Capitolo 1

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- Sì, questa scatola mettetela pure qui nell'ingresso....attenzione! -

Seguivo con preoccupazione le mosse dei due uomini intenti a scaricare il camion della ditta di traslochi. Avevano svuotato a tempo di record il piccolissimo appartamento che occupavo già da quattro anni, cinque mesi e nove giorni, una specie di tana, ma più che sufficiente per me sola: un bilocale con bagno e un terrazzino, nel cui metro quadrato di superficie avevo stipato le mie adorate piante grasse e sistemato una piccolissima scarpiera, poco più grande di un normale comodino.

Un appartamentino in un quartiere né bello né brutto, a metà strada fra il centro e la periferia di quella piccola cittadina che mi aveva offerto un posto di lavoro come cameriera in un ristorante facendomi sognare una vita piena di avventure e possibilità.

Adesso pensavo a come era cambiato il corso della mia vita, quando il destino, il caso, o come si chiamasse, aveva fatto capolino e sparpagliato le carte in tavola.

Una sterzata brusca e inaspettata, come quando un cane attraversa la strada e il guidatore gira velocemente il volante per evitarlo. Credevo di non essere capace a gestire l'ansia, l'agitazione per quel cambiamento; dicevo a me stessa che non ce l'avrei fatta, che una nuova casa, un nuovo lavoro, erano troppo.

Era come attraversare un ponte ad occhi chiusi: come se stessi camminando aggrappandomi alla sponda con tutte e due le mani, mettendo un piede avanti all'altro nel timore di finire di sotto.

Come quando mi ritrovai a fuggire con le mani sporche di sangue, le lacrime salate sulle guance e il respiro mozzo, dopo aver fatto fuori Roberto Aleardi spaccandogli il cranio con una scultura in bronzo, un'inquietante giraffa che stazionava sulla mensola del caminetto nel soggiorno di colui che mi aveva portata in paradiso, e subito dopo precipitata del più tremendo degli inferni: l'amore servizievole.

L'avevo ucciso una sera come tante a casa di lui, al culmine di una discussione nata per una sciocchezza, poi degenerata in urla selvagge, schiaffi e graffi in faccia, spinte e calci.

Lui sapeva essere davvero cattivo, quando non si sentiva assecondato da coloro che riteneva suoi inferiori, cioè tutti. E specialmente da me, con cui aveva una storia di quelle nate male, di quelle che dall'esterno fanno dire 'ma chi glielo ha fatto fare, a quei due?'

Così, con la coda dell'occhio, verso destra avevo visto il soprammobile. Fu un attimo alzare il braccio muovendolo all'indietro, afferrare la giraffa e colpire Roberto in pieno viso.

L'uomo barcollò gridando con un'espressione assolutamente stupefatta,sicuramente non credeva fosse stato possibile che potessi fargli questo. Si portò una mano alla guancia sanguinante mentre le sue gambe cedevano. Non ebbi il tempo di pensare, il mio braccio si mosse automaticamente, e colpii ancora, e ancora. Roberto andò giù di peso mentre le gocce di sangue schizzavano ovunque, sul camino, sui miei vestiti, sulla stoffa chiara del divano . Ormai esanime, l'uomo non si muoveva più. Ma io non riuscivo a smettere di colpirlo, fracassandogli il cranio e riducendolo in poltiglia.

Finalmente mi fermai. Respirando affannosamente, guardavo la scena con gli occhi offuscati da lacrime e confusione, e quasi non credevo di aver compiuto un tale scempio. Mi pareva quasi che il sangue di cui era ricoperto l'uomo avesse tracimato e si fosse impossessato di ogni cosa, anche di me: in bocca sentivo un sapore dolciastro di morte, le tempie pulsavano e il cuore sembrava voler schizzare fuori dal petto.

Senza neanche accorgermene, mi ritrovai fuori casa; le gambe correvano all'impazzata e le mie orecchie erano invase dal rumore dei miei piedi sull'asfalto, nella strada deserta.

Corsi quanto più potei, allontanandomi dalla casa senza guardare dove andassi. Cavalcavo i marciapiedi, i passaggi pedonali, gli incroci,stupendomi dell'energia che quel gesto tragico mi aveva messo in corpo.

Attraversai la strada schivando alcune auto che transitavano e che con i loro fari accesi sembravano accusarmi difronte al mondo, arrivai sull'altro marciapiede e lì, davanti alla vetrina di un fast food,mi fermai esausta. Non sapevo dov'ero, che ora era, neanche come mi chiamavo e dove abitavo. Sapevo solo guardarmi riflessa su quella vetrina come se stessi osservando una perfetta sconosciuta. La gente dentro, seduta ai tavolini e al bancone, che ad occhi bassi trangugiava cibo di plastica dall'odore inquietante, non si curava di me. Solo un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e stanco della vita, alzò lo sguardo e mi notò. Mi osservava con i suoi occhi da bue, mentre la bocca continuava a ruminare il cheesburger che reggeva con le sue dita unte e grassocce.

All'improvviso decisi di entrare. Varcando la soglia del locale, non percepii gli sguardi degli avventori, mi sentivo abbastanza trasparente.

-Salve, cosa le porto?

Il ragazzo dietro al bancone mi fece la domanda di rito, e non sapeva che non avevo la più pallida idea di cosa rispondere.

-Aahhh....sì....vorrei qualcosa di forte.

Mentre parlavo, percepivo qualcosa nella mia mano. La giraffa insanguinata stava lì, come una muta confessione. Cercai di tenerla bassa e senza farmi notare troppo la nascosi fra le pieghe della gonna a ruota.

-Di forte? Whisky, vodka, rum....

-Comincerò con il whisky.     (continua....)

Finale a sorpresaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora