché mi sia consentito di guardare il sole e la luna, purché io possa fissare gli altri astri e studiarne il sorgere e il tramontare, e ammirare le tante stelle che brillano nella notte, purché io possa contemplare tutto questo, che cosa mi importa quale terra io calpesti?
" Seneca, epistole a Marzia"
Eugenio morì all'età di novantadue anni.
Da quando Fatima e Amina ripartirono, il vecchio storico Dal monte non smise di indicare la strada a quanti profughi si presentarono alla sua porta. Allora, prima ne scrutava l'animo attraverso gli occhi e poi accompagnava gli sventurati, rigorosamente vestito di nero ma con un sombrero verde a foglie di palma e un lungo bastone di mirto, in modo da farsi riconoscere come fa una guida in mezzo ai turisti, attraverso i sentieri della montagna fino ai confini con la Francia. Tutti i giorni, fino alla sua morte.
La sua ultima richiesta fu di essere seppellito dentro la tomba della moglie e che venisse scolpito un altro uccello che ad ali spiegate, aiutasse quello già presente a sollevare la gabbia.6a
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Delle giornate solitarie di un vecchio storico
Fiksi SejarahPrimo racconto dalla raccolta "Il ballo dei poveri".Il racconto tratta delle giornate di Eugenio, uno storico di Ventimiglia, vedovo, senza speranze per l'avvenire se non quelle che gli possono offrire il passato e la Storia