Capitolo 3

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-Un'amica di troppo-

Appena l'aereo atterrò, iniziai ad emozionarmi. Non so per certo se fosse così, ma qualcosa in me stava cambiando. Iniziavo davvero a provare emozioni nuove? Era tutto così strano. Non guardavo mia madre, ma avevo gli occhi fissi su Steph, la mia piccola sorellina. Era entusiasta e vedere quell'espressione sul suo volto mi fece abbozzare un sorriso sulle labbra. Dopo essere scese dall'aereo e aver ripreso i bagagli, ci fermammo ad un ristorante nell'aeroporto di LA.
Una volta accomodate, venne verso di noi una cameriera con pelle scura e un sorriso smagliante.
<<Cosa vi porto?>> chiese con tono dolce.
<<Per me un'insalata.>> affermò mia madre.
<<Tu cosa vuoi?>> sussurrai all'orecchio di Steph.
<<Hamburger>> rispose lei indicandolo sul menù.
<<Due hamburger>> dissi rivolgendomi alla cameriera.
Annuì e, dopo aver annotato tutto, si allontanò da noi.
Mia sorella si guardava intorno, e non la biasimavo.
Era tutto così enormemente diverso, da quello che eravamo abituate a vedere noi. Tutto era pieno di vita in quel posto.
Tutto tranne io.
Mi stringeva la mano sotto il tavolo e quella sensazione era davvero gratificante. Si sentiva protetta, al sicuro con me.
Iniziai a fissarla. Era strano che quel visto tanto diverso dal mio trovava conforto in me. Non me ne aveva mai dato ragione per pensarlo. E in quel momento, stava stringendo la mia mano.
<<Perché mi guardi così?>> disse fissandomi a sua volta.
<<Niente, è solo che mi andava di guardarti.>> risposi soffocando una risata.
<<Tu hai seri problemi mentali>> ribattè lei sorridendo.
<<Lo so. In questo siamo uguali.>>
<<No, tu mi superi di molto.>> iniziammo a ridere.
Quella bambina impertinente di nove anni era riuscita a farmi ridere. Strano.
Appena finimmo di mangiare mia madre chiamò un taxi.
Arrivò dopo neanche dieci minuti e l'autista ci aiutò a infilare le valigie nel cofano. Dopodiché inserì l'indirizzo che mia madre gli aveva riferito sul navigatore e partimmo.
Durante il viaggio non feci altro che meravigliarmi dell'immensitá dei palazzi che circondavano le enormi strade altamente trafficate. La gente correva avanti e indietro, senza badare a chi gli stesse intorno. È questo che succede nelle grandi città. Si pensa solo a se stessi e alla propria incolumità.
Imboccammo una strada abbastanza popolata, con gente che barcollava di qua e di là. Non doveva essere proprio un quartiere affidabile, ma non potevo pretendere di più visto ciò che guadagnava mia madre da infermiera.
Il taxi percosse metà di quella lunga ed interminabile strada, fino a quando si fermò di fronte ad una piccola villetta, se poteva essere definita tale. Fuori non era niente male: era dipinta in un giallo canarino, aveva due piani e un grande e caloroso giardino ci accoglieva. Tutto sommato, non aspettavo nulla di così esagerato.
Scesi dalla macchina e aspettai che mia madre avesse finito di pagare l'autista prima di tirar fuori le valigie dal cofano della piccola auto gialla.
<<Vi piace la nuova casa?>> chiese la mamma, abbozzando un grande sorriso sulla sua esile faccia.
<<Si mamma! È bellissima.>> Steph faceva i salti di gioia.
<<A te non piace?>> mi chiese tirandomi la maglietta.
<<Non è niente male>> risposi, mentendo. Quella casa era davvero impeccabile. L'unico difetto era il quartiere, ma doveva essere per questo che lei se l'era potuta permettere.
<<Andiamo dentro!>> urlò mia madre, tirando due trolley.
<<Puoi portare anche la mia di valigia?>> Steph mi guardava con aria supplicante. <<Per favore...>>
<<E va bene, ma solo per questa volta...>> sorrisi. <<Dai su, corri. Va a vedere la nuova casa.>> le diedi una pacca sulla schiena.
Iniziò a correre. Presi la sua valigia e la poggiai sulla mia. Trascinai il tutto con un bel po' di fatica fino alla fine del vialetto.
Mia madre mi corse in contro per darmi una mano. Le concessi di prendere soltanto la valigia di Steph, affinché tenesse le mani lontane dalla mia roba.
La porta era di un marrone molto scuro, in netto contrasto con il colore della casa.
Entrai lentamente e un grande salotto mi fece rimanere senza fiato. Era ben arredato, con un tocco moderno, ma non troppo. Due grandi divani in pelle nera circondavano un piccolo tavolino in vetro. A destra del grande salotto si trovava una piccola, ma pure sempre, carina cucina. La casa era basata sul contrasto del bianco e del nero.
Salii le scale e vidi Steph giocare in una stanza.
<<Questa è mia! Non si discute!>> urlò felicemente lei. Non dissi nulla in contrario, anche perché era abbastanza piccola per me.
<<La tua camera è infondo al corridoio, vicino al bagno.>> mi disse la mamma indicandomi la stanza. La ringraziai con un cenno del capo e corsi, con un po' di frenesia, verso la grande porta bianca.
Al centro della stanza, addossato al muro, si trovava un grande letto matrimoniale, con al lato due piccoli comò bianchi. Sulla sinistra un grande armadio occupava il muro, mentre la destra era colma di scaffali che circondavano una scrivania. Al fianco sinistro della scrivania si trovava un balcone. Rimasi di stucco. Era tutto così tremendamente perfetto.
Posai le valigie e mi gettai su quel morbido letto che da vari minuti stava richiamando la mia attenzione.
Dopo qualche minuto scesi di sotto, per ringraziare e, forse, perdonare mia madre. Era accomodata in sala da pranzo con due signori della sua età, suppongo marito e moglie.
<<Tu devi essere Eliz!>>
Urlò la signora, staccando la mano da quella del marito per venirmi incontro.
Feci di si con la testa.
<<Oh, che piacere incontrarti. Finalmente!>>
Non capivo. Mi conosceva già? Sorrisi per mascherare l'imbarazzo.
<<Io sono Rose Young. Lui è mio marito John Young.>>
Disse indicando l'uomo che prima le teneva la mano.
<<Molto piacere, Mrs Young.>>
<<Chiamami Rose.>>
La sua confidenza era soffocante. Non ero abituata a tutto ciò. Mi guardava in modo strano, forse si era accorta del mio imbarazzo, che cresceva di secondo in secondo.
<<So che non è molto simpatico stare con gente anziana.>> sorrise. <<Voglio presentarti una persona.>>
Uscì di casa ed entrò in quella accanto. Perfetto! Era la mia vicina.
Mr Young non era così esposto. Preferiva stare in silenzio, proprio come me e per questo mi stava già simpatico.
Dopo qualche secondo Rose rientrò in casa con alle sue spalle una ragazza molto esile. Ciò che più mi colpì di lei fu che aveva i capelli viola e le braccia piene di tatuaggi.
Mia madre, vedendola sobbalzò. Non aveva mai amato e neanche lontanamente sopportato le persone tatuate.
<<Tu devi essere Eliz. Piacere Kim Young.>> disse lei stringendomi la mano. Rimasi congelata, dovevo ancora elaborare ciò che i miei occhi stavano guardando. Sorrisi imbarazzata nuovamente.
<<Andate fuori a fare conoscenza.>> urlò Rose.
Uscimmo finalmente di casa. Dopotutto mi sentivo molto più a disagio con i suoi genitori che con lei.
<<Allora, come mai ti sei trasferita qui?>> disse lei sedendosi su un divanetto da giardino.
<<I miei hanno divorziato... e mia madre ha deciso di strasferirci qui.>> risposi accomodandomi al suo fianco.
Il suo sguardo non sembrava trapelare alcuna emozione alla mia notizia. Ragazza fredda anche lei? Niente male come inizio.
<<Da dove vieni?>>
<<Seattle.>> risposi con nonchalance. Non ero abituata al fatto che si parlasse tanto di me.
<<Come mai tutti quei tatuaggi?>> dissi guardandola un po' perplessa.
Li sfiorò con le mani e poi rispose.
<<Segno di ribbelione contro i miei. Li detesto.>>
Sorrisi.
<<Non sai quanto ti capisco.>>
Iniziammo a ridere entrambe. Il tempo passò molto velocemente e scoprimmo di avere molte cose in comune. Non era la classica ragazzaccia, come intendeva far capire dai tatuaggi e dal colore dei capelli. Okay, forse si, ma non troppo. Come me, anche Kim si era diplomata con un anno di anticipo e, per mia fortuna, aveva scelto la mia stessa università: la Los Angeles University.
Aveva affermato di voler vivere in un campus, per sfuggire alle grinfie dei genitori.
L'idea non era niente male, ma dopo tutto quello che mia madre aveva fatto per me per portarmi lì, non potevo chiederle di trasferirmi in un dormitorio. Fortunatamente la LAU, distava soltanto venti minuti di macchina da casa mia.
<<Hey, approposito...>> disse lei alzandosi dal divanetto.
<<Io ora vado, ma stasera possiamo rivederci se vuoi. C'è una festa per i liceali che dovranno andare alla LAU e gli studenti dell'università. Mi farebbe piacere se tu ci venissi.>>
Io ad una festa? Nemmeno morta. Sarei dovuta andarci. Non potevo dare buca alla mia nuova "amica", se si potesse definire tale. Io e le feste viviamo su due mondi diversi. Ovunque ci sia gente non è il posto per me. Mi sento a disagio.
<<Se non vuoi...>>
<<No, no voglio venirci. Come ci organizziamo?>> le chiesi, mascherando il disgusto per la scelta che stavo facendo.
<<Ti passo a prendere dopo cena. Fatti trovare pronta per le nove... Ah ed eccoti il mio numero, nel caso ti venga voglia di disdire.>> disse lei cacciando un bigliettino dalla tasca.
Le sorrisi e la salutai con la mano. Ritornai in casa. Mia madre era seduta sul divano a leggere una rivista.
<<Non mi piace quella ragazza.>> mormorò a voce bassa.
<<Non ti piace nessuno>> replicai a mia volta.
<<Sta attenta. Non è molto affidabile.>>
<<Ah, appunto. Volevo dirti una cosa... Stasera vado ad una festa con lei.>>
Sbiancò in un momento e saltò giù dal divano.
<<Ad una festa? Con lei per giunta? No, non pensarci minimamente!>> e come al suo solito aveva iniziato ad urlare.
<<Credo di essere abbastanza grande per badare a me stessa senza il tuo aiuto. E cazzo, per una volta non giudicare il libro dalla copertina.>> dissi guardandola torva.
<<Vedi di farti una canna.>> disse con tono minaccioso.
<<Non preoccuparti, se ce ne sarà l'occasione anche due.>> scoppiai a ridere notando la sua espressione. Mia madre aveva la capacità di farmi perdere le staffe nel giro di pochi secondi.
Sbuffò e si sedette nuovamente, riprendendo la rivista che qualche secondo prina aveva gettato a terra per la rabbia.
Corsi in camera e mi affrettai ad aprire le valigie. Era il 1° di luglio, dopotutto e il freddo era l'ultimo dei miei pensieri. Tirai fuori uno short bianco molto corto, o forse troppo, e un top nero che arrivava fino sotto il seno.
Presi un asciugamano e andai in bagno.
Finita la doccia andai a mangiare qualcosa. Un piatto di pasta in bianco, per l'esattezza.
Presi il telefono e, dopo aver registrato il numero della mia nuova amica, scrissi a Kim. 

Io sono pronta. Quando puoi, passa da qui.

Indossai i vestiti che non mi coprivano abbastanza e presi il beauty case. Tracciai una leggera e sottile linea di eyeliner e misi un po di mascara per dare volume alle ciglia.
Presi una borsetta nera e ci infilai le chiavi della mia nuova casa e uno spray al peperoncino. Non si sa mai.
Mentre aspettavo che Kim si facesse viva presi il diario e iniziai a scrivere.

Caro diario,
la nuova casa non è niente male. Los Angeles è fantastica. Devo ammettere che l'angoscia che provavo da tempo si è leggermente alleviata e che il dolore non è molto soffocante. Oggi ho pianto, come il resto dei giorni prima di arrivare qui. Sto per andare ad una festa, non so cosa aspettarmi. Non voglio andarci, è ovvio, ma non voglio nemmeno deludere la mia nuova amica e vicina, Kim. È starna quella ragazza. Ha i capelli viola e le braccia tatuate. Mi incute un po' di timore, sarà per questo che non ho rifiutato l'invito alla sua festa. Ora devo lasciarti, è arrivata.

Posai il diario nella nuova cassettiera e corsi verso la porta al vista del suo nome sul display del cellulare. Passando per il corridoio intravidi mia sorella che dormiva sul suo nuovo letto.
Entrai senza fare troppo rumore e le posai un bacio leggero sulla fronte.
Al terzo suono di clacson uscii di casa. Kim era in una Volvo grigia metallizzata. Aveva la musica ad un volume altissimo, da rompere i timpani.
<<Ciao, Eliz.>> disse vedendomi entrare in macchina.
<<Ciao Kim.>> sorrisi. <<Allora, dove si va?>> chiesi nervosa.
<<È una sorpresa.>> rispose lei divertita.

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