Capitolo 1.

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Quella famiglia che camminava felice per la strada lo aveva colpito, per la prima volta aveva trovato qualcosa di buono in tutto ciò che in quell'istante stava succedendo.
Madre e padre ai lati, figlia al centro.
Aveva i codini, uno blu e uno rosso.
I genitori la tenevano per mano e la facevano saltare ad un ritmo regolare, ovvero ad ogni 3 pronunciato dal padre.
Forse anche lui voleva qualcosa del genere, ma capiva benissimo che non avrebbe più potuto.

<<Ormai è perso, non è più lui.>>

Aveva detto qualcuno dei suoi amici.
Forse lo aveva accennato Max, che dopo Nico era il più dispiaciuto per ciò che era successo.

Di recente Sebastian aveva deciso di scrivere una lettera alla sua amata, forse per nostalgia.

Cara Kendall,
Ormai ne è passato di tempo dall'ultima volta che ti ho vista, sei, sette mesi?
No aspetta, perché faccio finta di non saperlo? Io lo so benissimo, sono esattamente sette mesi domani.
Lo sai, mi manchi troppo da quando te ne sei andata, ho un vuoto dentro che non riesco a colmare, non capisco più chi sono e cosa voglio. Vedo gli altri felici, che sembrano avere il proprio mondo, dove possono fare ciò che vogliono. Anche io lo vorrei, sai?
O forse no... In realtà non lo so.
Non so più niente da quando non ci sei, il vuoto mi sta mangiando da dentro, il mio stesso coltello mi si sta rivolgendo contro, lacera la mia carne, il mio sorriso non c'è più e i miei capelli verdi ormai sono spenti.
Io, io non esisto più.
Te ne sei andata e hai portato via con te il mio cuore.
Io mi guardo attorno e non vedo niente, non vedo il motivo per cui tutti i giorni mi alzavo alla mattina, non vedo il motivo per cui cercavo di essere in orario agli incontri con la banda, non vedo il motivo dei miei sforzi, dei miei sacrifici, delle mie felicità.
Io non vedo più te, dove sei finita?
Sai, non riesco a parlare di quel giorno, ma ogni notte torna, per tormentarmi.
Forse però, è meglio ricordarlo un ultima volta.
Ti ricordi? Quella giornata aveva avuto inizio così:

-Amore? Sveglia, sono le 10 del mattino, Nico e gli altri si son già dati da fare, ho dovuto lavare i loro cappotti almeno tre volte- mi avevi detto camminando per la stanza con il caffè che mi avevi portato.

-Ma, anche oggi devo lavorare?- ti avevo risposto ridendo.

-Ti tocca, mi spiace- mi avevi detto prontamente stampandomi un bacio, e uscendo a fare una passeggiata.

Poi, lo stesso giorno Fernando finalmente tornò dal suo viaggio di "riflessioni".
Era durato tanto, circa due anni e mezzo da quando eri entrata nella banda, e disse che di chilometri ne aveva fatti molti di più di quanto avrebbe fatto un motociclista normale, ma non comunque tanti quanti le persone che aveva ucciso.
Ti ricordi?
Fernando era quel tipo cattivo, quello col cappuccio che gli oscurava il volto e la balestra sempre in mano. Le frecce le riutilizzava, non gli piaceva "sprecare" le cose. Aveva il giacchetto in pelle smanicato e la sua Harley DavidSon.
Però, lui non ricambiava la tua simpatia, e fu proprio lui a portarti via da me quel giorno.
Era scoppiata una lite su il perché tu potessi essere fra noi, tutti erano dalla mia parte tranne Lewis, che della tua entrata nella banda non era mai stato molto contento, forse perché eri più brava di lui in tutto.
Poi, Fernando era uscito di casa ed era tornato ubriaco fradicio, ti aveva messo le mani addosso ed io non potevo più sopportarlo.
Lo picchiai più forte di quanto avessi mai fatto nella mia vita, mi ricordo ancora il profumo del suo sangue sulle mie nocche.
Poi però, sentii uno sparo, ma io non avevo sentito alcun dolore e l'unico sangue che avevo addosso era quella di Fernando.
Mi voltai, e ti vidi mentre ti tenevi la pancia.
Quel giorno indossavi il vestito bianco in pizzo, quello che ti avevo regalato per il nostro secondo anno di matrimonio.
Avevamo fatto la pazzia di sposarci solo dopo tre mesi che ci conoscevamo, ma era stata la pazzia più bella della mia vita, forse l'unica cosa giusta che avevo fatto nella mia vita sbagliata.
Continuando a ricordare quel giorno però, mi torna in mente quella macchia rossa che si stava allargando attorno alle tue mani posate sul tuo ventre.
Tu crollasti per terra ed io ti afferrai prima che toccassi il pavimento.
Ti guardai negli occhi e piano piano vedevo spegnersi la luce, quella che mi aveva sempre dato la forza di andare avanti.

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