1.
Milano, la città italiana mondana per eccellenza, vasta, affollata e molto frenetica, dove ogni sorta di specie vivente ha un minimo di decenza estetica, era diventata di recente la mia dimora. Trovare qui una ragazza per i miei ritratti all'inizio pensavo fosse un gioco da ragazzi, erano bastati due mesi di continue ricerche a farmi cambiare idea. Non nego che di bellezze Milano ne sia piena, ma ad ognuna manca quel dettaglio che per la pittura è fondamentale: l'espressività. Qui vi ho trovato solo falsità, una superficialità estesa al genere femminile, l'unico da me studiato, e ciò non può che oscurare la bellezza e trasformarla in nullità di fronte a tanta arroganza.
Avevo girato i posti maggiormente affollati e un giorno mentre mi aggiravo a Cadorna avevo intravisto nella vetrina di un piccolo bar in via Carducci una ragazza mora con una grazia davvero impressionante. Ero entrato e avevo ordinato un caffè solo per poterla osservare. Sembrava pratica del posto perché parlava con la responsabile come solo con un'amica o una stretta conoscente si possa fare. Con una mano reggeva un libro aperto più o meno verso la metà e con l'altra girava il cucchiaino nell'infuso bollente dal quale si innalzavano nuvole di vapore. Il tutto le dava un'aria intellettuale e calorosa.
Il giorno seguente avevo fatto ritorno al bar per accertarmi che lei fosse una cliente abituale e con mia grande gioia questa speranza non si dimostrò vana. Seduta allo stesso tavolo, nella stessa posa instancabile, con lo stesso libro e la medesima leggerezza nel girare il cucchiaino nella tazza, era come osservare un quadro vivente e da bravo critico d'arte commentavo ogni dettaglio evidente fino a percepire le emozioni che trasmetteva attraverso le varie espressioni, intense e naturali.
Avevo deciso di ordinare l'infuso per donare alle mie papille gustative le identiche sensazioni della Graziosa. Si coglieva un leggero sapore di menta subissato da quello forte del limone. Lei non usava addolcirlo e così non avevo toccato né miele né qualsiasi sorta di zucchero. Mentre sorseggiavo l'intruglio la mia agognata continuava a leggere il suo libro, mi sembrava fosse allo stesso punto dell'altro giorno cosa che mi aveva fatto supporre che leggesse solo all'ora del tè. Questo aveva generato in me un pensiero fiducioso al vedere le tante pagine mancanti, perché se così fosse stato avrei potuto incrociarla per almeno altre due volte e avvicinarla al mio cammino.
Già al terzo giorno che mi recavo a quel bar la responsabile si era abituata alla mia persistente presenza e l'atmosfera si era familiarizzata: la musica conferiva al clima un'aria di tranquillità e le continue chiacchiere gioiose dei clienti e soprattutto degli impiegati trasmetteva altrettanta gioia e riempiva le mie giornate monotone e silenti. Lei era sempre lì, impegnata nella sua lettura ricoperta da un velo di vapore, arrivata ormai a tre quarti del libro. La paura che con la fine dell'ultima pagina arrivasse anche la fine dei nostri fuggitivi incontri si faceva strada nella mia mente, offuscava la calma e distoglieva il mio retto giudizio dalla realtà.
Il giorno dopo ero arrivato prima del solito e avevo aspettato impaziente il suo arrivo, fino all'ultimo istante avevo temuto di dover consumare il mio infuso senza la sua dolce presenza e questo pensiero mi aveva riempito di un vuoto indescrivibile. Verso mezzogiorno l'avevo vista entrare e prendere posto, ordinare e aprire il suo libro; vederla aveva rimosso l'angosciante sensazione che mi ardeva il petto. Finito il libro la guardavo alzarsi e dirigersi verso la porta, salutare calorosamente e scomparire. La intravidi ancora qualche istante dalla vetrina che ci separava mentre aggiustava il suo vestitino giallo ocra stretto in vita che le copriva appena le cosce marmoree. Sistemate anche le cuffie si allontanava svelta con passi a ritmo degli ottanta battiti del mio straziato cuore. Probabilmente il mio turbamento era inutile però avevo la sensazione che per un periodo non avrei avuto il piacere di imbattermi nella sua persona.
Il sole danzava su quella pelle cadaverica e ritornava a ritmo del vento a dipingerle pennellate d'oro in volto e sulle carni scoperte. Il viso le era diventato rosso sugli zigomi e lungo il naso; aveva sulla fronte appena qualche traccia di sudore e la sua lunga chioma era tempestata di luci e ombre. Il suo respiro si confondeva ai battiti cardiaci, lenti e profondi. L'unico dettaglio che garantiva la vivacità di quell'organismo era il leggero sali-scendi del busto; il pallore, e il calore estraneo per quel corpo invece, traevano in inganno.
Era esattamente così che l'avevano descritta i miei occhi quando la vedevo allontanarsi da me e mi ero reso conto che erano proprio queste le caratteristiche che colmavano la mia ricerca.
La sua immagine che avevo ormai ben impressa nella mente mi attraversava gli occhi, la contemplavo dinanzi a me impegnata in varie posture.
"Bella!"
Musa ispiratrice che incarna la perfezione e sotto sembianze umane inganna il mortale. Era mio compito rendere giustizia alla sua bellezza facendone eterna la giovinezza. Solo io potevo ritrarre questa meraviglia, solo le mie mani e il mio talento potevano concentrare tutta la sua bellezza in un'unica opera mettendo su tela l'inimitabile. Dovevo vederla e parlarle se avessi avuto ancora l'opportunità di incontrarla, dovevo cercarla perché non mi bastava più dipingerla basandomi solo su immagini frammentate nella mia mente, la desideravo con me, subito. Volevo toccarla, ammirarla, osservare la luce che posandosi confinava ogni angolo della sua pelle, sentire la consistenza dei suoi capelli e la morbidezza del suo lungo collo.
Le notti passavano, gli occhi sempre svegli offuscavano la mente, la stanchezza mi consumava e la voglia di raffigurarla sopprimeva la mia sanità mentale. Nonostante parlarle e rendere nota la mia esistenza mi affliggesse, l'osservarla da lontano sotto quel limite di non conoscenza rendeva più travagliata la sofferenza che mi portavo appresso. Rivolgerle la parola sarebbe stato difficile, ma ancor più lo era starle lontano. Avendo ormai preso la decisione di affrontare questo sciocco timore che l'uomo ha sempre confinato come tipico del genere umano: la timidezza avrebbe fatto l'indomani i conti con il coraggio e con la fortuna. Fra i denti tenevo stretto l'unico coccio di speranza che mi spingeva ad appagare le forze impegnate. Se non avesse fatto comparsa nel solito posto avrei chiesto di lei mettendo da parte la vergogna e facendo valere sopra ogni afflizione la brama della Meraviglia.
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Lo Specchio Dell'anima
Teen FictionIl respiro affannato e gli occhi stanchi di troppe lacrime versate. Le notti passate a pensare che il mondo sia sbagliato e a riempirsi d'odio verso le persone ma soprattutto verso se stessi. Promisi a me stessa di non odiare niente e nessuno e infr...