Capitolo uno.

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È nell'autunno del mio ultimo anno da universitario che Phil, mio compagno di stanza nonché amico, decide che ho bisogno di una botta di vita.
I motivi, ragazzi miei, potrebbero essere molteplici, ma a troneggiare sugli altri vi è la mia fresca rottura con Samantha, mia [ ex ] fidanzata, che ha pensato bene di mollarmi dopo due settimane dal suo trasferimento da Forceland, piccolo spicchio del Michigan; sì, piccolo, talmente piccolo che si è guadagnato un posto nel mondo solo grazie al suo prestigioso college che occupa circa la metà delle buone ragioni per venire qui. Tornando alla mia tragica vita sentimentale, il motivo per cui abbiamo rotto non lo so neppure io. Andava tutto assurdamente bene, ma poi si sa come vanno queste cose, scivolano, e tu puoi a malapena provare ad afferrarle. Questo ha fatto Samantha: mi è scivolata dalle dita, convincendomi che la distanza fosse troppo straziante da sopportare. Tutte cazzate, suppongo. La distanza non è straziante, l'assenza lo è, e se lei preferisce avermi a portata di mano anziché a portata di cuore, allora forse non mi amava come pensavo.

«Allora!—» Urla, tentando di sovrastare la musica che, tanto per la cronaca, sto benedicendo «Ti stai divertendo?» E giuro che è circa la quarta volta che me lo chiede, dunque non vogliateme se mi sono ampliamento rotto le palle e sto tentando di utilizzare la musica alta a mio vantaggio, fingendo di non capire cosa sta cercando di dirmi: in verità la sento benissimo ma preferirei non fosse così in quanto raramente ho mai trascorso dei venticinque minuti così catastrofici. Questa tale, Susan mi sembra si chiami, studia belle arti ed è un'amica di Phil. Lui, neanche a dirlo, ha deciso che dovrà diventare anche amica mia. Phil conosce gran parte del campus, e suppongo debba la sua notorietà al fatto che il suo gruppo rock, i Dark Souls, nome plagiato dal famoso videogioco, siano i più acclamati del campus. Tanto che non mi stupirebbe se una volta terminato il college lui e gli altri componenti facessero fortuna suonando anziché per quello per cui studiano qui. Phil, ad esempio, studia giurisprudenza.. eppure io non lo ingaggerei mai! Okay, so cosa state pensando, è tuo amico e non dovresti parlare di lui così, ma appunto! È proprio perché è mio amico e lo conosco fin troppo bene che non gli affiderei /mai/ una mia causa, finirebbe per confondere i documenti che la riguardano con carta straccia o inizierebbe a scrivergli la bozza di un nuovo testo musicale sul retro.
Certe persone sono semplicemente nate per fare qualcosa di diverso da quello che la vita gli ha prefissato di fare, o nel caso del mio ossigenato amico biondo, quello che sua madre gli ha prefissato di fare. Ella, da quanto ne so, è una degli avvocati più richiesti di Detroit, città Natale di Phil, dove esercita il mestiere che si è imposta di ereditare al figlio, desiderando più di ogni altra cosa il suo successo. È un vero peccato che non abbia preso in considerazione due tristi fatalità:
(a) Phil mostra interesse solo per due cose oltre sé stesso: la musica e la birra.
(b) A lui non frega un cazzo dell'attività giuridica, e sebbene gli piacerebbe poter soddisfare la madre, va contro la sua stessa natura.
Del padre di Phil invece non so molto a parte che è un ex alcolizzato tornato a vivere con i genitori dopo che sua moglie l'ha sbattuto fuori di casa, di lui so solo quel poco che Phil mi ha raccontato, ovvero praticamente nulla in quanto non è esattamente il suo argomento preferito.
«Uuh-uuh» Fa Susan per richiamare la mia attenzione «Ci sei ancora?» Mi rendo conto che, sebbene sia un indifendibile scassa palle, la moretta di fronte a me ha un sorriso incantevole. Ora che presto più attenzione, in effetti, somiglia in modo quasi inquietante a Samantha: lo stesso nasino all'insù, gli stessi occhi verdi e lo stesso faccino paffuto. Guardate un po' la vita che buffa, eh? Il tuo migliore amico ti combina un appuntamento per farti dimenticare l'amore della tua vita, ed ecco che ti si presenta davanti una che ne è la fotocopia. No, la vita non è buffa, la vita è una vera stronza. «Kyle?!» Susan sembra essersi accorta che la sto ignorando e da l'aria di esserne infastidita.
«Scusami» Mormoro distrattamente, ed il lineamenti di ella, che prima si erano fatto duri, si rilassano «Devo andare» mi volto e, insofferente al fatto che Susan sia rimasta lì a fissarmi incredula e basita mentre mi allontano, inizio a cercare Phil per chiedergli come ha anche solo potuto pensare di presentarmi una ragazza che è la goccia d'acqua di Sam. Cammino per i corridoi affollati della casa, spalleggiando sconosciuti per farmi strada tra la folla. È l'ennesima festa organizzata da qualcuno di cui so a malapena il nome, a cui sto partecipando per conoscere persone di cui neppure voglio sapere il nome, quando l'unico nome che vorrei pronunciare in questo momento si trova lontano chilometri, in California.
È pazzesco come il nostro corpo si difenda dalla mancanza di qualcuno di importante, facendo il modo che ogni cosa ci faccia pensare ad egli, costruendo intorno al nostro cuore una barriera fatta di ricordi.
Mi dirigo verso quella che deve essere la sala da pranzo, la casa è grande e da l'aria di contenere almeno tre o quattro camere da letto, cosa che mi fa supporre che il proprietario abbia un bel po' di spiccioli sotto mano, o che per lo meno li abbia suo padre. Qui è stato allestito un piano bar dove, su di esso, vi sono una serie di drink preparati in precedenza, ne afferro uno senza pensarci troppo e lo porto alle labbra: è amaro, secco e asciutto.. di certo chi lo ha preparato non ci sapeva fare. Mi costringo a farmelo andar bene e mi allontano con il bicchiere ancora pieno in mano, non sarà granché, ma è molto forte e sento già lo stomaco bruciare.
Tipico, giusto? Preferiamo mandar giù robe imbevibili purché riescano a farci girare subito la testa. Suppongo sia lo stesso concetto con le persone: la loro presenza nella nostra vita è ingestibile e ci fa del male, ma nonostante questo ci ubriachiamo delle loro attenzioni, beandoci di quegli attimi sereni che ci concedono.
Mi addentro in quello che sembra essere il salotto, la musica è talmente alta da far traballare lievemente i pochi quadri appesi alla parete, il loro movimento oscillatorio è quasi ipnotico per me che, indovinate un po', sono pure astemio. Bevo un ultimo sorso di quell'intruglio prima di accorgermi che, qualche metro più avanti, vi è Phil. È accompagnato da un ragazzo dall'aria elegante: i suoi capelli sono perfettamente in ordine, la camicia bianca è abbottonata fino al colletto ed il suo portamento è impeccabile, persino il modo in cui regge il bicchiere tra le dita sembra abilmente costruito.
«Kyle! Vieni qui, amico!» Mi chiama Phil, accorgendosi della mia presenza «Lui è Josh, hai presente no? Quell'amico di cui ti parlavo!» Baggianate, Phil non ha mai nominato nessun Josh e no, non mi stupisce: lui, gli amici, li conta sulle dita della mano destra, il resto sono solo conoscenze di convenienza «Mi stavo complimentando con lui per la festa che è riuscito ad organizzare, e gli stavo proponendo un po' di buona musica dal vivo per la prossima!» Eccolo qua il mio caro, opportunista, Phil.
«Ed io stavo rispondendo che mi piacerebbe, del resto..» E qui Josh solleva il mento con superbia «Il denaro per me non è certo un problema»
E allora vedi di ingaggiare un barman migliore la prossima volta, cocco. Quel drink mi ha fatto schifo.
Phil, che sembra non gradire l'ultimo scoppio di vanità dell'altro, lo ignora totalmente «Prima ho incontrato Susan, sembrava parecchio irritata, sai?» Ridacchia portando il proprio bicchiere alle labbra.
Accidenti, mi ero completamente dimenticato di lei o delle buone maniere preso alla sprovvista dai ricordi legati a Samantha «Non trovi somigli vagamente a Sam?»
Phil assottiglia lo sguardo, scocciato «Tieni» Dice passandomi il proprio bicchiere «Fatti un drink, ne hai bisogno» Tipico comportamento da Phil, quando dici qualcosa che non condivide ti tratta da pazzo. Afferro il bicchiere che mi ha appena passato chiedendomi se farà schifo come quello che ho bevuto in precedenza e, quando mi umetto le labbra con il contenuto, mi rendo conto che la risposta è sì.
«Ehi, Josh. Questo drink è davvero squisito, mi raccomando, fai sinceri complimenti al tuo barman, è un grande!» Solo Phil, che trattiene una risatina, riesce a cogliere quanto sarcasmo sia intinto nelle mie lusinghe, l'altro si limita a ringraziare come il perfetto idiota che evidentemente è, per poi tornare a parlare con il biondo. Mi estraneo dalla conversazione per analizzare il sapore del mio cocktail, anche questo non ha un buon sapore seppur è assai più dolciastro del precedente. Sono un pessimo bevitore e non vanto di aver assaggiato i migliori drink del mondo, eppure anche io sarei capace di stabilire che quesi sono davvero pessimi. Devono essere stati preparati con così tanti miscugli che, oltre ad essere orribili, sono anche letali. La testa mi gira e, intontito, non riesco a distinguere le urla che all'improvviso mi travolgono dai miei pensieri, in un attimo mi ritrovo seduto su uno dei divanetti del salotto, alla mia destra una ragazza a me sconosciuta e alla mia sinistra Phil, che tra l'altro sembra non star più nella pelle. Il tavolino di fronte a me viene occupato da un cartellone con delle pedine che ricordano molto il gioco dell'oca e due dadi, una ventina di ragazzi si accalcano intorno ad esso come le mosche con il miele.
«Ma che roba è?» Chiedo a Phil, sono un po' intontito. Dannazione, quella roba che ho bevuto era un vero schifo, eppure era talmente forte da stendere chiunque.
Il mio amico, preso dall'eccitazione, mi ignora totalmente, dunque perdo le speranze e mi poggio allo schienale del divano, osservando la situazione. La ragazza seduta accanto a me, Clarissa la chiamano i presenti incitandola a tirare i dadi, prende questi ultimi in mano e li lancia sul tabellone, facendo uscire un otto. Assottiglio lo sguardo per leggere meglio, " bevi x2 ", faccio mente locale e mi rendo conto che lo scopo del gioco deve essere quello di finire in coma etilico. Un ragazzo riempie a Clarisse due bicchieri da shortino, e questa li manda giù senza pensarci troppo.
«Tocca a te, amico!» Mi incita Phil dandomi una pacca sulla spalla. Sono già un po' stordito, ma non talmente tanto da non riuscire a prendere i dadi in mano e lanciarli. Lo faccio, ed esce un 4. «Bevi x3» Sono un po' stranito all'idea di dover bere ancora essendo abbastanza lucido da capire che è meglio per me fermarmi qui, eppure non riesco a sottrarmi all'adrenalina dettata dalle grida di incitamento dei presenti, grida che mi costringono ad afferrare il primo bicchiere, berlo, e fare lo stesso con gli altri due. Sento la tipica sensazione di bruciore allo stomaco e sento il bisogno di allontanarmi, barcollante, verso la cima delle scale. Il piano superiore è deserto, non serve un genio per capire che sono tutti in salotto ad assistere a quel buffo gioco, e che probabilmente io sono l'unico ad aver gettato la spugna al primo turno. Apro una serie di porte finché non mi ritrovo in una camera da letto, chiudo la porta e mi getto sul materasso a pancia in su, il mondo intorno a me sembra vorticare, era da un po' che non mi sentivo così.
Chissà cosa sta facendo Sam in questo momento, e chissà se impiega un decimo del tempo che impiego io a pensarmi.
Spero che ‪domani‬ mi chiami.
Anzi, no, spero che mi chiami in questo preciso momento, così potrei dirle che la amo e che sono pronto a seguirla in California una volta finiti gli studi, se lei vorrà.
«Scusa?» È una voce femminile, piacevole, fresca, mi fa aprire gli occhi e sussultare. Davanti allo stipite della porta, in piedi, vi è una figura femminile che distinguo a malapena «Ti dispiace?» Chiede mettendosi seduta sul divanetto al lato destro della camera «L'altra camera ha le lenzuola sporche di vomito, e puzza, e quella qui accanto è stata, come dire, occupata da due ragazzi.» Ridacchia lievemente imbarazzata «Se facciamo silenzio riusciamo addirittura a sentire le molle del letto cigolare, che orrore!» Mi metto seduto e la osservo, spero possa perdonarmi: non sono un ottimo oratore durante questo tipo di sbronze tristi «..D'accordo, ti prego, parlami. Se non lo fai riuscirò DAVVERO a sentire le molle cigolare, ed è un vero schifo!» Mi viene naturale scoppiare a ridere, ma non per la battuta della ragazza in sé, ma perché mi è tornata in mente quella volta che dovetti passare la notte al telefono con Sam perché sua sorella aveva portato a casa un bellimbusto con cui se la stava spassando in camera sua, e Sam poteva giurarmi di averla sentita urlare «Ma quanto hai bevuto?» Mi chiede l'estranea, rendendosi conto che sembro essere sullo spazio. È vero, in questi giorni sembro essere in rotta di collisione con l'autocommiserazione.
«Un po'» Mi rigetto sulle coperte, non hanno esattamente un buon odore, anzi, tutta la stanza in sé sembra puzzare di chiuso. La sconosciuta si alza, si avvicina alla finestra, e quasi intercettando i miei pensieri la spalanca per far cambiare l'aria «Allora, cosa ti porta qui?»
«La stessa cosa che fai tu, suppongo.. mi hanno trascinata. Perché non sei giù con gli altri?»
«Per il tuo stesso motivo, suppongo. Sono una checca quando si tratta di bere.» Non ne sono sicuro, ma sembra aver sorriso.
«Ma non mi dire? L'avevo capito dal modo in cui a malapena ti reggi in piedi. Ti serve una mano, a proposito?» La schernisco con un gesto della mano, come a volerle dire che è tutto okay «Fammi indovinare, la tua ragazza ti ha lasciato»
«Eggià»
L'altra si fa seria «Sul serio? Cavolo, mi spiace!— Ti giuro che prima ho totalmente tirato ad indovinare»
«Bhe, non era poi così difficile. Da solo in una camera da letto mentre al piano di sotto i miei amici se la spassano ed io ubriaco marcio. Puzzo di disperazione, insomma»
«Diciamo che non emani un'aura di spensieratezza, ecco» Si mette seduta vicino a me, da qui posso notare che indossa un allegro vestito giallo con delle margherite bianche, e che profuma di gelsomino «Ti ha mollato lei?»
«Indovina?»
«Sì, ti ha mollato lei» Si getta sul letto a pancia in su ed io faccio lo stesso «Stai tranquillo, passerà. Passa sempre.»
«Parli per esperienza?»
«Mmh, sì. Prima di iniziare il college ho avuto una di quelle storie kamikaze che non servono ad altro che ferirti»
«Ooh, le storie kamikaze sono le peggiori!» Ripeto con sarcasmo, ella mi molla un pizzicotto sul braccio per canzonarmi
«Non trovo altro modo per definirla, in verità. Era una bomba ad orologeria, mi avrebbe fatta esplodere ed io avrei lasciato che accadesse»
«E sei esplosa, poi?»
«Ti sembro una che è esplosa?»
«Non lo so, non ti conosco abbastanza» Ride, ha una bella risata ma assai diversa da quella di Sam «Come si chiamava?»
«William, era proprio un bel tipo. Avevo quattordici anni quando lo conobbi, e me ne innamorai»
«E poi cos'è successo? Lui non contraccambiava?»
«Credo di sì, gli piacevo eccome. Il problema è che il nostro amore non era destinano a durare. Diffido dal credere che mi abbia mai amato davvero, ero solo una ragazzina del resto» Si alza in piedi, tira fuori una sigaretta dal pacchetto che teneva dentro la borsetta di cuoio marrone e l'accende. Mi viene spontaneo corrugare la fronte con disappunto; una ragazza talmente bella, con dei modi così fini, con delle parole così gentili, con un vestito così adorabile NON può fumare. Non le si addice. Eppure lo sta facendo, si porta alle labbra una Winston reggendola tra due dita dalle unghia dipinte di rosso e aspira «Ne vuoi una?» Mi chiede, suppongo abbia pensato che fosse da maleducati non offrirne
«No, grazie. Non sono un gran fumatore»
Sbuffa via il fumo gettando la cenere sul parquet, sembra non importarle se qualcuno ‪domani‬ dovrà preoccuparsi di pulire «Non sei un gran fumatore, non sei un gran bevitore, ed allora in cosa sei /grande/?»
«Sto ancora cercando di capirlo, in verità»
«Lei come si chiamava?»
«Samantha. Ah, e lei sapeva rendermi grande»
«Allora forse è un bene che sia finita, sai? Devi saper essere grande da solo, non per merito di qualcun altro» mi ammutolisco, non sono abbastanza sobrio per rispondere ad una cosa del genere in modo concreto «Posso chiederti perché ti ha lasciato?» Credo si sia resa conto del mio imbarazzo, quindi, dopo l'ennesimo tiro di sigaretta, si volta nella mia direzione per fornirmi una spiegazione alla sua indiscrezione «Mi affascina conoscere le cause della rottura di un amore, sono tutte così strane e prive di senso»
«Prive di senso? Suppongo che, se non vivi un problema, non ti ci puoi rispecchiare. Fai male a giudicare così questo tipo di cose»
La ragazza scaccia il mio rimprovero con un gesto della mano, noncurante «Sono sciocchezze, non esiste nessun motivo sufficientemente valido per distruggere l'amore, l'amore non si lascia distruggere. Se accade, allora o non è più amore o non lo è mai stato»
Rimango in silenzio per qualche istante, il forte pugno figurativo appena ricevuto mi fa dolere il petto. Dunque Sam non mi ama più? «Ci siamo conosciuti qui, anche lei come me studia medicina. Adesso, però, si è trasferita in California» Inspiro, espiro. Perché parlarne è sempre così straziante? «Pensava che la distanza fosse troppo dura da sopportare, credo»
L'altra ha preso a mordicchiarsi il labbro inferiore, sembra quasi percepisca il mio malessere e ne stia ricavando una vagonata di sensi di colpa per avermi fatto affrontare un argomento così delicato «È triste»
«Lo so»
«No, non hai capito» Si china sul parquet, spegnendo la cicca su di esso «È triste che esista gente capace di tollerare una rottura, nonché un allontanamento definitivo, e non la distanza. Credo sia una delle magie dell'amore: se abbastanza forte, è in grado di arrivare ovunque, anche dove il corpo non può» Si alza in piedi, mi sorride e raggiunge la porta «Credo sia ora che io raccolga le mie amiche ubriache, stammi bene!» Il suo sorriso è raggiante mentre esce dalla stanza, quasi non si sia resa conto che le sue parole si siano appena trasfigurate in una spada pronta a trafiggermi.

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