LA PARTENZA

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I vestiti facevano fatica ad entrare in quelle piccole enormi scatole, le foto nelle cornici si incupivano mentre le spostavo dalle mensole su cui erano solite alloggiare e le mura che venivano svuotate davano alla casa un'aria deperita, quasi come se stessimo impacchettando i suoi nutrienti. 

Mi avevano detto che trasferirsi non fosse facile ma mai avrei immaginato fosse così doloroso... continuavo a sfiorare la custodia di quella stupenda struttura immersa nel verde di una meravigliosa campagna; chiudevo gli occhi e assaporavo a pieno l'odore dell'erba appena tagliata, ancora bagnata dalla pioggia del giorno prima; guardavo con malinconia le bellissime imperfezioni del tavolo che mio padre realizzò interamente da solo; accarezzavo con gli occhi il nostro enorme divano su cui, se mi sforzavo abbastanza, riuscivo ancora a vedere me e mio fratello litigare per il telecomando, mentre i nostri genitori ridevano coscienti del fatto che, come al solito, Isaac avrebbe avuto la meglio. Purtroppo, pensai, non avrei potuto creare gli stessi ricordi in una nuova città perché i protagonisti degli stessi, esclusa mia madre, non c'erano più.

Un uomo che aveva perso il controllo della sua macchina, questo era bastato a portare mio padre e mio fratello via dalla mia vita per sempre... questo fu necessario per rendere quello di quel giorno il nostro ultimo abbraccio.

Mentre una lacrima correva a tutta velocità dai miei occhi giù per la guancia fino a bagnare il pavimento con una piccola goccia, pensai a mia madre e a quanto fosse felice di aver finalmente trovato lavoro, nonostante ciò volesse dire doversi trasferire in una città lontana e diversa da quella tranquilla in cui eravamo solite abitare; mi asciugai quindi il viso con la manica della mia larga felpa grigia e mi dissi che sarei stata forte per lei.

-"Rebekah andiamo, il taxi per l'aeroporto è arrivato"-

Tempo di dare un ultimo sguardo nostalgico alla casa ed ero già sull'auto, e quello che inizialmente sembrava un incubo si trasformò nella mia realtà.

Appena accomodata sull'aereo la prima cosa che feci fu fissare i biglietti aerei, riflettendo sul fatto che tutto ciò che possedevo ora sul mio futuro erano due pezzi di carta con su scritto: "Cloe e Rebekah, VOLO 1872, posti n°45 e 46".

La scatola volante decollò:

-"Emozionata tesoro?"-

più che emozionata, triste.. -", un po'... tu come stai?"-

-"Felice per il nuovo lavoro che potrà permetterci maggiore tranquillità a breve ma un po' triste per aver lasciato la casa che con tanti sacrifici io e tuo padre avevamo costruito... Riguardo a questo, sicura che vada tutto bene?"-

speravo non mi facesse quella domanda, l'ultima cosa che volevo fare era parlarne. -"Sì mamma sto bene, tranquilla. Provo a dormire un po', sono stanca, mi svegli tu?"-

-"No ti lascio qui sopra, felice?"-

-"Hai ragione, che domanda stupida!"- dopo aver farcito quell'ultima frase con una lieve risata, mi addormentai di botto, quasi fossi sotto l'effetto di qualche sedativo.

Qualche sogno dopo sentii la voce calda di mia madre che mi svegliava e, guardando fuori dal finestrino, distinsi nel buio della sera la pista d'atterraggio: eravamo arrivate.
Ad aspettarci c'era Stefano, un vecchio e lontano amico di mamma, che dopo un paio di chiacchiere ed i soliti complimenti circostanziali su quanto fossi cresciuta e quanto fossi diventata bella, ci accompagnò nell'alloggio che aveva trovato per noi: era una casa in piena città ma con un piccolo giardino fiorito, piena di finistre da cui di giorno sarebbe entrata molta luce e chiusa da un'imponente porta blindata che, una volta aperta mostrava, all'interno della casa, un lungo corridoio la cui destra vantava di una grande sala con angolo cottura annesso e, qualche metro più avanti, un bagno; le due stanze da letto invece si trovavano nel lato sinistro di quella piccola reggia, insieme ad uno spazioso stanzino.
Quell'abitazione era in realtà molto bella, non potevo lamentarmi, ma ancora non ero sicura che sarei riuscita a definirla "la mia casa".

Dopo aver sistemato in fretta e furia alcuni abiti nell'armadio di quella che a quanto pare era diventata la mia camera, mi misi il pigiama e mi fiondai nel lettone matrimoniale, cercando di cacciare via tutti i pensieri per poter finalmente dormire; l'indomani sarebbe stato un giorno importante: sarei andata a compilare l'iscrizione nella mia nuova scuola.

Nonostante i buoni propositi la mia testa viaggiava tra mille pensieri, tremila idee, diecimila paranoie... mi sarei trovata bene con i nuovi compagni? Mi sarei adattata al metodo di insegnamento dei miei nuovi professori? Avrei mantenuto la mia media alta o avrei avuto un calo dei voti? Sarei riuscita a integrarmi?

Alla fine, proprio con la testa persa tra quelle zampillanti idee, riuscii a cadere nel fantastico mondo delle illusioni, quello che si vive ad occhi chiusi con la testa sul cuscino.

La genesi di un AlfaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora