Capitolo uno

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Sbattere un uomo in carcere, lasciarlo solo, in preda alla paura e alla disperazione, interrogarlo solamente quando la sua memoria è smarrita per l'agitazione, non è forse come attirare un viaggiatore in una caverna di ladri e assassinarlo?

Voltaire

Blaire

Apro gli occhi per la prima volta dopo chissà quanto tempo,incrostati perché chiusi per troppo tempo.

La prima cosa che vedo,sono le mie mani. Ammanettate ad un asta di ferro.

E poi ricordo... i due russi,io che ficco il naso dove non devo,io che corro,un braccio intorno al mio collo e poi... poi il nulla. Non ricordo null'altro. Zero,nisba; non c'è niente nella mia mente che mi ricordi a come sono arrivata qui.

Sono seduta su un cuscino bianco,sporco di Dio solo sa cosa,con i capelli appiccicati alla faccia e le braccia alzate che mi fanno malissimo,probabilmente per averle tenute in alto così a lungo.

Mi giro,per cercare di capire bene dove mi trovo. Cristo,sembra una cella! No,ma che dico... questa è una cella veramente.

Il pavimento è di un cemento nero e sporco,con un letto che potrebbe essere considerato tale solo per un bambino dalla statura inferiore al metro e trenta,ed un water alla fine della stanza. Fondamentalmente è una stanza grande,ma che ci fa uno con tutto questo spazio se è legato ad un'asta?

Solo dopo,mi accorgo che un uomo è seduto a terra alla parete opposta alla mia,accanto alla porta. Ha un mazzo di chiavi nelle mani e gli occhi chiusi.

"Sarà quello che mi controlla."

Anche lui è un uomo grosso,dal corpo enorme degno di un lottatore di sumo,e la paura inizia a crescermi dentro. Mi si inietta dentro come ago,solo che mi finisce dritto al cuore,nello stomaco,nella testa... e io non ci capisco più niente,non so se dare retta alla testa,al cuore o allo stomaco.

E se mi picchiasse? O se,nel caso peggiore,mi violentasse? Nessuno mi sentirebbe,attraverso quella minuscola finestra sul soffitto,che mi permette di vedere che è notte. Quanto sarà passato?

All'improvviso l'uomo si alza ed inizia a picchiare pugni contro la porta di ferro. «Ona prosnulas',Dimitri»!,grida.

"Gli sta dicendo che mi sono svegliata",penso. "Ma chi è Dimitri?"

Dopo una decina di pugni ed altre parole dette in un dialetto che non riconosco,uno dei due uomini della sera precedente entra dentro la stanza. È quello con i capelli lunghi di un biondo cenere,anche lui enorme tanto da incutermi timore.

Si avvicina a me,ed ogni suo passo mi calpesta lo stomaco un po' più fortemente. Mentre io cerco di rannicchiarmi contro l'angolo della stanza,almeno per quanto le manette mi permettano,lui si china di fronte a me,con il naso che sfiora il mio ed il respiro che mi sfiora le labbra.

Lui è bellissimo,con questa pelle candida come un batuffolo d'ovatta,gli occhi azzurri puntati nei miei ed i capelli lunghi fino alle spalle. Ha la barba piuttosto lunga,e mi pizzica il mento.

«Chi è che ti ha mandato,devushka?» mi chiede,con quell'accento che lo rende strano ma al contempo sexy.

Per un po' mi limito a guardarlo e a cercare di capire le sue intenzioni dagli occhi. Poi,dico: «Nessuno.»

Lui aggrotta la fronte e mi passa un dito dalla guancia al labbro inferiore,facendomi sussultare.

«Kravisyy.» Bellissima,dice. «Mai visto niente del genere»

Io mi scanso dalla sua mano muovendo la testa e lui fa un ghigno,alzandosi e dirigendosi verso la porta.

«Mi troveranno» gli dico. «Mi staranno già cercando. Quando scopriranno dove mi trovo,per te sarà la fine. Per voi,lo sarà.»

Lui si gira verso di me,con una mano poggiata alla porta di ferro e con uno sguardo serissimo,degno di un sicario.

«Nessuno ti troverà,malen'kiy nostayy.» Piccola ficcanaso.

Si sbatte la porta dietro e,lasciando me e l'omaccione sbragato per terra,con il mazzo di chiavi tra le mani,da soli.

Lui mi fissa,con uno sguardo divertito sulla faccia che mi manda fuori dai gangheri,anche se non sono esattamente nella posizione di trattare le persone come mi pare.

«Bè,che c'è da ridere?»

Lui scuote la testa e si alza,venendo vicino a me,e ripetendo la scena precedente: naso contro naso,mano sul viso,dito che scivola sul mio labbro.

Ma il suo sguardo non è come quello dell'uomo di prima,non è uno sguardo d'ammirazione; il suo è uno sguardo viscido,desideroso.

«Non hai idea di cosa io stia immaginando in questo momento. Questa bocca...»

«Ostavit' yeye v pokoye,Roman.» Lasciala stare,Roman.

La voce viene da fuori la porta,ed io non so chi sia a dire a Roman di fermarsi,di lasciarmi stare. So solo che,quando entra,il mio cuore batte un po' più forte del normale,ed il mio stomaco si attorciglia più di quanto sia già annodato.

«Vattene,ci penso io adesso.» dice il ragazzo.

È giovane,avrà più o meno la mia età,gli occhi marroni ed i capelli arruffati. Ha il viso impastato dal sonno,sembra essersi appena svegliato. Fra le mani ha un vassoio che,dal basso,non riesco a vedere cosa porti sopra. Tuttavia,al comando del giovane,Roman,che è più grosso e più grande sicuramente d'età,si alza e se ne va,senza borbottare altro. Questo si,che è strano.

Il ragazzo poggia il vassoio accanto a me e,dopo essersi assicurato che Roman abbia chiuso la porta dietro di sé,tira fuori una chiave e mi smanetta.

Subito le mie mani corrono a massaggiare i polsi doloranti e le braccia.

«Mi dispiace per tutto questo,Blaire. Non volevo che ti facessero...»

«Come sai il mio nome?»

Lui ride. Un suono profondo,ma allo stesso tempo vellutato. «Abbiamo dei metodi di ricerca molto efficaci. Come dicevo,non volevo che ti ammanettassero. Non appena l'ho saputo,sono venuto qui. Hai fame?»

Annuisco,e lui prende un pezzo di pasta sfoglia dal vassoio,per poi ficcarsela in bocca. «Ti piace il Pasty?» mi chiede,la bocca piena.

Il Michigan Pasty è un piatto tipico del Michigan,un involucro di pasta sfoglia che si annoda intorno a patate e carne. Certo che mi piace!

«Si» mormoro.

«Bè,a chi non piace questa merda?» ride.

Si accomoda per terra e,con le braccia conserte posate sulle ginocchia,mi guarda mentre mangio. Sono affamatissima,non ho idea di quanti giorni io abbia dormito.

«Da quanto tempo sono qui?» chiedo,con la bocca strapiena di roba. Devo fare abbastanza schifo in questo momento,ma me ne frego.

«Due giorni» dice,con il suo inglese perfetto,continuando a scrutarmi in quel modo che non riesco a capire.

Non è possibile che io sia qui da due giorni interi. Non mi sveglio da due giorni... Dio,la mia famiglia starà impazzendo! Penseranno che io abbia fatto la fine di Grayson,arrendendosi e smettendo di cercarmi... no. Mi rifiuto di pensare che smetteranno di cercarmi,o che non ci abbiano neanche provato. Mia madre non è una che si arrende,lei continuerà a cercarmi finchè non mi troverà. E così mio padre,esattamente come i miei fratelli. Loro mi troveranno.

Alzo lo sguardo verso Tyler,che mi guarda accigliato,mentre dentro di me qualcuno urla,qualcun altro piange e un altro ancora si rannicchia su sé stesso,come me,in questo momento,che mi raggomitolo contro l'angolo della stanza oramai di conforto.

«Voglio andarmene.» dico,dopo qualche minuto di silenzio e di soli scambi di sguardi.

Lui prende un altro pezzo di pasta sfoglia,se lo infila in bocca e si alza. «Non puoi» dice.

«Perché no?» sussurro.

Tyler spalanca la porta e,prima di uscire e sbattersi la porta dietro,dice: «Perché adesso sei nostra.»

Le stelle guardale da quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora