Connie cammina piano lungo il corridoio con l'indice della mano sinistra che graffia il pollice a un ritmo costante. Si morde il labbro inferiore e sospira quando arriva davanti all'ultima porta, rigorosamente chiusa. Lancia un'occhiata ai muri che ha intorno, ora completamente privi di tutte le fotografie che un tempo erano appese con orgoglio, i sorrisi dentro le cornici ormai persi nello scantinato.
Le sembrano passati secoli.
249 giorni, invece.
Bussa piano, poi, mordendosi il labbro un'altra volta per via della pelle martoriata delle sue dita.
Inspira. Espira. "Papà?"
Non le risponde nessuno, ovviamente. Da dentro non si sente nient'altro che uno scricchiolio della sedia girevole, segno che per lo meno lui ha guardato verso la porta.
"Papà – Connie deglutisce, alza appena la voce – Papà, c'è del...della pasta, in cucina. Esther ha fatto la torta alle mele, la tua...la tua preferita – non ha intenzione di piangere – Io sto andando da Niall a ripassare, mamma è uscita qualche ora fa. Ci...ci vediamo dopo, okay?"
Le parole le tremano un po', ma questa non è una sorpresa. Connie fa un passo indietro, respirando così forte da sentire l'apnea. Aspetta qualche secondo, una piccola speranza, un qualcosa che le faccia capire che si può andare avanti.
Suo padre non apre la porta.
Lei allora chiude gli occhi – fa molto più male il silenzio – e annuisce, come se lui le avesse risposto.
"D'accordo – sussurra – va bene"
Casa di Niall è semplicemente una topaia, in confronto alla sua, ma Connie ci trascorrerebbe volentieri la vita. Perché si sta bene, in quella villetta a schiera nella periferia di Manchester, perché c'è odore di pane appena sfornato e famiglia. Perché il tavolo del salotto è piccolo e quando Connie si ferma a mangiare, col gomito tocca sempre quello di Niall. Perché Maura è una donna eccezionale, sempre con la parola di conforto e la voce dolce. Perché Niall è sicuramente l'unico amico che abbia mai avuto, perché c'è sempre stato e perché non fa domande, al contrario ascolta, e non è una cosa da tutti.
Casa di Connie potrà avere la piscina sul retro, il giardino verde e immenso, la mansarda, i corridoi infiniti e un Picasso originale, ma non è nient'altro che un mucchio di mobili costosi ed estranei che se ne prendono cura.
Non è mai il giorno delle pulizie, e non c'è nessun Niall che sporca la moquette, né i rimproveri di Maura per i bicchieri lasciati in cucina.
Casa di Connie è caduta nel silenzio, nell'oblio più totale. Sua madre Elsa cerca di far quadrare le cose, le sorride, ringrazia Esther per il cibo, continua a disegnare i suoi vestiti, a prendere gli aerei e a vivere la sua vita.
Forse è andata avanti, oltre. Forse lei ci è riuscita davvero.
Connie è in bilico, invece. Sono passati 249 giorni, abbastanza per rialzarsi, il tempo necessario per inserirsi di nuovo nella routine, cercando di alleviare l'assenza, compensarla con qualcos'altro.
Ma. C'è.
Nonostante non sia qualcosa di fisico, nonostante non si possa vedere, non si possa più percepirne l'odore, la voce, le parole, c'è.
E un giorno forse capirà se questa sia solo una grande fortuna, o solo un altro modo per pensare di avercela fatta, quando in realtà si è semplicemente al punto di partenza.
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Fever pitch
FanfictionLei rotea le pupille, stringendo con più forza la pochette firmata. "Connie - lo corregge - E tu sei il giocatore che si è beccato quattro giornate di squalifica perché evidentemente non sa che sputare sugli arbitri è disumano?" ~ Louis Tomlinson è...