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I miei occhi erano rivolti verso l'alto; stavo fissando un punto a caso della grande tenda nella quale ero rintanata.
Non era un granché, la fabbricai appena arrivata qui, sulla terra, grazie alle piccole tende ormai rovinate dagli agenti atmosferici e inutilizzabili dei ragazzi, sopravvissuti alle tante vicende accadute nei mesi passati.

Non amavo dormire con qualcuno; il solo pensiero che altri potessero assistere ai miei risvegli violenti, nel cuore della notte, mi metteva i brividi.
Bellamy fu l'unico, dopo la morte di Lexa, a preoccuparsi della mia salute mentale.
Nei primi tempi insisteva per restarmi vicino, voleva a tutti i costi dormire con me, per rassicurarmi.
Forse aveva paura che potessi farmi del male, o forse aveva solo bisogno di vedermi star bene.
Ma con il passare dei giorni ho preferito allontanarmi da lui, anche se una piccola parte di me sa benissimo che nonostante tutto, lui, è lì a vegliare su di me.
Si prende cura della sottoscritta da lontano, forse, e questo glielo posso concedere.
Infondo mi fa bene saperlo lì.

Dovevo mostrarmi forte agli altri, dovevo esserlo per loro, la nostra guerra sulla terra non era ancora finita.
Nuove insidie minacciavano la nostra incolumità e non tutti erano abituati a prendere delle decisioni;
Questo lo imparai a mie spese, non tutti erano abituati a rischiare la vita in nome del proprio popolo.
Io invece io lo feci e lo rifarei altre mille volte.
Secondo Bellamy avrei dovuto lasciar perdere, riposare e pensare ad altro, lasciare a lui il comando.
Ma la risposta a tutto ciò fu talmente ovvia che il nostro conversare finì in una fragorosa risata.
Il buonumore di quel ragazzo era l'unica cosa che mi faceva ancora sperare in questo mondo.

Qualcosa interruppe i miei pensieri, sentii il rumore di passi aumentare copiosamente. Spostai lo sguardo verso il basso e vidi un'ombra proiettata sulla tenda, di quello che sembrava un ragazzo.
Si fece sempre più piccola fino a scomparire del tutto.
« Clarke » sentii sussurrare, era la voce di Bellamy.
Mi voltai su di un fianco, spostando tutto il mio peso su di esso, in modo da dargli le spalle.

Era ancora fuori ma restai vigile, in attesa che se ne andasse.

« Clarke » il suo tono di voce mutò, diventando possente.
Ricordo che avrei preferito dormire in quel momento o restare sola per ancora qualche minuto; chiusi gli occhi non appena sentii la tenda scostarsi, doveva avere con se delle armi siccome ogni suo singolo movimento era accompagnato da un lieve rumore.
Sapevo riconoscere bene quel tipo di rumore, di sangue ne era stato versato fin troppo fino a quel momento.
L'uomo delle guerre ricorda solo l'avvenimento in sé e mai il sangue che è stato versato, le vite stroncate e quelle segnate per sempre.

Si sedette, me ne accorsi dal suono tipico dell'intrecciarsi di vari rami che insieme formavano una sedia artigianale.
Mi girai lentamente, in modo da potergli guardare il volto.
Aveva la schiena appoggiata allo schienale della sedia, il capo lievemente chino, parallelo alla spalla destra; mi guardava con un'espressione strana, quasi a volermi compatire.
Ci fissammo per qualche secondo, quasi come a voler decidere chi dei due avesse il diritto di veto.
« Cosa ci fai di nuovo qui? » chiesi con un filo di voce in modo risoluto, per rompere quell'imbarazzante silenzio che si era creato.

Si alzò velocemente, quasi in modo impercettibile.
Istintivamente sollevai il busto, facendomi spazio con i piedi tra le coperte del sacco a pelo, mettendomi sulla difensiva.
« Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare? » mi domandò, dirigendosi verso l'esterno.
« No » risposi scuotendo la testa, spostando allo stesso tempo lo sguardo verso la mia destra, al lato apposto del suo corpo.

Dopo pochi secondi sentii la sua presenza acconto a me, il calore del suo corpo si propagò verso il mio, facendomi sentire protetta; in men che non si dica una mano toccò la mia gamba, si mosse lentamente in una carezza, voltai il viso istintivamente verso di lui, trovandolo a pochi centimetri da me.
Feci fatica a sorridergli, nonostante ciò tentai di increspare le labbra in un lieve sorriso e lui fece lo stesso, cercando di non perdere il contatto con i miei occhi.
Si avvicinò, un brivido percosse la mia spina dorsale; le guance bianche presero colore, diventando rosee. Sentii il mio cuore palpitare velocemente.
I miei occhi si serrarono velocemente, lasciando al destino ciò che sarebbe successo di lì a qualche minuto.
Sentii le sue labbra premere sulla mia fronte, il suo respiro riscaldare una piccola porzione di essa;
Tutto intorno a me sembrava svanire, mi era mancato il contattato fisico.
Mi ero estraniata completamente dal mondo fino a quel momento, da dimenticare quello che si prova nell'essere amata.
Ingranaggi invisibili dentro di me, ormai arrugginiti, sembravano riprendere vita.

Tutto ciò venne bruscamente interrotto, in meno di un secondo; lo sentii allontanarsi, aprii gli occhi, lasciando che la violenza della luce invadesse la mia cornea, percorrendo la pupilla fino a raggiungere la retina. Misi a fuoco ciò che mi circondava, per soffermarmi poi, suoi suoi lineamenti fino a raggiungere i suoi occhi marroni.
« Perché non ti lasci aiutare? » mi chiese.
Non gli risposi, in compenso feci peso sulle mie gambe per alzarmi.
Mi diressi verso l'esterno, fermandomi poco prima di uscire completamente.
« Non hai bisogno di una risposta »

Mi incamminai verso la tenda di Octavia, ma in pochi attimi il caos sembrava essersi impossessato di ogni singolo corpo presente nel raggio di dieci metri.

Ebbi a stento il tempo di voltarmi, prima che quello stesso caos prendesse il sopravvento anche su di me.

Clarke. [#Wattys2016]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora