Capitolo 2

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Mi sveglio sudata, agitata, con un grido strozzato in gola e gli occhi gonfi di lacrime ormai stanche di uscire. Ancora quest'incubo! Non me ne libererò mai... Dove sono? Non capisco, tutto è buio e questa non è casa mia. Poi realizzo, ricordo. Già, la scuola, il nuovo lavoro. Stringendomi attorno alle coperte provo a respirare più profondamente e a cacciare l'imminente attacco di panico che ogni notte, nell'ultimo anno segue questo sogno. Lui non c'è più, devo farmene una ragione. Quella stramaledetta auto l'ha ucciso proprio sotto ai miei occhi. Devo subito allontanare questi pensieri. Ormai sono diventata brava a controllare i miei attacchi di panico e, respirando profondamente, accendo le luci nella stanza.
Ora ricordo ieri sera. Ho conosciuto tante persone, troppi colleghi. Mille discorsi che non ho ben afferrato, un grande finanziatore, tanti ragazzi orfani. Annuivo, ma in realtà non ascoltavo nessuno. Ogni tanto mi capitava nei mesi scorsi. Avevo come dei black-out, come se il mio cervello si spegnesse. E così sorridevo annuendo al mondo, un mondo che in realtà lasciavo fuori. Non mi era più successo, il mio analista non ne sarebbe contento... Chissà sarà stato lo stress di ieri. Poi che altro ho fatto dopo cena? Ah sì, ho visitato qualche stanza di questo istituto e poi sono finalmente corsa a nascondermi nella mia camera (un'enorme camera con bagno privato, frigobar e una grossa vetrata che dà sul labirinto, un po' inquietante a dire il vero). Ora sono le quattro e so già che per questa notte non dormirò più.

Decido di alzarmi, una doccia calda  in genere mi aiuta a calmarmi. Mi infilo i jeans, una maglietta e lascio scorrere le ore disfando le valigie e sistemando i miei libri sullo scaffale in modo quasi maniacale: tutto rigorosamente in ordine alfabetico per quel che riguarda gli autori e in ordine di pubblicazione per quel che riguarda le opere.
Sono le sei e la mia stanza ha già assunto un'aria più familiare, più mia. Sorrido.
Decido di dirigermi verso il salone speranzosa del fatto che abbiano già servito la colazione (ieri devono avermi detto qualcosa in tale proposito, ma come ho detto, ero in uno dei miei momenti di black-out).
Esco dalla stanza ed è come se vedessi questi corridoi per la prima volta. Magnifici, anche se devo ammettere che al buio sono un po'spettrali. Mi dirigo in fondo verso la scalinata quando una serie di rumori sordi catturano la mia attenzione. Provengono dalla stanza alla mia destra e sembrano indicare una colluttazione. Mi avvicino cercando di non fare rumore, allo stesso tempo incuriosita  e spaventata. Decido di farmi coraggio, d'altronde ora qui sono un'insegnante ed ho diritto di entrare se qualcosa mi sembra sospetto. Appena poggio la mia mano sulla maniglia un rumore di vetri rotti mi fa sobbalzare ed immediatamente spalanco la porta.
"Cosa sta succedendo qui dentro?" All'improvviso mi ritrovo in una camera simile alla mia, ma molto più grande. Deve essere stato un effetto ottico perché entrando mi è sembrato di vedere la libreria spostarsi, come se fosse una porta che si chiude.
"Mi scusi, lei sarebbe?" Un uomo sulla quarantina si avvicina a me. È alto e la maglietta attillata rivela un fisico molto atletico.
"Ecco io sono Lena. Lena Greco."
Farfuglio evidentemente in imbarazzo per essere entrata come una pazza in quella che deve essere la stanza di un insegnante.
"Ah, il nostro nuovo acquisto. Piacere" dice porgendomi la mano.
"Sono Pierre Martin, insegnante di matematica."
"Piacere mio e mi scusi tanto. Ho sentito dei rumori e non ho pensato che questa potesse essere una camera di un collega. Mi scusi ancora."  

Sono enormemente imbarazzata, questo tizio non mi piace per niente. Ha lo sguardo glaciale e mentre mi affretto ad uscire  vedo delle macchie a terra vicino alla libreria, a quella libreria che mi sembrava si muovesse. E mentre lui mi chiude frettolosamente la porta in faccia quelle macchie assumono l'inequivocabile aspetto di macchie di sangue.

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