Rain

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Odiava la pioggia. La odiava dal profondo. Ma sapete cosa odiava ancora di più? Il fatto che piovesse quando aveva organizzato un piccolo viaggio (viaggio, chiamiamola... visita) per andare a casa di un suo amico sul Lago. Al momento era coperto, certo, ma quella cosa lo irritava non poco: era ben noto per la sua sfortuna nelle organizzazioni delle uscite tra amici e questo ennesimo evento non aveva fatto altro che confermare questa credenza. Ciò, stranamente, non era dovuto a lui, una volta tanto. Era a causa di quella maledetta donna che, ogni volta che usciva di casa, gli diceva: "Perchè non ti porti..."
Ma lui la interrompeva ogni volta, sapendo che detto il nome di quel maledetto oggetto, la maledizione, improvvisamente, si avverava.
Ed eccolo lì, sotto la pioggia, ben protetto per sua fortuna/sfortuna, mentre aspettava l'autobus. Aveva incominciato a piovere precisamente nel momento in cui era uscito di casa: chissà come mai?
L'Autore continuava a maledire, nelle lingue che gli capitavano sotto mano, quel maledetto oggetto (che nonostante tutto lo stava aiutando) e di quella fattucchiera che lo aveva stregato. Osservò il suo orologio, domandandosi quanto tempo ci stava mettendo quel dannato treno ad arrivare. Neanche il tempo di dirlo, che la classica e atona voce metallica risuonò nell'aria, avvertendo tutti i presenti del ritardo del treno di 10 minuti.
"Ci scusiamo per il disagio."
"Tua sorella, quell'imbecille." Rispose lui, borbottando.
La giornata era destinata solo a peggiorare.

L'orario d'arrivo previsto dall'insegna era delle 11.10, un orario ideale per evitare il traffico della strada per andare al Lago di Garda. L'autobus non era uno dei più veloci, ma almeno aveva la musica a tenergli compagnia. Guardò l'oggetto maledetto ancora una volta, minacciosamente.
"Qui dentro non vali niente, la pioggia non mi tocca." Gli disse, come se stesse parlando con una persona.
Ovviamente il suo compagno non rispose e rimase lì immobile, senza reagire in alcun modo. L'Autore gli gettò un'ultima occhiata di sdegno, poi si ridedicò alla sua musica.
E l'autobus si fermò.
"No, ti prego..."
Si alzò dal suo posto e si sporse dal finestrino, strabuzzando gli occhi: una chilometrica fila di macchine si stagliava davanti all'autobus, bloccando completamente la strada. L'Autore si abbandonò nuovamente sulla poltroncina della vettura, con un pizzico di disperazione negli occhi.
"Fai che si sgombri in fretta. Fai che accada o giuro che prendo questo... mmmmh, porca la mamma di Jes!"
Sentì una voce abbastanza nasale risuonare nella sua testa, ma la ignorò completamente, conoscendo il soggetto.

Passò un'intera ora. Un'intera ora e l'Autore arrivò finalmente alla sua destinazione. Scese dall'autobus, con j nervi a fior di pelle e con il fumo che gli usciva dalle orecchie. La cosa peggiore, infatti, era che il tempo durante il viaggio, era cambiato: uno splendente sole si stagliava nell'ormai chiaro cielo e la temperatura era aumentata di molto, portandola a circa 30 gradi. E lui era vestito in modo per nulla leggero, quindi soffriva il doppio. Una volta che l'amico gli aprì la porta, lo squadrò da cima a fondo e rise leggermente.
"Ma perchè sei vestito così? Non vedi il sole?"
L'Autore gli mostrò l'oggetto che aveva in mano.
"Tutta colpa di questo dannato onbrello! Se mia madre non mi avesse dato l'ombrello, non avrebbe piovuto e non mi sarei dovuto vestire così! Qiella strega..."
L'amico non capì bene come potesse essere un ombrello causa della sua rabbia e si limitò ad alzare le soalle ed ad accogliere l'Autore in casa.

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