LA GIOSTRA DEI RICORDI, A CAVALLO DI UN NUOVO AMICO

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Un secondo movimento nel buio attira la mia attenzione. Solitamente le stelle mi eviterebbero la paura dell'ignoto, ma in questo momento la notte è nera come la pece. Ora posso sentire dei movimenti decisi, delle forti schiacciate sul ghiaccio, come un sacco di riso sbattuto sulla pietra. Il mio udito, va necessariamente annotato, è tutto fuorché funzionante, ma le vibrazioni sono così evidenti che percepisco e riconosco il lento incedere dell'essere che avanza verso di me.

Fortunatamente uno, forse l'unico, dei sensi che non mi ha mai tradito in 103 anni di vita è la mia vista, che mi salva da un infarto certo facendomi riconoscere il muso arrotondato, i baffetti ricurvi e gli occhioni neri ,come la notte che ci sovrasta, di una foca. Contrariamente alle mie previsioni non dev'essere un esemplare adulto, avrà si e no compiuto un anno. La pelle argentea in un qualsiasi altro momento di questi suggestivi 6 mesi sarebbe stata benedetta dalle stelle, riflettendo il suo splendore sia su di me che sull'acqua cristallina dell'oceano. Mi meraviglio sia di me stesso, capace di meravigliarmi ancora, che di questo magnifico animale. Sembra molto dolce, con la mano mi avvicino al suo naso umido e nero, in contrasto col volto cinereo. La somiglianza con l'apparato olfattivo dei cani mi pare notevole in quel momento. Il cucciolo ricambia con un affettuoso buffetto sulla mia mano, mi avvicino a lui e lo stringo a me, felice di abbracciare qualcosa di vivo e straordinariamente umano. La mia mente balza subito, con una terribile nostalgia, al lontano 2066, allo zoo di Tao Tsuki, in Giappone. Mano nella mano con la mia principessa restiamo ammutoliti di fronte allo spettacolo offertoci dalla natura. Le sfumature mi paiono molto variopinte mentre sono immerso nei ricordi, mentre il nostro ologramma si sposta, obbedendo alle nostre sensazioni, lungo un immenso parco naturale. Vediamo un panda allattare i suoi cuccioli e, poco distante, in un lago ghiacciato ricostruito, ancora non so come, abbassando notevolmente il microclima solo in quell'area, lungo le sponde del fiume, ci avviciniamo a questo maestoso esemplare di foca. Lo accarezziamo, il feedback tattile funziona bene, sembra reale, ma non lo è. Tuttavia le emozioni che viviamo lo sono, e sono restate impresse nei miei ricordi fino adesso, vivide e pulsanti. L'incontro odierno tuttavia lo preferisco. La magia risiede proprio non solo nel vivere un momento così emozionante, ma anche nella consapevolezza di starlo vivendo davvero. Rimango per diverso tempo a passare il tempo, che sembra non passare mai nell'immobilità dell'artico, con il mio nuovo amico. A malincuore decido di lasciarlo e proseguire nel mio errare, nell'aspettare che la terra che mi stia dando tante emozioni mi congeli definitivamente e mi accolga con se, facendomi scivolare da colei che mi sta aspettando. Mentre cammino tuttavia sento le vibrazioni, noto che Polar, d'ora in poi lo chiamerò così, mi sta seguendo, senza fatica in effetti. Molto probabilmente il mio ritmo non costituisce esattamente una sfida per nessun essere vivente dotato di mobilità.

Cammino per ore in attesa di cambiamenti, nel paesaggio o negli eventi, ma vengo deluso. Preparo "l'accampamento", sistemo il sacco a pelo e dopo aver guardato l'ora chiudo gli occhi. Il mio amico emette qualcosa di simile al russare, per la prima volta dopo 80 anni capisco il supplizio che ha dovuto passare Milena nel convivere con me. Quanto mi amava quella donna.

I sogni, questa notte, sono piuttosto agitati. Sono sicuro che i flashback come quelli provocati da quel tenero animale incidano e scalfiscano nel mio fisico, forse sono troppo stanco anche per pensare, probabilmente costa molta più fatica di quel che possa sembrare.

La notte, a differenza del colore, passa in fretta, a svegliarmi non è Polar, né tantomeno il freddo, né ancor meno la mancanza di sonno. Un'immensa distesa di pinguini si estende davanti a noi, messa in fuga dal rumore acido e imponente della sirena di una spaccaghiaccio. Mi alzo in preda al panico, la grossa montagna sembra stia venendo a Maometto, mi stia per investire. E' a un centinaio di metri la carena punta il mio sguardo, lo cattura per poterlo maciullare. I miei occhi finiranno sotto quella nave, ne sono sicuro.

Comincio a camminare, abbozzando una ridicola corsa che per miracolo non mi fa cadere a terra. Forse posso finire fuori dalla portata del mostro, ma anche il mezzo deve venire in mio aiuto, facendo dietrofront con le gigantesche pale che come delle eliche sollevano, nonostante rimangano sott'acqua, una brezza e una brina che gela le ossa e penetra nell'animo. Fuori, al bordo sembra ci sia qualcuno, sembra che mi veda, se non sta correndo dentro la cabina per quel motivo allora sarò il primo e ultimo centenario a morire investito da una spaccaghiaccio.

IL FASCINO DELLE NEVIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora