Capitolo 1

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Scendo dal taxi ed immediatamente rimango affascinata dal luogo che ho di fronte. Davanti a me un sontuoso cancello in rame delinea i margini di un maestoso giardino. Mi faccio coraggio ed entro mentre il tassista mi chiede, con impeccabile accento parigino, se debba lasciarmi gli scatoloni così distanti dall'ingresso. Faccio cenno di si, lo ringrazio e, abbandonando ogni mio avere fiduciosa del fatto che qualcuno verrà ad aiutarmi, varco finalmente il cancello. Intorno a me è tutto magnifico. Il prato all'inglese è perfettamente tenuto, mentre un percorso lastricato indica la via da seguire. Continuo a guardarmi attorno sempre più meravigliata e mentre da un lato scorgo un labirinto di siepi, in lontananza alla mia destra emerge quella che sembra essere una foresta di querce secolari.

Ma è il castello che mi toglie letteralmente il fiato. Di colpo mi sembra di essere catapultata in una fiaba grazie allo spettacolo che ho di fronte. Quattro, cinque, sei torri si innalzano davanti a me. Bianche, a pianta circolare e con i tetti a forma di cono, collegate da spessi muri pieni di enormi finestroni colorati.

"Tu devi essere Lena, il nostro nuovo acquisto. Piacere, io sono Artur e mi occupo di tutto questo terreno che vedi intorno." Ecco un bel ragazzo, alto ed abbronzato che mi porge la mano.

"Piacere, io sono Lena. Lena Greco. La nuova insegnante di letteratura italiana." E porgendogli la mano sorrido.

"E ti presenti così a mani vuote senza nemmeno una valigia con te?"

"Veramente ho lasciato tutto dal cancello. Non sapevo se il taxi poteva entrare e così..."

"Non preoccuparti, prendo la mia fedelissima ape e ti recupero tutto io. Ti farò trovare i bagagli già in camera. Tu vai sempre dritta e tra circa un quarto d'ora troverai l'ingresso!"

Un quarto d'ora? Ma questi sono tutti pazzi!

"Sicuro che non posso aiutarti? Così magari porti anche me su quell'ape!"

"Sicuro, e guarda che scherzavo. L'ingresso è tra trecento metri, dopo quell'arcata di rose."

E così sparì in direzione opposta alla mia mentre io mi affrettavo a percorrere questi pochi metri che mi separavano del mio futuro, elettrizzata come non ero da troppo tempo ormai.

"Buongiorno signorina Greco."

"Buongiorno a lei signorina Dubois."

Sono seduta in presidenza, un'enorme stanza con affreschi del XV secolo, tappezzata da un'immensa libreria che sembra sfidare tutte le leggi della fisica nello stare in piedi. Quasi non ascolto la preside parlare tanto che sono rapita dalla meraviglia che c'è attorno a me, soprattutto lo zampillio della fontana a forma di angelo che intravedo dalla finestra sembra avermi ipnotizzata.

"Mi ascolti? Lena? Ti ricordo che tu qui sei l'insegnante, non puoi farti riprendere come una qualunque scolaretta. Lena?"

"Si?" trasalisco accorgendomi di essere l'unica persona nella stanza alla quale la preside si sta rivolgendo. "Scusi signorina Dubois, stavo contemplando questo luogo meraviglioso. Le edizioni sulla libreria sembrano essere originali."

"E lo sono! Come ti stavo spiegando questa era una delle tante dimore estive di Francesco I di Francia. Ed inoltre stavo dicendo che possiamo darci del tu. Non amo essere troppo informale con i miei collaboratori."

"Si, ha ragione, cioè hai ragione." Arrossisco evidentemente colta in flagrante. Bella figura, come faccio a farmi seguire da un gruppo eterogeneo di adolescenti se sono la prima a non ascoltare un adulto che parla?

"Ti vedo stanca dopo questo viaggio. Lascia che ti accompagni nel tuo appartamento, così puoi darti una sistemata e riposarti un po'. Mancano ancora un paio d'ore alla cena. Esplorerai il castello domattina."

"Forse è meglio. In effetti il viaggio è stato lungo e stancante anche a causa del caldo." Sorrido educatamente e mi congedo con in mano la cartina che mi porterà al mio alloggio, la mia casa per i prossimi dieci mesi.


"Lena tesoro, aspettami!"

"Amore ho comprato tutto per cena non preoccuparti, la festa sarà un successo. Ma Cri stai attento!"

"Lena!"

"Noooo!!!"

Una macchina nera, una berlina che sfreccia a pochi metri da casa. Lo schianto, il botto. Il suo corpo, inanime, steso a terra. Sangue, tanto sangue, una pozza di sangue che si allarga in un battito di ciglia. La macchina che sfreccia via, senza nemmeno il rumore di una frenata. Le mie urla, le mie mani piene di sangue, il suo sangue. Il suo corpo steso a terra. Non si muove, non respira. Il suo corpo steso a terra. Morto. Le mie urla, il suo sangue, il suo corpo steso a terra.

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