Cinque Sensi

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"Mary è una donna fantastica" si ripeteva in continuazione John Watson.

"Non si merita questo" si sforzava di pensare.

Ma poi veniva bruscamente distratto dalle labbra di Sherlock che lo sfioravano, lo accarezzavano e lo baciavano ovunque. Quelle stesse labbra che, al suo matrimonio, avevano dichiarato di non provare emozioni.

Il nome di Mary si trasformava lentamente in quello di Sherlock sulla sua bocca, mentre le mani di questi lo massaggiavano freneticamente, lo plasmavano e lo toccavano.
Quelle stesse mani che avevano esaminato migliaia di scene del crimine e che gli erano sempre sembrate fredde, ora lasciavano segni bollenti dovunque toccassero, come gocce di cera calda.

Ormai non c'era più traccia della moglie nella testa di John Watson. Le sue labbra si rifiutavano di pronunciare altri nomi che quello del suo migliore amico.
<Sherlock...>

<John...>

Sentendosi chiamato in quel modo, il dottore non poté che aprire gli occhi.
Rimase però incantato dalle iridi cristalline dell'altro, dimentico di quello che voleva dire. Perché voleva dire qualcosa? Parlare non gli era mai sembrata un'idea tanto ridicola.
I suoi occhi erano azzurro ghiaccio, ma tutt'altro che freddi e calcolatori. Erano gli stessi occhi che avevano visto tanti cadaveri, tanto sangue e tanta morte; in quel momento, però, l'unico riflesso che rimandavano era quello di John.

Per un attimo Sherlock sembrò aver recuperato il lume della ragione. <John, dobbiamo smetterla... Tu sei sposato...> cercò di convincere entrambi, tra gli ansimi.
<Ah, sì?> chiese Watson, troppo concentrato sul movimento rapido della lingua di Sherlock, che questi aveva inconsciamente passato sulla propria bocca.
Il che, come una reazione chimica, spinse il dottore a mordersi il labbro.

Come conseguenza giunsero ad un punto di stallo. Ciascuno fissava, no, mangiava con gli occhi le labbra dell'altro, ma nessuno si muoveva di un centimetro.
Rimasero in quella posizione per circa trenta secondi, nonostante ad entrambi parvero molti di più, prima che John cedesse, soffiando un 'al diavolo!', afferrando Sherlock e baciandolo con urgenza.

Con John ogni bacio era come il primo. Tutti gli altri sfiguravano, scomparivano nella mente del detective.

John Watson era capace di fargli dimenticare tutto e tutti come nessun'altro era mai riuscito a fare. Nemmeno Irene, l'unica donna per cui aveva veramente dimostrato interesse, ne era stata capace.
L'abilità straordinaria di Sherlock di notare e decifrare come uno scanner tutto ciò che gli stava intorno non dava mai pace né riposo alla sua mente.

Ma quando baciava l'ex soldato era diverso.

Riusciva ad analizzare solo una cosa; era una sola parola quella che gli rimbombava insistente in testa: John. John, John, John. John... John. John, John, John, John. C'era solo John, ovunque. Il profumo di John, la pelle di John, il sapore di John, gli occhi di John, gli ansimi di John.

John Hamish Watson profumava di dopobarba e di inchiostro di giornale, che aveva tenuto troppo stretto poco prima, cercando di controllarsi dal saltare addosso a Sherlock. Le sue mani erano ruvide, forgiate dall'addestramento militare, ma ferme come si addiceva al suo lavoro. Sapeva di caffè e aspirina, ultimamente ne stava abusando, ma non era la caffeina la causa del suo battito cardiaco accellerato. Le sue iridi grigie, quasi inghiottite dal nero delle pupille dilatate, erano marmo soffice. E i suoi ansimi e i suoi sospiri, Dio, Holmes ne voleva ancora, voleva sentirne di più.

E come se potesse leggergli nel pensiero, John gliene dava di più.
Perchè baciare Sherlock era come ricevere un elettroshock terribilmente piacevole, come respirare aria pulita dopo essere stati troppo tempo in una cantina polverosa, era affondare i denti nel frutto proibito, senza rimorsi, e trovarlo terribilmente delizioso; era libertà, avventura, era come una dose di crack dopo una settimana di astinenza. E se questa doveva essere la sua droga, che l'overdose lo trascinasse negli abissi più dannati dell'inferno.

