1995

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1995 dicembre
La pioggia scendeva incessantemente da due giorni e non accennava a smettere, la città era triste in quella veste umida e spoglia di qualsiasi attività all'aperto.
Mia nonna mi chiese di andare a portar via l'immondizia, non presi l'ombrello contando sul fatto che il cassone era a pochi metri dall'uscio di casa. Corsi con il sacchetto verso il bidone in acciaio, azionai con il piede la leva di apertura e lanciai il sacchetto contenente i rifiuti di pochi giorni.
Girandomi per tornare verso l'asciutto notai una figura accovacciata dietro ad una macchina protetto dalla balconata soprastante.
A quell'epoca nel quartiere ci si conosceva tutti, quindi istintivamente mi recai verso quel corpo inginocchiato sull'asfalto bagnato con la speranza che non fosse nulla di grave, arrivai alle spalle e quando il mio sguardo sovrastò la sua testa mi accorsi di chi si trattava e di cosa stava facendo.
Franco aveva appena finito di prepararsi la dose e si apprestava a farsi la pera quotidiana. Eravamo amici dall'infanzia, grandi amici, poi come spesso accade ci si perde ma mai completamente. Lui aveva scelto delle compagnie alternative e ormai girava da tempo la  voce che fosse finito nel tunnel dell'ago.
Ma cosa stai facendo Franco?-
sentivo montare dentro di me nervoso, impotenza e rammarico per quell'amico in qualche modo perso.
Vattene via, lasciami stare –
Istintivamente presi lo strumento di morte dalle sue mani, lui si alzò di scatto ma non in tempo per evitare che io gettassi a terra la siringa e la calpestassi con tutta la mia forza frantumando la plastica e disperdendone il contenuto potenzialmente letale.
Ma cosa fai? stronzo che non sei altro –
Lo guardavo, e vedevo una persona distrutta, un gioventù mai vissuta. Le lacrime iniziarono a solcare il mio viso. Si avventò contro di me, tentò di sferrarmi un pugno che schivai.
Iniziai a prenderlo a schiaffi con tutta la mia forza.
Perché Franco, perché? –
continuavo a schiaffeggiarlo piangendo, la rabbia nel vedere il mio amico così conciato mi annientava l'anima.
Si abbandonò a me con le braccia lungo i fianchi, lo abbracciai come un padre farebbe con il proprio figlio e sotto la pioggia battente le nostre lacrime continuavano a solcare i nostri visi, il mondo intorno a me era annebbiato.
Non voglio morire così – mi disse singhiozzando.
Restammo uniti in un abbraccio eterno quanto fraterno.
Quella fu l'ultima volta che vidi Franco in vita.

1975 estate
Cazzo se ci beccano i nostri genitori ci fanno la pelle – disse Alessandro mentre innescava il verme sull'amo con un accenno di sorriso beato sulle labbra.
Basta rientrare prima che inizi a calare il sole e non se ne accorgerà nessuno – risposi.
Eravamo tutti e quattro li, in riva al nostro torrente distante circa 15 Km da casa, un'avventura pianificata due settimane prima,  i soldi di una settimana dedicati ai ghiaccioli erano stati sapientemente nascosti in una scatoletta riposta in un antro della cantina condominiale.
Avevamo raggiunto la cifra imposta che ci avrebbe permesso di comprarci le esche.
La corsa da casa al fiume con biciclette da adulti, le famose "28", nessuno di noi toccava a terra se non mettendosi sul tubo e allungando al massimo la punta dei piedi. Avevamo sette anni e quelle erano le nostre vacanze estive.
Franco e Ferruccio pescavano poco sopra di me e Alessandro, il sole scaldava i torsi nudi e glabri di bambini spensierati.
Allora state prendendo qualcosa laggiù? - Disse Franco
Nemmeno la scarpa di tuo nonno – disse Alessandro
Ahahaha –
E voi? -
Nemmeno il moccio di tuo fratellino – rispose lui.
La giornata era pregna di spensieratezza e avventura. Tutti insieme, come sempre, a contemplare un galleggiante che non accennava a muoversi, e poi il torrente, la quiete che diffondeva con il suo lento scorrere.
Era una giornata speciale per le loro vite. Fecero il bagno in mutande e si distesero sul prato alle loro spalle asciugandosi al tempore dei raggi. Il profumo dell'erba era intenso, sapevamo che quando gli indumenti si fossero asciugati sarebbe stata ora di rientrare.
In un silenzio irreale in cui guardavamo il cielo terso, Franco ruppe quello stato di grazia.
Ma voi cosa volete fare da grandi? –
Si voltarono a guardarlo, poi come se tutto fosse già pianificato iniziò Alessandro a parlare.
Io vorrei diventare un calciatore professionista, ma non uno qualsiasi, i miei gol devono essere ricordati per sempre, avete presente quella foto sui pacchetti delle figu? Ecco tutti gol in acrobazia, voglio vedere le curve venire giù dalla gioia.
Si voltò e parlò Ferruccio
A me piacerebbe fare il ciclista come mio zio, ma voglio essere bravo come Moser, anzi meglio, -
Ahaha tu al massimo sarai come Saronni – feci eco sapendo che era il suo punto debole.
Col cacchio, piuttosto di fare il succhiaruote mi mangio il moccio davanti a Daniela –
Ma se non è nemmeno la tua ragazza, ho visto il bigliettino che le hai dato a scuola, la croce era su no e quindi puoi mangiartelo il moccio –
Sei uno stronzo Max. –
Lo so, e tu un succhiaruote –
Gli altri si misero a ridere quando Ferruccio accennò una amichevole zuffa con me che finì in una rovinosa caduta nel prato.
Era il mio turno.
Io vorrei fare il pilota di motocross, come quelli che ho visto nella pista di Lombardore -
Ma non volevi diventare un astronauta? – Chiese Ale
Si ma mi hanno detto che devi prendere non so quante lauree, io non ho voglia di studiare una vita, meglio il motocross –
Toccò infine a Franco
Il mio sogno è di guidare il camion di mio papà, voglio girare l'Europa e il mondo non solo l'Italia proprio come fa lui, lo voglio rosso con tanti fari sul tetto e anche sotto la targa, mi devono vedere tutti quando passo. In quello che hanno dato a  mio papà da poco hanno anche messo il letto. Io ci vivrò e vedrò tutto il mondo. –
Il sole stava scendendo, inforcammo le biciclette e sorridenti tornammo verso casa con quella che fu la prima vera avventura della nostra vita.
Non avevamo ancora la consapevolezza che il tempo ci avrebbe cambiato, in fondo avevamo tutto, e per noi all'epoca il tutto era l'amicizia.
1996 Febbraio
Il corpo lo trovarono ai giardinetti quelli dell'infanzia dove ci si trovava tutte le sere.
Lo trovò l'ubriacone del palazzo sopra la birreria adiacente ai giardinetti mentre portava il cane ad espletare i suoi bisogni quotidiani.
La siringa era ancora piantata nella vena della caviglia, overdose fulminante, chissà che merda gli avevano passato quella sera.
Ci ritrovammo tutti insieme ad accompagnarlo nell'ultimo viaggio.
Erano molti anni che non ci si frequentava più assiduamente, ma noi tre di norma non facevamo passare un mese senza ritrovarci, fosse anche solamente per un aperitivo. Discorso diverso era per Franco di cui per anni avevamo perso le tracce, non sapevamo più dove abitasse e se avesse un tetto stabile sopra la testa, questo sino a quando apprendemmo la notizia del  ritrovamento del corpo.
Avevo raccontato a tutti del mio incontro in quella sera piovosa di dicembre, anche se timido, qualche tentativo di cercarlo lo avevamo fatto, ma era praticamente impossibile sapere dove fosse finito.
Ferruccio era diventato una dirigente aziendale, Alessandro un artigiano ed io.. beh nel mio caso il motocross non è mai iniziato, mi sono sempre arrangiato con lavoretti, e devo ancora decidere  cosa fare da grande.
Franco non ha mai guidato il camion, nemmeno quello di suo padre, è cresciuto troppo presto, ha bruciato tutte le tappe compresa quella sulla vita. In quella bara vi era una persona che non faceva parte del nostro presente, ma tutti noi eravamo consapevoli di chi era stato, del nostro legame e di quello che avrebbe ma non ha mai potuto e voluto essere.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 21, 2020 ⏰

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