Prologo- nero come la pece

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Correvo. Correvo all'impazzata sperando che non potesse riuscire a raggiungermi. Col volto rigato dalle lacrime sfrecciai immediatamente verso uno dei tanti locali presenti in spiaggia, augurandomi di averlo seminato. Non avevo mai sofferto così tanto per amore e, a dirla proprio tutta, sapevo benissimo che il dolore che stavo provando per quel sentimento non corrisposto non avrebbe mai intaccato quell'indistruttibile corazza, quello sguardo cupo e senza emozioni appartenenti al ragazzo più irritante sulla faccia della Terra. Gli era sempre piaciuto prendersi gioco di me, soprattutto assieme alla sua immatura combriccola di scalmanati. Non era da me farmi trattare come se fossi un'insulsa bambola di pezza; eppure, ogni volta che, adirata, alzavo gli occhi in cerca dei suoi, mi si mozzava il fiato e perdevo l'uso della parola. Sapeva meglio di me com'ero fatta: testarda, esuberante e schietta solo per proteggere il mio lato più sensibile ed umano, proprio come fanno le lenti degli occhiali da sole schermando i raggi ultra violetti. Ma a lui sembrava non importare e credevo ci avesse preso gusto nel ferirmi. Di scatto aprii la porta del "Devil's Paradise", il bar più conosciuto della zona, dotato di una sala adiacente che, saltuariamente, veniva adibita a sala da ballo. Tutto lì dentro stonava col mio stato d'animo e al mio aspetto fisico, che più si avvicinava all'immagine di un gattino arruffato, lasciato solo e piuttosto spaventato. Improvvisamente cercai di nascondere i segni evidenti del mio tormento interiore, strofinando entrambi i palmi delle mani sotto gli occhi, ormai gonfi e arrossati. Inutile dire che peggiorai la situazione, spargendo sul viso tutto il mascara che nel frattempo si era sciolto. Fantastico- pensai -oltre che ad una reietta, sembro anche un'appestata ora.- Recuperai istintivamente un po' del mio coraggio e raggiunsi una delle cameriere che stavano dietro dietro al bancone, intenta a versare il contenuto di una lattina di birra in un bicchiere di vetro e , con fare disinvolto, le chiesi dove fosse il bagno. Per un attimo la donna, sulla trentina circa, mi guardò perplessa, come se stesse decidendo se chiedermi come stavo o rispondere alla mia domanda. Naturalmente scelse la seconda opzione e subito mi indicò una porta bianca in fondo al locale su cui era stata attaccata una targhetta in acciaio con su scritto "toilette". Non appena feci pressione sulla maniglia, l'uscio si aprì su un corridoio lungo e stretto che terminava con quella che poteva essere definita la "classica" disposizione dei bagni pubblici:l'ingresso degli uomini a destra, quello delle donne a sinistra e ovviamente quello dei disabili al centro. C'era persino un piccolo fasciatoio pieghevole per cambiare i neonati di passaggio. Mi fiondai nella toilette femminile e, dopo aver sciacquato abbondantemente il viso ed aver tolto con le salviette struccanti le tracce del trucco in eccesso, mi guardai a sufficienza per constatare che le mie condizioni erano pietose. Avevo bisogno di sfogarmi, di tirare un pugno a qualcosa, o meglio, di dare un calcio nelle palle a qualcuno. Improvvisamente sentii dei passi avvicinarsi. Ascoltando più attentamente mi sembrò persino di sentire ansimare dalla fatica. Decisi di nascondermi in una delle cabine e di chiuderla a chiave, in caso quel qualcuno fosse stato un malintenzionato. Invece colui che aveva appena fatto irruzione nel bagno delle donne non corrispondeva a nessuna delle mie ipotesi. Quando l'intruso urlò il mio nome, ebbi una fitta al cuore. Lo fece ripetutamente e sembrava non volersi fermare, come se stesse aspettando disperatamente una risposta e non se ne sarebbe andato senza aver ottenuto qualcosa. In quel momento migliaia di aculei immaginari si conficcarono in ogni centimetro della mia pelle e, come fa un fiume in piena quando gli argini non riescono a contenerlo, anch'io straripai. I miei singhiozzi disperati erano così forti che avrebbero potuto sentirli anche a chilometri di distanza e, purtroppo, l'unico che li aveva avvertiti era la stessa persona che non avrei voluto rivedere mai più. Mi arresi al fatto che non tutto può essere conforme ai nostri desideri.

-Marghe,sei tu? Cazzo rispondi! È inutile che cerchi di nasconderti, ti ho vista entrare dentro.-

-Vattene idiota!-

-Marghe, ma mi dici che ho fatto? è da giorni che va avanti 'sta cosa e non so nemmeno cosa ti ha fatto incazzare così. Parlami, ti prego.-

-Ti ho detto di sparire Leo!- la mia  voce era ridotta ad un flebile sussurro.

-Prima mi spieghi che hai, poi me ne vado.-

-No. Lasciami stare. -

-Smettila di fare la bambina e apri questa porta o la sfondo con una spallata. Scegli!-

Non so perchè lo feci, forse volevo chiarire veramente le cose o forse volevo semplicemente mollargli un bel ceffone, ma alla fine spalancai la porta. Lui mi guardò così intensamente che cominciai a pensare potesse vedermi attraverso. Mi sentivo nuda, svuotata, priva di ogni emozione. Piangendo ancora mi accasciai a terra e circondai le ginocchia con le braccia, poi chinai leggermente la testa. Lui si sedette accanto a me, appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi con fare teatrale, come fosse provato dallo sforzo. Dopo pochi minuti ne aprì uno per controllare cosa stessi facendo e mi sorprese ad osservare il vuoto. Prima che cogliesse l'occasione per intavolare una conversazione decente, lo spiazzai con una semplice domanda.

-Perchè non mi ami?-

-Marghe, ne abbiamo già parlato mi sembra.-

-Sono proprio senza speranze allora? Vorrei odiarti ma neanche quello riesco a fare. Faccio pena. Sono diventata un rifiuto umano, anche le api operaie sono più felici di me.-

Leo, sentendo quella dichiarazione d'amore a tratti ironica, sorrise e,girandosi verso di me, iniziò a punzecchiarmi.- Ehi, cos'hai contro le api, eh? Sei una razzista rude,irascibile,testarda e....dannatamente dolce.- Alle sue parole persi tre battiti e, quando decise di annullare la distanza tra di noi, quasi mi si annebbiò la vista. Posò all'istante le sue labbra morbide sulle mie, screpolate e bagnate dalle lacrime, e mi baciò lentamente, come se volesse dilatare il tempo di quel contatto. Fu tutto così magico e travolgente che, non appena aprii gli occhi, mi accorsi che l'incanto era già terminato. Alla fine Leo aggiunse con convinzione -Forse potresti avere una possibilità. Ma sei la mia migliore amica. Ed io sono gay.-

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 04, 2019 ⏰

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