Era da tanto tempo che non pensavo al mio primo viaggio nel Paese delle Meraviglie, a quella bambina con i capelli stretti in un fiocco azzurro che si preoccupava di non sciupare il vestito e di tornare a casa in tempo per il tè.
Non ci avevo mai pensato molto in verità; era stato così veloce ricordare, come aprire un cassetto e dire "oh ecco dov'era il calzino!", poi infili il calzino e non ci pensi più, perché dovresti?
Non dovresti, ecco tutto. Perciò nemmeno io mi ero mai preoccupata di farlo.
Eppure lì appoggiata, sul bordo della nave, davanti a me l'ennesimo mistero, ricordai.
Sembrava che il cielo si stesse spegnendo, piano piano, e io mi sentivo diversa.
Non è ancora giunta sera, pensai, e sono stata accorciata, allungata e fatta cadere in una bottiglia.
Sembrava tutto così vero, mi sentivo davvero intrappolata in una bottiglia e credevo veramente di vagare in un mare di lacrime.
Sorrisi e decisi di chiudere gli occhi.
Mi sentii così precipitare nella mia testa, nel mio passato, nei miei sogni. Alla fine caddi.
La prima domanda che mi arrivò alla mente riguardava il vento. Sembrava di essere in mare aperto eppure l'imboccatura della bottiglia non fischiava, nemmeno un sibilo. Mi accasciai sulle pareti di vetro, le mani che si agitavano cercando di sistemare il vestito appena gonfiatosi per colpa dell'acqua o piuttosto delle lacrime.
"Vorrei non aver pianto tanto" mi dissi sconsolata ed irritata. Ma oramai era cosa fatta e odiavo le persone che si lamentano di qualcosa a cui non possono più porre rimedio.
Sbuffai lasciando che il tessuto azzurro ormai irreparabilmente rovinato,i merletti, i fiocchetti e quant'altro, andassero dove preferivano.
"Ecco, contenti? Ora chi la sentirà Margaret!"
Sollevai un dito e schiarii la gola prima di calarmi in una perfetta imitazione del tono di rimprovero della mia sorella maggiore: "Alice, dovresti vergognarti. Ver-go-gnar-ti! Hai preso considerazione delle ore che sono servite ai sarti di famiglia per confezionare questo piccolo capolavoro per te? Dimmi, ci hai pensato mentre cadevi in un buca nel bel mezzo del bosco? E mentre inseguivi un coniglio? E mentre..."
Stavo terminando l'elenco di guai in cui una signora non si sarebbe dovuta mettere quando chiusi la bocca di colpo come uno schiaccianoci. Non c'era nessuno a sentirmi, gatto o essere umano.
Provai a sporgere un braccio fuori dall'imboccatura della boccetta che ora era più grande di me e l'agitai sperando che qualcuno mi vedesse, ma come poteva vedermi qualcuno se non c'era nessuno?
Trattenni un conato di vomito all'ennesima ondata che mi sbattè a sedere. Sentivo la paura risalire per la schiena, non mi sentivo minimamente protetta, cosa a cui ero stata invece fin troppo abituata.
Ero consapevole di trovarmi su un vascello, in realtà perfettamente al sicuro. Ma cercavo di non pensare a quanto quello che stessi facendo sembrasse stupido e così il canto che mi riempì le orecchie parve più vivido che mai.
"Oohh che bella vita fa il marinar....oooooh"
Canticchiai quel motivetto senza un motivo preciso mentre ci avvicinavamo all'isola sconosciuta, anche se sconosciuta non sembrava più molto.
Non so se dare la colpa a quel piccolo sogno ad occhi aperti che mi ero concessa ma quando salii sulla scialuppa con il secondo e altri due marinai vidi una boccetta solcare il mare. Il cartellino diceva "Bevimi".
Smisi di sorridere.
Il secondo remava ed io ero sempre più agitata; tutto taceva, intendo in modo anormale: la natura in generale dovrebbe far rumore, almeno un po'.
Finché il legno non incontrò la roccia, scheggiandosi malamente. Ancora con lo sguardo perso tolsi la giacca, gli stivali e mi tuffai.
Avete presente quando piangete così tanto da avere il sapore delle lacrime ovunque? Negli occhi nella bocca, nel naso, sui piedi? No, certo che no, non così ovunque, vero? Beati voi.
Quando affondai, perché sì, la sensazione era quella, nel mare, oceano o qualunque cosa fosse, mi sentii esattamente così: annegata in un mare di lacrime.
Purtroppo non fu solo questo a spaventarmi. Dovrei esserci abituata, ho visto cose che vanno molto più al di là dell'irrazionalità, eppure non ero preparata a vedere l'impossibile in un mondo fatto di cose possibili.
Le orme che lasciai sulla spiaggia appena arrivai non erano le sole rimaste. Il secondo, che mi aveva seguita a nuoto, non sembrò notare le centinaia di impronte di volatili, anfibi e mammiferi che si ammassavano intorno ai cocchi di un falò ormai spento. Tuttavia sembro sentire fin troppo bene quando sussurrai "la Maratonda".
