I AM NOT 9½ (Muke one shot)

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dedicato a chi ama in silenzio, fino in fondo.


Era sempre stato pieno di paranoie, lo trovavo buffo, osservandolo mentre si guardava allo specchio, con il labbro inferiore tra i denti e sul viso un'espressione accigliata. Si voltava verso di me assumeva un'espressione teneramente perplessa, mi chiedeva: "Mikey, sono brutto?" e io, puntualmente rispondevo: "No, Lucky. Sei il ragazzo più bello che io conosca.", lui alzava le spalle poco convinto, sospirando si spostava e iniziava a scegliere i vestiti che avrebbe dovuto indossare quella serata. Un veloce bacio in ascensore e poi pronti alle nostre serate tranquille con gli amici, era quella la nostra vita, prima.
Prima. Poi, non so cosa sia successo, ma è successo e basta.

Ad un certo punto, non ricordo nemmeno quando, aveva iniziato ad alzare troppo il gomito, tornava a casa stravolto per le troppe canne mischiate con l'alcool, e lì, sopportavo, ma quando non fumava, a tutto si aggiungeva l'aggressività, si stava distruggendo, trascinando in quell'abisso di dolore anche me.

Lo vedevo rientrare in casa, in condizioni pietose, e lo odiavo per questo, o meglio, fingevo di farlo, mi veniva più facile convincere me stesso del fatto che lo odiassi, piuttosto che fare mia la consapevolezza che l'amore che provavo per lui era troppo, a volte mi dicevo addirittura che non mi meritava, perché obiettivamente era così, non si meritava il mio amore, ma lo amavo, e probabilmente, senza di lui mi sarei sentito perso.

Però, vederlo tornare a casa in quelle condizioni e sentirmi urlare addosso, per poi sopportare le botte che ricevevo quando era incazzato, non mi piaceva. Ma io sopportavo, spesso mi sentivo pazzo, più che innamorato, ancor più spesso mi sembrava di essere odiato, più che amato.

Mi ero abituato, non potevo farci nulla, infondo era mio marito, usavo questa come scusa per placare le voci nella mia testa che mi dicevano di lasciarlo.

La verità era un'altra, ci amavamo, io, senza di lui probabilmente sarei stato male, e al massimo, sarei caduto in depressione, lui, sarebbe morto, e non mi sentivo egoista a pensare una cosa del genere, quando litigavamo gli rinfacciavo tutto ciò che mi faceva, e lui, in tutta risposta, taceva, non poteva darmi torto, mi bastava poco per zittirlo, poi, lo minacciavo di andarmene, e lui iniziava a frignare come un dannato bambino, e cazzo, se lo meritava, sì, ma non avrei mai lasciato che stesse più male del dovuto, avevamo già abbastanza problemi.

I primi due anni di convivenza furono fantastici, io studiavo, lui lavorava, non voleva che sprecassi gli anni che potevo passare a studiare, lavorando, a lui dello studio non fregava un cazzo, portava a casa uno stipendio che ci faceva vivere di lusso, era un "raccomandato", figlio di un produttore discografico, ma ce ne fregavamo entrambi, eravamo solo due diciannovenni che volevano farsi una vita insieme.

Ma poi, tutto, degenerò. La casa discografica di suo padre andò in fallimento, e da una villa con piscina, passammo ad un monolocale in periferia, ci accontentavamo, non c'eravamo mai lamentati, anche se per un periodo, con i suoi cazzo di vizzi, arriviamo a malapena alla fine del mese. Erano state fin troppe le notti in cui ero rimasto a digiuno perché invece di andare a fare la spesa con i nostri miseri stipendi, se ne andava al bar e non tornava prima della mattina dopo. Avevo mollato gli studi per lui e mi ero trovato un lavoro in un bar, che sarebbe bastato finché lui non avesse trovato un lavoro, non lo fece mai, rimanemmo nella merda fino all'ultimo, finché poi, anche lui, andò via, ma lo sapevo che sarebbe finita così, lo sapevo ma fingevo che non fosse vero, finsi fino all'ultimo, per lui, feci tutto fino all'ultimo, l'amai anche fino all'ultimo, anche se non avrei dovuto farlo.

Era l'una di notte quando rientrò a casa quella sera, stava male, ma non come al solito, stava male male, aveva vomitato appena entrato, all'ingresso, poi, anche in cucina, e infine, in salotto, avrei dovuto lasciarlo lì a soffrire come un cane, se lo sarebbe meritato a pieno, forse, sarebbe stata la volta buona in cui capiva di star facendo una minchiata, non aveva le forze nemmeno per prendermi a pugni o insultarmi, e sollevai i suoi sessanta chili scarsi, io, che di chili ne pesavo novanta, perché no, non ero la perfezione fisica, ero un ragazzo di un metro e novanta circa, con un po' di pancia che se ne strafotteva del fisico, che io la fame non volevo più farla, che ora che di lavori ne avevo due, preferivo pensarci ogni tanto a me stesso.

I AM NOT 9½ || Muke Clemmings.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora