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-Questo, signori, è un addio, ma anche un benvenuto. Oggi, saluteremo una persona importante. Un'eroina, un'amica, una sorella. Noi tutti, siamo grati a Stephanie Condor, per esserci sempre stata, e le promettiamo, che anche noi ci saremo per lei. Qui, o in paradiso, attraverso la preghiera.
Adesso, prendiamoci per mano.

Riuscii a sentire le persone avvicinarsi a me, per fare ciò che gli si era stato chiesto.
Incrociai le braccia al petto, e indietreggiai.
Accanto a me, mio fratello Parker, aveva capito che non volevo prendere le mani di nessuno, e così, prese quelle di mio padre, che si limitava a non darmi conto.
Sapevo alla perfezione che tutt'e due stavano cercando di trattenere le lacrime, eppure non potevano.
Come si può non piangere per qualcuno?
Ma io non sono nessuno per chiedere questo tipo di cose, perché io non stavo per piangere.
Fissare quella bara, che sarebbe stata depositata sotto terra subito dopo il nostro ritorno a casa, era come infilare lentamente un ago dentro la pelle.
Mia madre era lì. All'interno.
Lavorava in ospedale, era una grande dottoressa.
La conoscevano più o meno tutti, guariva sempre le persone, non sbagliava mai nulla.
Un giorno, però, svenne, e quando i medici la visitarono, si accorsero che si trattava di Cancro.
Così fecero di tutto, ma, eccoci qui.
Intanto tutti stavano pregando, mentre io non ce la facevo più di restarmene lì ferma.

"Non ce la faccio, io vado" bisbigliai a mio padre e a mio fratello.

Mi feci largo tra le persone, i parenti, e gli amici di mia madre, per poi aumentare il passo.
Uscii dal cimitero, e continuai a camminare.
Prima di venire qui, ricordai, che in macchina avevamo salito un ponticello per arrivare, così decisi di dirigermi là, almeno non sarei stata tanto lontana dagli altri.
Mi appoggiai alla ringhiera, e osservai il fiume di sotto.
Se tutto ciò non fosse successo, fra un mese mi sarei ritrovata in un aereo, con mio padre, Parker e mia madre, verso la Francia.
Le avevano offerto un lavoro lì.
Lei diceva sempre che non voleva andarci, ma in realtà voleva eccome, solo che non le andava a genio l'idea di spendere denaro.
Diceva che poi sarebbe spettato a me e a mio fratello, ma poco ci importava.
Desideravamo fare questa vacanza, tanto, stare un po' in famiglia, insieme...
Lentamente mi toccai gli occhi, ed erano ancora asciutti.

"Disturbo se..." Sentii, all'improvviso, da una voce alle mie spalle e sobbalzai.

"Mio Dio" dissi, voltandomi.

"Ehi, siamo vicino ad un cimitero, io eviterei"

Mi ritrovai davanti un ragazzo, che non poteva avere di più di diciotto-diciannove anni, almeno così sembrava per via del suo aspetto.

"Mi hai spaventata" mi voltai, tornando a guardare il fiume.
Quel tipo fece lo stesso, e si sporse così vicino, da toccare il mio gomito con il suo.

"Scusa" sospirò.

Gli lanciai un'occhiata, sembrava un tipo apposto.
Ma decisi di non prestargli troppe attenzioni.
Mi passò per la mente di tornare a casa da sola, non mi sarebbe dispiaciuto fare una passeggiata per pensare.
Sapevo soltanto, che mi ero stancata di non fare nulla.

"Mi chiamo William" disse lui.

"Rosalie. Rose fa lo stesso"

"Allora, se posso chiedere" continuò "Come mai sei qui tutta sola, Rose?"

Fui incerta se dirgli la verità, oppure inventarmi qualcosa.

"Beh...Mio padre, è andato a portare dei fiori, ad un suo vecchio amico, al cimitero. Sto aspettando che torni, e tu? Se posso chiedere anch'io.". Inventai, non volevo rendere la giornata ancora più triste, di quanto già non lo sia.

"Io, torno dal funerale di mio fratello"

"Mi dispiace"

"No, non è vero" sorrise sofferente lui. "Non ti dispiace affatto"

"Come, scusami?" Domandai.

"Non ti dispiace affatto, non lo conoscevi. E se l'avessi conosciuto, non ti dispiacerebbe comunque" concluse.

Mi sentii molto confusa, e staccai gli occhi dalla figura accanto a me.

"Va bene..." Sussurrai.

"Posso chiederti un'ultima cosa?"

"Fa pure" disse William.

"So che sembrerò maleducata, e mi scuso per questo...ma a te dispiace? Parlo di tuo fratello, non ti viene da piangere?"

Si voltò verso di me, tenendo il braccio ancora sulla ringhiera.
L'osservai bene, era molto alto.
Il vento gli scompigliava i capelli, e il suo sguardo sembrava triste, e confuso.

"Piangere lo riporterebbe in vita? Servirebbe a farmi stare meglio?" Chiese.

Analizzai bene ciò che disse, e mi sentii una grande idiota. Come potevo aver fatto quella domanda?
Sentii un'ondata di calore travolgermi, e mi vennero quasi i brividi.

"I-io.." Balbettai "Scusami, hai ragione..che domanda stupida" sussurrai alla fine.

"No, no" contrastò William "Non fa nulla"

Lo vidi indietreggiare, e poi voltarsi. Se ne stava andando. Feci lo stesso anch'io, ma dopo due passi ci ripensai.
Mi avvicinai a lui, che stava quasi per scendere dal ponte.

"Mia madre è morta" rivelai "Stanno facendo il funerale, adesso"

Si girò lentamente, e rimase dov'era.

"E tu? Tu non piangi?" Sorrise.

"Mi farebbe sentire meglio?" ricambiai il sorriso.

"Credo di no" sospirò lui.

E se ne andò, lasciandomi sola, sul ponte.

Mi guardai in torno, per farmi venire qualche idea, e in quel momento ricevetti una chiamata. Era Parker.
Aspettai che il telefono finisse di squillare, e dopo ascoltai il messaggio che mi aveva lasciato in segreteria.

"Rose" disse "Abbiamo finito, qui. Mi dispiace che te ne sia andata, stiamo tornando in macchina. Se vuoi andare a casa per i fatti tuoi, va bene. Papà è un po' preoccupato, ma sappiamo che non ti accadrà nulla...quindi, ti aspettiamo a casa. Ciao"

Posai il telefono dentro la borsa, e m'incamminai per tornare da sola.

'Non ci lasciamo mai andare a piangere con tutta la disperazione che vorremmo. Forse abbiamo paura di annegare nelle lacrime e che non ci sia nessuno a trarci in salvo.'
-Erica Jong

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