-Come?- mi chiese correndo per arrivare al mio fianco.
Mi girai per un attimo e lo guardai, mi sembrava di non averlo mai visto prima. Era giovane, molto di più di quanto avessi mai creduto, e di una bellezza non indifferente. Quando guardai i suoi occhi profondi e le sue guance arrossate pensai a quando Will sarebbe stato geloso in una situazione simile. Io con indosso solo camicia e pantaloni e davanti a me un bel ragazzo la cui camicia bagnata lasciava poco spazio all'immaginazione dei suoi addominali.
Chiusi di scatto gli occhi e sorrisi, nel cuore la più innocente speranza.
Non vidi nulla.
-Va tutto bene, Capitano?
-Assolutamente, forza proseguiamo.
Camminai spedita verso la boscaglia.
Dopo ore di cammino, anche se più che di cammino si può parlare di un strana e difficile corsa tra rami spezzati, strane piante, un uomo irritato dagli insetti e un'Alice che sperava tanto di sbagliarsi. Dicevo dopo ore ed ore raggiungemmo un punto in cui gli alberi tanto simili a quelli di Tulgey si interrompevano lasciando spazio ad un piccola radura e una piccola casa.
Non sentivo più nulla. Solo il respiro affannato del secondo. E il mio respiro? Non ve n'era traccia, probabilmente aveva dato forfait quando i miei occhi si erano specchiati in quelle che sembravano proprio le rose del cottage di campagna della mia famiglia.
Mi avvicinai lentamente senza riuscire a sentire il rumore dei miei passi, come fossi in un sogno.
Era tutto come lo avevo lasciato, così erano i vasi sotto le finestre, così la porta di legno, così il piccolo atrio, così i quadri, le piante, i tappeti. Andai verso la mia stanza e aprii la porta con un gesto automatico, come non facevo da molti anni.
Entrare in quella camera mi ha fatto provate una strana sensazione. Suppongo che sia così che ci si sente quando si è costretti dalle circostanze a tuffarsi nel passato, perchè io mi sentivo così: un gigante. Come potevo essere stata così piccola da stare comoda in quel letto? Eppure mi sembrava così grande quando prendevo la mia gatta e mi accocolavo quelle coperte, sotto le coperte a guardare la giornata finire.
Voglio precisare una cosa però: mi sembrava strano, ma non così strano. Insomma, approdare in un'isola apparentemente deserta e sconosciuta e trovare la casa dove passavo le vacanze da piccola avrebbe dovuto turbarmi. Giusto? Almeno un po', avrebbe dovuto. Invece non lo faceva, per niente; mi sembrava solo di essere tornata a casa dopo tanto tempo, lì, con re e regina ancora ben disposti sulla scacchiera, come se niente avesse mai smesso di accadere.
Non so dire in quanto tempo mi ricordai di non essere sola, ne in quando me ne dimenticai di nuovo; e soprattutto non ricordo dopo quanto tempo mi accorsi dello specchio.
Cosa importa? Uno potrebbe chiedersi. È solo uno specchio, giusto?
Mi avvicinai come incantata mentre nella mia testa scorrevano immagini come quelle di un sogno, uno di quelli talmente brutti che ti sforzi di dimenticare. Non avevo ancora accettato gli avvenimenti di quel giorno e per questo, per ora, non li racconterò.
Ma quello specchio, pensai, sapeva. Sapeva tutto.
Mi misi a rivivere ogni cosa senza bisogno di chiudere gli occhi e dentro di me capii che tutto ciò che mi era successo dopo la prima volta che vidi quell'apparentemente semplice pezzo di vetro era successo solo per una ragione: riportarmi lì, quindici anni dopo, di nuovo davanti a quello specchio.
Probabilmente, mi dissi cominciando ad allungare la mano, quello specchio mi aveva aspettato per tutto questo tempo.
Alla fine però, è solo uno specchio, giusto?
Lo stavo toccando con la punta delle dita e una specie di entusiasmo giovanile mi percorse il braccio, dandomi la scarica elettrica che mi fece pressare il palmo su quella superficie liscia. Mentre guardavo la stanza riflessa e lo strano sorriso che non credevo di possedere farsi strada sul mio volto, una vocina nella testa urlava di fermarmi, che avrei fatto ancora in tempo, che proseguire sarebbe stata una pessima idea. Ancora una volta, nel pensiero, mi dilungai in consigli e rimproveri che, ancora una volta, decisi di non seguire. Decisi di prendere la strada sbagliata, pericolosa, facile, e tutto questo solo perché mi rendeva felice.
In fondo cosa poteva succedere di male? È solo uno specchio, giusto?
Armata di cuore fiducioso e credente e tanta irresponsabilità chiusi gli occhi e attraversai lo specchio.
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Alice through the looking glass, escape to the mirror house
FanfictionUn giorno Alice si ritrovò a domandarsi che cosa ci fosse al di là dello specchio, e scrutando attentamente la sua superficie liscia si chiese ancora se valesse la pena andarci. [Primo libro: Alice in Wonderland, retourn to Underworld]