November Rain;

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Questa va a G. che ad alzarsi non ci è più riuscito.


Era novembre e pioveva. 

Luke lo sapeva, lo sentiva da come la pioggia gli bagnava gli skinny e la maglietta nera, le vans del medesimo colore dei suoi vestiti, le caviglie, le mani pallide dalla nocche spaccate, la bocca, le ciglia lunghe, le guance – che forse erano già bagnate prima di quel temporale – e poi la sua adorata moto nera, regalata dal padre per il suo sedicesimo compleanno. Dopo mesi di tortura e di lavoretti in casa qua e là, finalmente due giorni prima di compiere gli anni, suo padre Andrew, dopo una stressante giornata di lavoro, ormai stanco, l'unica cosa che desiderava era leggere il giornale in santa pace sulla propria poltrona di un marrone scuro, cosa che il figlio non gli consentiva.

''Dai, papà. Tutti i miei amici ce l'hanno e ormai sono l'unico a non averlo''
Quella storia andava andava avanti da un po'.
''Luke, la mia risposta la conosci già''
''Ti prometto che indosserò sempre il casco. Sarò prudente''
E poi quell'espressione da cane bastonato. Un'espressione che conosceva bene l'uomo sulla quarantina, 'ché ormai l'aveva vista spesso in quell'ultimo mese. Per chiedergli soldi, l'auto, il permesso di ritirarsi più tardi da una festa e anche per farsi il piercing al labbro inferiore. E l'uomo, in un modo o nell'altro, aveva sempre risposto di sì, acconsentendo a tutti i piccoli capricci di suo figlio, l'unica famiglia che gli restasse.
''Promesso?''
''Sì''
''Sicuro?''
''Sicurissimo''
''Allora va bene''
Che poi Luke il casco l'aveva pure portato, anche se le prime settimane era proprio dura non scordarselo sulla scrivania della sua camera. Però quando ci prese la mano a far rombare il motore e a correre come un pazzo per le stradine della sua amata città, superando tutti i limiti di velocità – che se l'avesse visto il padre sarebbe morto di infarto – il casco non se lo scordava più.
Michael lo prendeva sempre in giro per tutta questa sua prudenza, a volte eccessiva, soprattutto quando il casco era uno e allora andava quasi in panico. Alla fine lo mollava sempre a Michael, per sicurezza; anche se di tanta sicurezza non ce n'era bisogno visto che il biondo senza una protezione sulla testa non correva come era solito fare. Aveva paura, ma non di essere beccato dalla polizia e prendersi una multa. Era solo terrorizzato dall'idea di lasciare il padre solo.

Era novembre e pioveva. 

Luke correva veloce senza casco sulla propria moto, eppure in quel momento non sembrava avere paura. Perché lui non ricordava più cosa volesse dire provare quel sentimento. Michael invece aveva sempre paura, era un fifone. E Luke glielo rinfacciava sempre quando ne aveva la possibilità, ridendo sotto i baffi.

Michael aveva paura dei film horror e infatti si chiedeva perché ogni volta che dovevano guardare un film al cinema oppure sul divano, alla fine era sempre di questo genere. Puntualmente Luke rispondeva ''Lo sai che li adoro, gli altri non li riesco proprio a guardare''.
In realtà l'unico motivo era che il ragazzo dagli occhi azzurri amava come Michael, alla fine, si ritrovasse sempre a stringerlo e a nascondere il viso nel suo petto; lo trovava buffo.
Michael aveva anche paura del buio, infatti quando dormivano insieme doveva esserci sempre una lampadina accesa ad illuminare i loro visi. Aveva paura quando Luke correva come un fulmine sulla sua moto e quindi gli veniva spontaneo affondare le unghie nella sua maglietta e stringerlo più del dovuto. Alzare gli occhi al cielo e dopo aver sbuffato, pregarlo di rallentare, perché gli veniva la tremarella. E odiava ammetterlo.
All'inizio aveva anche paura di non piacere a suo padre, di non essere accettato. La giornata del grande incontro era davvero nervoso e l'unica cosa che faceva era blaterale parole incomprensibili che a lui stesso sfuggivano.
''E se non dovessero piacergli le mie tinte? Giuro che torno al mio colore naturale. Lo faccio, o almeno ci proverò''
E manco Dio sa quanto in quel momento Luke l'avesse voluto stringere tra le sue braccia, lasciare baci su ogni parte del suo corpo e rimuovere tutte le sue insicurezze. Perché Michael era perfetto così com'era e non aveva bisogno di cambiare per piacere agli altri. Questo lui non l'aveva mai capito, non l'avrebbe mai capito. Perché Michael con se stesso era la persona più cattiva del mondo, si odiava. Odiava ogni sua imperfezione. Dalla pelle pallida come un cadavere, alle occhiaie violacee; dalle sue mani, alle sue dita piccole e grassottelle; e poi c'erano i polsi, la sua pancetta, il naso, la sua voce e i nei nel punto sbagliato.
Michael la notte non riusciva mai a dormire, c'era sempre qualcosa che lo teneva sveglio. Allora si alzava e si metteva davanti allo specchio, con i capelli sparati ovunque e il corpo coperto solo da un paio di boxer. Restava letteralmente immobilizzato a fissare la sua immagine riflessa, a volte per ore.
Michael si guardava, si scrutava, si distruggeva da solo.
Poi scoppiava a piangere. Uno di quei pianti silenziosi che rimbombavano assordanti nella stanza illuminata da una luce fioca, dove Luke faceva finta di dormire e intanto si subiva tutte le sue lacrime. Ad alzarsi e andargli vicino non ne aveva mai avuto il coraggio, era terrorizzato che solo a sfiorarlo potesse rompersi e cadere in mille pezzi sul pavimento.
La cosa andò avanti per molto; alla luce del sole Michael sorrideva felice e abbracciava Luke e tutto sembrava okay, ma la sera, dopo aver fatto l'amore, Michael si girava nel letto per molto tempo, poi si alzava e tutto si ripeteva. Tranne una notte di fine agosto. Erano appena tornati da un'uscita al parco, perché Michael amava la natura e stendersi sul prato ad ammirare le stelle per ore. Quella sera però le stelle non le guardò manco per sbaglio, e già qui Luke si rese conto che qualcosa non andava. Aveva il viso più pallido del solito e non parlava, ed era strano perché Michael non chiudeva mai il becco, parlava a raffica anche di stronzate e solo poche cose lo facevano zittire. 

November Rain :: muke os.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora