Parte senza titolo 2

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Un'ora più tardi, non ricordavo quasi niente di quanto era accaduto. I clienti si alzavano, ne arrivavano di nuovi, ordinando lo stesso cibo e le stesse bevande dei precedenti, in un ciclo senza fine; non avevo il coraggio né l'energia di alzarmi dallo scomodo sgabello su cui ero seduta malamente, con la giraffa sempre seminascosta fra la base del bancone e i miei piedi, che formicolavano per l'immobilità.

-Signorina,mi scusi.....forse starebbe più comoda ad un tavolo.

La voce del ragazzo mi giunse come da lontano.

-Eh?....Come?...

-Le dicevo se vuole spostarsi!

Alzai la testa e lo guardai come si guarda una bestia rara.

-Spostarmi?....Mmhh...dove?

-Laggiù,al tavolino all'angolo.

Poteva essere una buona idea, soprattutto perché io, di idee, in quel momento non ne avevo neanche una.

-Serve una mano?....Ecco, venga, l'accompagno io. - Il cameriere fece un giro veloce attorno al bancone, e mi prese per i gomiti. Appoggiai i piedi sul pavimento e urtai la giraffa che mi aspettava paziente e silenziosa, con il suo collo flessuoso tutto sporco del sangue di Roberto. Guardai il ragazzo: possibile che non se ne fosse accorto? Lui, per contro, cercava di sostenermi come meglio poteva, e mi guardava con un misto di sollecitudine e compassione che mi urtava i nervi già abbastanza scossi da quello che era accaduto a casa. Con gentilezza, il ragazzo mi condusse ad un tavolino quadrato defilato rispetto agli altri, mi scostò la sedia e mi fece accomodare. Assecondai tutte le sue mosse, un po' per tutto l'alcool che ormai avevo in corpo, un po' perché ero davvero sfinita: non un briciolo di forza albergava più in me, e mi muovevo come un fantoccio. L'unica idea che avevo era quella di tenere nascosta la giraffa insanguinata: se qualcuno l'avesse notata, sarei stata in guai molto seri. Intorno a me i clienti facevano i clienti. Mangiavano, bevevano, pagavano il conto e se ne andavano, rimpiazzati da altri clienti che facevano lo stesso. Il mio sguardo vitreo fissava un punto nel vuoto, e mi sentivo come quando da piccola mi veniva la febbre alta; ma allora c'era mia madre che mi accudiva con amore: adesso c'era solo il cameriere che di tanto intanto mi gettava un'occhiata fra il premuroso e il preoccupato. Dopo un bel po' si avvicinò.

-Signorina, tutto bene?

-Eh?...Ah, sì, grazie....Adesso io...pago e mi alzo.

-Oh, non si preoccupi...se ha bisogno di restare ancora un po' seduta, stia pure...Se poi ha bisogno che le chiami qualcuno...

Chiamare qualcuno. Ottima idea, se avessi saputo chi chiamare. Stavo realizzando di aver commesso un atroce delitto, io, che stavo male quando riuscivo a schiacciare una zanzara molesta nelle lunghe giornate estive. Mi sentivo strana, quasi orgogliosa del gesto ardito che avevo compiuto. Buttavo fuori aria dalla bocca a piccoli sibili, mentre la nebbia che avvolgeva il mio cervello si diradava piano piano. Dovevo risolvermi ad alzarmi e ad uscire facendomi notare meno possibile, così feci un cenno al cameriere, pagai il conto con del denaro che chissà come mi ero ritrovata in tasca, rinascosi la giraffa tra le pieghe della gonna e cominciai a guadagnare l'uscita cercando di passare inosservata. 

Ecco, ero fuori. L'aria fresca della sera mi accarezzò benevola, mentre stavo lì in piedi, cercando freneticamente una buona idea nella mia testa confusa. A casa non potevo ritornare, non avendo la certezza che il corpo di Roberto non fosse ancora stato scoperto da nessuno. Cercai di fare mente locale per trovare qualcuno disposto ad ospitarmi senza fare domande, ma non mi venne in mente nessuno di così fidato, perché le mie amicizie erano tutte un po' superficiali. Mio fratello, neanche a pensarci: Gianni era agli antipodi rispetto al mio carattere. Gli volevo bene, certo, ma l'idea di bussare alla sua porta dicendogli "oh, ti prego, ospitami, sai, ho ammazzato Roberto con questa giraffa", proprio non mi andava. Potevo raggiungere mia cugina Sara...ma stava dall'altra parte della città,ed io in quelle condizioni non me la sentivo. Fatto un rapido calcolo delle mie possibilità, mi rimaneva solo una chance di dormire su un vero letto, quella notte: il signor Umberto Gigli, il custode del Museo delle Armature – vanto cittadino -, che era la quintessenza della gentilezza e della disponibilità. Mi aveva sempre aiutato quando ne avevo avuto bisogno...e adesso stava succedendo di nuovo.Sì, era una soluzione. Cercando di camminare dritta, mi avviai lentamente verso l'alloggio del custode Umberto Gigli, presso il Museo delle Armature, a tre isolati da quel bar dove per qualche ora avevo dimenticato di aver ucciso un uomo.   (continua.....)

Finale a sorpresaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora