-Princeton, 1 ottobre 1910-
L'autunno, in New Jersey, era un incendio di colori. Se le giornate non promettevano pioggia, l'aria tersa conferiva ai raggi solari quella purezza cristallina tipica dell'autunno. Le foglie già cadute scricchiolavano sotto alle scarpe, il sole intiepidiva l'aria frizzante, ed i raggi obliqui facevano socchiudere gli occhi.
Tyler non si era mai abituato veramente al clima del New Jersey.
A lui, nato e cresciuto in Colorado, era mancato il caldo secco dell'estate, quando l'aria era soffocante ed ogni cosa pareva coperta di polvere, che si sollevava inesorabile ad ogni passo. Gli erano mancati gli inverni rigidi e nevosi che ammantavano le foreste del Pikes Peak come una fredda coperta silenziosa; gli era mancata la quiete rurale, che poi a ben pensarci altro non era che un chiassoso ronzio di insetti mescolato al chiocciare delle galline ed al nitrire dei cavalli. Di notte, quando sognava di casa, sentiva persino il frinire delle cicale, e si svegliava sentendosi di appartenere ad un posto, a quel posto. Ed ogni volta provava un pizzico di nostalgia.
L'inizio dell'autunno, invece, era del tutto simile a quelli che aveva vissuto nella sua infanzia, a casa, ed allora gironzolava per il parco dell'università, sentendo la dolcezza del ritrovarsi nei suoi ricordi.Erano ormai otto anni che lui, sua madre ed il suo fratellino si erano trasferiti da Colorado Springs a Princeton. Non erano mai tornati; lui aveva iniziato a frequentare i corsi accademici, coronando così il suo sogno di diventare insegnante, e sua madre era invecchiata. Ora come ora, un viaggio sarebbe stato semplicemente assurdo. Tornare per cosa? Per chi?
Tyler era immerso in questi pensieri, che tornavano periodicamente come un mantra, e non si accorse subito del movimento ai margini del parco. Ad attirarlo furono le urla, ed allora si riscosse, voltandosi a guardare per capire cosa stesse succedendo.
-Fermi! Basta!- Sentì gridare, mentre altre voci si alzavano. Affretto' il passo e scorse dietro al capannello di persone un ragazzo a terra, intento a tenersi lo stomaco, mentre gli studenti più indietro iniziavano a dileguarsi.
-Cosa succede?- Esclamò il giovane.
La crocchia di studenti si disperse rapidamente, e Tyler allungò la mano verso il ragazzo a terra.
-Tutto bene?- Gli chiese. Non lo riconosceva, ma non era affatto strano: l'università contava migliaia di studenti, era impossibile conoscerli tutti.
-Sto bene. Non mi sono fatto niente- replicò il ragazzo ignorandolo, spolverandosi la camicia impolverata ed alzandosi con una smorfia.
Tyler giudico' che avesse all'incirca vent'anni, probabilmente era una matricola, e provo' un moto di compassione.
-Sono Tyler White, precettore del professor Wilson. Posso aiutarti?- Replicò, tornando ad offrirgli la mano.
-Ce la faccio da solo, professore. Grazie- rispose l'altro, alzando finalmente lo sguardo su di lui. Tyler annuì, mentre un residuo dell'antica timidezza gli coloriva le guance.
-Bene. Ma se ti danno ancora fastidio, non esitare a venire a chiedere aiuto- concluse, facendo per andarsene. Il ragazzo lo fermò per un braccio, costringendolo a voltarsi:
-Sono James Campbell-
Tyler si ritrovò a stringergli la mano.
-Grazie dell'aiuto, professore. Cosa insegna?-
-Uhm, dammi del tu. Sono un precettore, ma sto ancora studiando anch'io- spiegò. Il ragazzo annuì, sorridendogli come se poco prima non fosse successo niente. Soltanto uno sbaffo di terra che gli sporcava il viso era testimonianza dello scontro di poc'anzi.
-In che dipartimento studi?-
-Lettere. E tu?- Chiese, più per educazione che per interesse. Stava facendo tardi, Wilson era intransigente.
- Sono ancora al primo anno, ma mi piacerebbe entrare in quello di Scienze matematiche. Piacere di averti conosciuto, White- fece l'altro, sorridendogli ed andandosene via.
A Tyler rimase impressa nelle retine l'immagine confusa di capelli scuri e labbra sorridenti su cui spiccavano nitidamente due occhi castani.James Campbell sarebbe potuto essere l'emblema della vittima perfetta. Faccia da schiaffi su cui aleggiava spesso e volentieri un sorrisetto, lineamenti angelici ed incarnato roseo, avrebbe potuto popolare i sogni di una gran parte delle fanciulle in età da marito, se non fosse stato per la sua natura inequivocabilmente omosessuale. Non tanto per atteggiamenti effeminati o per desiderio di ostentare, quanto per una irriducibile voglia di esprimere sempre e comunque sé stesso, a discapito della disapprovazione e del disprezzo sociale.
A salvarlo dall'essere la vittima ideale erano la sua altezza considerevole, oltre il metro e novanta, e la sua ottima prestanza fisica. Era abituato a lavorare sodo, e si vedeva. Suo padre lo aveva tirato su da solo: era emigrato in America con la giovane moglie incinta di pochi mesi, ma una volta approdati ad Ellis Island la vita lo aveva messo a dura prova. La moglie era morta dando alla luce James, che nella disperazione paterna aveva rischiato di morire: suo padre, affranto oltre ogni dire, aveva seriamente considerato di gettarlo nel fiume Hudson.
Ravvedendosi all'ultimo momento e pentendosi di ciò che aveva pensato di fare, era corso nella prima chiesa che aveva trovato per chiedere perdono a Dio e promettergli che, se il neonato fosse sopravvissuto alle precarie condizioni di vita a cui avrebbe dovuto far fronte, lo avrebbe cresciuto al meglio delle sue forze.
Si era arrabattato alla bell' e meglio sino a che non aveva trovato lavoro in Virginia Occidentale, presso la miniera di Monongah. James era cresciuto a pane e carbone, perché il padre lo aveva portato con sé sin da quando aveva iniziato a muovere i primi passi. Aveva detto le sue prime parole dal fondo di un carretto da trasporto ed aveva trovato nei colleghi di suo padre una famiglia. Non aveva mai avuto paura del buio, né delle facce sempre sporche di carbone dei suoi "zii", che lo avevano preso sotto alla loro ala protettiva. Era cresciuto in mezzo ai minatori ed aveva condiviso con loro sudore e fatica, eppure aveva avuto un'infanzia felice. Il lavoro in miniera gli aveva forgiato il carattere, rendendolo insofferente all'inerzia e soprattutto a non desistere.
Quella mattina di ottobre, James si spolvero' i pantaloni sporchi, meditando su come non fosse riuscito a far fronte ad una banda di studenti soltanto per una questione numerica. Affrontati uno ad uno li avrebbe battuti facilmente. Non era stato capace di mantenere un profilo basso; avrebbe dovuto seguire i consigli della sua famiglia, e comportarsi bene.
Improvvisamente ripenso' allo strano incontro con il giovane precettore di Wilson, ed un sorriso gli rischiaro' i pensieri, mentre si avviava all'edificio principale per il primo giorno da matricola.
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Ricomincio da me
RomanceOneshot originale classificata al terzo posto nel contest #Uominicheamano. Princeton University, anno 1910. Tyler White è un giovane precettore di Lettere. Aiutato da alcuni amici ha lasciato il Colorado, dove è nato e cresciuto, per poter studiare...