William Sherlock Scott Holmes profumava di tabacco e di shampoo al cocco e del legno del suo violino. I suoi sospiri, erratici, incontrollati e scoordinati, erano più leggeri di quelli di John, e meno frequenti. Ma ognuno di essi veniva freneticamente catturato dalla bocca del dottore e custodito come un drago custodisce il suo oro. Sapeva di nicotina e tè, uno strano contrasto, che rendeva la sua bocca amara. Come piaceva a John. Non come quella di Mary, che era orribilmente dolce e-

Merda. Mary.

<Sherlock, fermo, fermo> disse staccandosi dall'unica persona che avrebbe solo desiderato stringere in quel momento. Posò le mani sul petto di Sherlock, tentando di riprendere fiato.
<Che c'è?> chiese Holmes, leggermente irritato.
<Mary. Sa-sarà qui a momenti, aveva detto che sarebbe passata a prendermi> rispose il dottore, guardando con preoccupazione la finestra.
<Non verrà.>
Con quell'affermazione il detective riguadagnò tutta l'attenzione di John Watson <C-Come scusa?> Sherlock sospirò, iniziando a spiegare come se fosse ovvio: <John, Mary non è mai in ritardo, anzi, è sempre in anticipo. Doveva andare a trovare una sua amica, probabilmente l'ha trattenuta. Non sarà qui per un'altra mezz'ora> poi diede uno sguardo alle tende quasi completamente tirate <e comunque non ha le chiavi, sarà costretta a suonare.> Concluse rivolgendo di nuovo lo sguardo su John, che aveva rilassato le spalle, e si concesse di andare con calma.
Ricominciò a baciarlo lentamente, come se stesse scoprendo ogni parte di lui. Il dottore aveva gli occhi chiusi e le mani ancora sul petto di Sherlock, anche se ora più che trattenerlo lo attiravano a sé.
Anche il detective aveva gli occhi chiusi, ma le sue mani racchiudevano il viso di John e non accennavano minimamente a volerlo lasciare andare.
I due si stavano sciogliendo l'uno sulle labbra dell'altro, ed entrambi avrebbero voluto rimanere così per sempre; purtroppo, però, il suono agghiacciante del campanello li interruppe bruscamente. John si precipitò in bagno a sistemarsi, soffocando varie e colorite imprecazioni, mentre la signora Hudson apriva la porta e salutava Mary, intrattenendola con le sue solite chiacchiere.

Approfittandone, Sherlock raggiunse il dottore in bagno e si mise a guardarlo, ridendo sotto i baffi. Cosa che John notò, perché quando fu abbastanza sicuro d'essere presentabile marciò di nuovo nel piccolo soggiorno, senza rivolgergli la parola.
Sua moglie era ancora impegnata a parlare, quindi si girò verso Holmes con espressione torva. <Mi hai mentito> constatò. Il suo sguardo era tradito e impotente, ma il detective sapeva che non era veramente arrabbiato. Sorrise, avvicinandosi a lui.
Intanto Mary aveva iniziato a salire le scale. Sherlock portò la bocca all'altezza dell'orecchio dell'uomo e sussurrò <Buon san Valentino, John.>
Mary era a metà rampa. Sherlock Holmes si allontanò leggermente dal dottore e portò una mano sotto il suo mento, sollevandolo, permettendo in quel modo il contatto visivo. Watson voleva staccarsi da lui, sua moglie sarebbe arrivata presto e li avrebbe trovati in quella posizione, ma la presa del detective era salda. Così Sherlock depositò un ultimo, leggero bacio sulla bocca del dottore, sorridendo contro le sue labbra.

Quando Mary Watson oltrepassò la soglia del soggiorno rimase interdetta. Suo marito, John Watson, guardava torvo il suo migliore amico, Sherlock Holmes, che ridacchiava e guardava da tutt'altra parte. Tuttavia, la donna si riprese subito; in fondo, succedeva praticamente tutti i giorni.

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