La bambina con le corna

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Giocava a nascondino con gli amici quando intravvide il volto di lei tra i cespugli.
Era segnato dalla paura e dalla fame. Non appena si accorse del suo sguardo, scomparve nell'oscurità del bosco.
Non capendone esattamente il motivo, il cuore gli ordinò d'inseguirla. In un lampo sparì nel fitto della vegetazione e la notte sembrò calare all'improvviso.
La zona vicina al villaggio la conosceva benissimo; era solito andarci a giocare, arrampicandosi sugli alberi e ascoltando il silenzio della natura.
In poco tempo fu in grado di raggiungerla. Era una bambina apparentemente più piccola di lui.
Correva disperata ma non abbastanza velocemente; gli anni trascorsi lì dentro l'avevano reso agile e la semioscurità non gli incuteva alcun timore. L'unica cosa a preoccuparlo erano le circostanze: non si stava giocando, quella bambina era terrorizzata e lui voleva saperne di più.
L'inseguimento non durò a lungo. La bambina, completamente esausta, stramazzò al suolo, in una radura, proprio al di sotto di un leggero e freddo raggio di sole. Accanto scorreva tranquillo un ruscello di acqua limpida.
Ansimante, se ne stava accucciata a terra in posizione fetale e tremava violentemente.
Una volta raggiunta, il bambino si fermò a qualche metro da lei; riprendendo fiato cominciò a osservarla attentamente. Le dava le spalle e poté subito notare i suoi lunghi e intrecciati capelli neri, completamente sporchi. Sembrava indossare una sorta di vestito marrone, stropicciato e logoro, oltre che decisamente troppo leggero. I piedi erano scalzi e pieni di ferite. Un po' ovunque era piena di graffi e contusioni. Ma nonostante il suo stato pietoso fosse davvero preoccupante, ciò che fece spalancare gli occhi al bambino fu la vista di ciò che le spuntavano dai lati della testa: due corna aguzze, le corna degli Antichi Dei.
Cominciò ad avvicinarsi lentamente, mentre l'opaca luce del sole illuminava quell'esile corpo tremante. La mente gli diceva di dover temere quella creatura. Come suo padre, sacerdote e protettore del villaggio, gli aveva insegnato, coloro che nascevano con le corna degli Antiche Dei erano destinati a una fine funesta, sennò avrebbero portato morte e sventura.
Iko però stentava a credere che quella bambina potesse essere pericolosa. Ascoltando il cuore e mettendo a tacere la ragione, decise di accucciarsi accanto a lei. Quest'ultima prese a tremare ancora più violentemente e lanciò un piccolo grido quando il bambino le scostò un enorme ciocca di capelli dal volto.
Il loro sguardo si incontrò per qualche secondo; gli occhi di lei erano neri, profondi e invitanti come due pozzi neri.
Iko le afferrò il volto con entrambe le mani per poter continuare a osservarla. Lei non oppose alcune resistenza ma mantenne lo sguardo basso, ben fisso sul terreno.
I suoi lineamenti erano delicati e morbidi, il naso piccolo e leggermente all'insù, la bocca rosea ma stretta in una smorfia di paura.
Mentre la guardava il bambino si domandava dove potesse nascondersi la morte in qualcosa che appariva così dolce e indifeso. Scacciando dalla mente la voce del padre, abbracciò la bambina che non oppose alcuna resistenza ma si abbandonò, stupita, nella sua amorevole stretta.
« Non so chi sei e cosa ti è accaduto. Non m'interessa saperlo... ma non posso portarti al villaggio, lo capisci? ».
Lei annuì, completamente rilassata nelle sue braccia.
« Ma posso darti un piccolo aiuto... ».
Detto questo la lasciò andare e mentre lei l'osservava, Iko si avvicinò al ruscello. Si bagnò abbondantemente le mani per poi tornare dalla bambina, sempre seduta a terra.
Con delicatezza le pulì il volto e i piedi. Nel frattempo la guardava ogni tanto negli occhi e lei gli porse un debole sorriso.
Una volta pulita, la fece bere avidamente dalle sue mani. Lei, con una gran foga, mandò giù un'enorme quantità di d'acqua.
Tutto si svolse nel più sacro dei silenzi e il sole, che cominciava a tramontare, consacrava il momento con la sua calda luce divina.
Iko comprese definitivamente che non c'era nulla di funesto in lei. Solo innocenza e paura. Incomprensione e rifiuto.
Quando fu ben dissetata il bambino le porse alcune radici, spiegandole che erano commestibili.
« In questi boschi le troverai ovunque. Ti aiuteranno a sopravvivere ».
Lei ascoltò attentamente, mentre ne addentava una. Masticava lentamente, assaporandone la consistenza, tentando con la saliva di renderla il più morbida possibile. Nel frattempo osservava Iko seduto da una parte che si toglieva le scarpe e la mantella che lo proteggeva dal freddo.
« Metti questi. Forse ti staranno un po' larghi ma almeno sarai più protetta dal freddo ». Notando il suo sguardo perplesso, aggiunse: « Non preoccuparti per me, posso velocemente raggiungere il villaggio e inventare una scusa. Ovviamente sarò sgridato ma in poco tempo avrò di nuovo un paio di scarpe e una mantella », concluse con un enorme sorriso. Anche la bambina sorrise, per poi indossare i vestiti di Iko.


S'era fatto quasi buio nel momento in cui Iko decise che era ora di andare. La bambina era finalmente in piedi e osservava il suo benefattore con curiosità.
Per un lungo istante continuarono a guardarsi e il bambino sentì il cuore tremare quando lei accennò a voltarsi. Voleva dirle qualcosa ma ogni parola gli moriva in gola, soffocata da una inspiegabile sensazione di tristezza.
Lei fece caso al suo sguardo improvvisamente rabbuiato e sorridendo parlò per la prima volta. Con voce esile e quasi inudibile, sussurrò: « Grazie ».
Quella semplice parola arrivò in fondo al cuore del bambino e nel frattempo lei se ne andò, mentre la notte calava completamente sulla radura.
La ragione gli diceva che non l'avrebbe mai più rivista ma quel giorno Iko aveva imparato a dare ascolto al cuore.

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