Capitolo 2

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Il cuore inizia a battere all'impazzata, tutto tace, persino il russare di Phil arriva alle mie orecchie come un suono sordo
«Ciao!»
Le mani iniziano a formicolarmi e la testa mi gira, avrei dovuto pensare prima a cosa dire «Sam, sono..»
«Questa è la segreteria telefonica di Samantha, probabilmente non posso rispondere.. o mi sono appisolata, chissà!» La voce registrata di Sam ride, e a me si scioglie il cuore «..Comunque, lasciate un messaggio, prometto che vi richiamerò!»
«Ciao Sam, io.. so che avevo promesso di non chiamarti più e di non disturbarti, ma.. non ci riesco. Ci sto provando, te lo giuro, ma non ce la faccio. Mi manchi da morire e da quando te ne sei andata non penso ad altro, ho bisogno di sapere se anche per te è così, tutto qua. Richiamami, ti prego» Assurdo che io stia cadendo così in basso, se me l'avessero detto un anno fa, quando con Sam andava tutto bene, avrei risposto con arroganza che se lei fosse andata via dalla mia vita avrei accettato la sua scelta e di sicuro non l'avrei costretta a rimanere, avrei vantato una forza d'animo che adesso non sento più di avere.  È molto più facile immaginare la propria vita senza una persona quando l'abbiamo accanto, piuttosto che quando non c'è più.
Diamo per scontato ogni cosa e quella cosa, quando la teniamo per mano, perde valore. Soltanto quando una persona se ne va davvero dalla nostra vita riusciamo ad apprezzare veramente i momenti passati con lei. Scendo dal letto con passo felino per non rischiare di svegliare Phil e mi avvicino alla parete ricoperta dalle fotografie. Il mio occhio cade su una foto in particolare, ritrae Sam in cappotto e stivali che impugna un ombrello sotto il cielo grigio di ottobre. Ha i capelli castani legati in una coda di cavallo e gli occhi verdi che puntano verso l'alto, nel cielo, e alle sue spalle la fontana situata nella piazza centrale di Forceland. Ricordo perfettamente il giorno in cui le scattai quella foto; faceva freddo e pioveva, ma Sam insistette per uscire perché proprio in quella piazza avevano allestito il festival della zucca. Ovviamente arrivati lì si rese conto che era stato annullato perché, con quel tempo, gli unici folli che si presentarono fummo io e lei.
Allora ci sedemmo sotto la pioggia, sul bordo della fontana, e Sam prese in mano una monetina e mi costrinse a fare lo stesso, dicendo che avremmo dovuto gettarle nell'acqua ed esprimere un desiderio. Provai a spiegarle che non eravamo in Italia e che quella non era la fontana di Trevi, ma lei insistette sul fatto che una fontana valeva l'altra. Non vidi perché non farla felice quindi, dopo aver abbandonato l'ombrello ed esserci inzuppati per bene, demmo le spalle alla fontana e lanciammo le monete. "Che ci siano altri mille di giorni così!", urlò. Dopo aver riattaccato la foto alla parete mi avvicino alla finestra, fuori dei nuvoloni grigi hanno ricoperto interamente il cielo e ha iniziato a piovere a dirotto. Hai visto, Sam? La fontana ha mantenuto la promessa e ci concede ancora dei giorni così, a differenza che tu non sei più qui con me a goderteli.

Mi sveglio di soprassalto per colpa della sveglia, devo muovermi se non voglio arrivare tardi a tirocinio. Lo svolgo in una delle piccole cliniche del campus, meno di quanto ci si aspetti insomma, ma mi auguro vette più alte alla fine della mia specializzazione. Fuori non piove più, ma l'aria è comunque sufficientemente pungente da farmi venire la pelle d'oca quando, dopo aver tolto la t shirt dei Paramore, entro in doccia. Quel figlio di puttana di Phil deve aver consumato tutta l'acqua calda prima di recarsi a lezione ed adesso a me tocca morire assiderato, e poi si chiede anche perché delle volte mi piacerebbe sbatterlo fuori! Dopo una serie interminabile di bestemmie esco dalla doccia e, dopo essermi asciugato, indosso un maglioncino beige e dei jeans.
La clinica in cui svolgo il tirocinio è assai lontana dal mio dormitorio per cui, visto che andrò a riprendere la macchina dal meccanico solo dopo pranzo, per recarmi lì mi toccherà chiamare un taxy.
Fortunatamente, dopo essere sceso giù, ne trovo uno bell'e pronto ad aspettarmi, salgo e gli indico dove deve recarsi. Approfitto del viaggio per accendere il cellulare e controllare i messaggi e la segreteria. Sam, come mi aspettavo, non ha risposto. Vi è solo un messaggio di mia madre che mi ricorda di chiamarla quando avrò un attimo di tempo e un messaggio di Scott, che mi ricorda di avergli promesso di accompagnarlo alla mostra d'arte di Cara questo pomeriggio.
Invio un messaggio a mia madre per dirle che sto bene e che, appena potrò, la chiamerò.
Posso vantare una famiglia serena, una madre fantastica ed un padre esemplare. A differenza di oramai molte unità famigliari medie, la mia è sempre stata unita e senza troppi problemi, se non qualche piccolo battibecco di routine. Mia madre si chiama Emily, è nata in Inghilterra ed ha conosciuto mio padre, Frank, durante un viaggio interscolastico. Inizialmente fu davvero dura sopportare la distanza, a quei tempi non esistevano né gli sms né i social network, e le chiamate internazionali costavano parecchio, rimanere uniti era doppiamente difficile di quanto lo sarebbe adesso, eppure loro sono ugualmente riusciti a farlo ed a costruire una famiglia. Sam, invece, ha preferito la via più breve, mi chiedo se questo non sia forse un segno per farmi capire che dovrei lasciar perdere con lei.
Mio padre lavora per un azienda di traslochi a New York, dove sono nato, e mia madre ha una piccola tavola calda che gestisce insieme a mia zia Sully, sorella di mio padre. Mia sorella Elizabeth, più piccola di me di quattro anni, ha iniziato quest'anno gli studi alla Yale School Of Drama, dove studia teatro. Sebbene io le voglia un bene immenso, e lei contraccambi, non siamo mai stati particolarmente uniti, tutt'ora ci sentiamo di rado e poche volte ad uno dei due viene in mente di chiamare l'altro per sapere come sta, ciononostante sono poche le cose che non farei per lei.
Qualche minuto dopo sono arrivato in clinica, questa è piccolina e non può ospitare più di una trentina di pazienti, dunque, come ho già detto prima, non è il massimo. Spero che una volta ottenuto il Bachelor of Science io possa puntare più in alto e, tornato a New York, conseguire la specializzazione al Presbyterian Hospital, grazie alle conoscenze di mio padre che, vuole il caso, è un caro amico del capo reparto di chirurgia.
Una volta dentro mi avvicino al banco accoglienza dove timbro il mio permesso di entrata e saluto Marissa, la segretaria. Non mi sono mai permesso di chiederle quanti anni abbia, ma suppongo le manchi poco alla quarantina.
Superati i convenevoli mi accingo a raggiungere lo spogliatoio dove indosso camice e cartellino riconoscitivo. Credo che questa sia la parte più noiosa dei campus per quanto riguarda gli studenti di medicina: non trovandosi in una metropoli i pazienti più importanti da assistere saranno al massimo studenti con la rosolia, e l'operazione più interessante da osservare un'appendicectomia.
«Cullen, buongiorno» È il Dottor Sharman, mio superiore, nonché il responsabile di questa clinica. È un tipo apposto, un po' eccentrico forse, ma ci si abitua «Posso offrirle un caffè?»
«Magari dopo, la ringrazio. Devo prima passare a controllare come sta la paziente della numero 13» Declino con cortesia l'invito dell'uomo, preferisco fare quel poco che c'è da fare qui piuttosto che oziare. Nella numero tredici soggiorna la signora Smith, la proprietaria della rosticceria più buona del campus, che si era beccata un influenza coi fiocchi. Dopo averle somministrato un antibiotico sotto la supervisione del Dottor Sharman, adesso sembra stare meglio.

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