"Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente disanimataCome questa pietra
è il mio pianto
che non si vedeLa morte
si sconta
vivendo""Sono una Creatura" - G. Ungaretti (1888-1970)
La bottiglia volò per aria e colpì la parete, riversando il liquido sul muro e cospargendo il pavimento di cocci. Il ragazzo sospirò, rendendosi conto che avrebbe dovuto pulire lui quel casino.
«Papà, calmati,» provò a dire la ragazza, afferrando il suo braccio e carezzandolo con gentilezza, mentre Jake chiudeva a chiave il cassetto dei coltelli. L'uomo non aveva intenzione di rilassarsi, così strattonò il braccio di Sophia e le tirò uno schiaffo col dorso della mano. Dal canto suo, Jake cercava di tenere un atteggiamento zen, respirare ed evitare di sbottare: "Jake non fare nulla. Respira, calmati" si ripeteva in continuazione. Poi, l'uomo che li aveva messi al mondo e che Jake si rifiutava di chiamare padre, prese un'altra bottiglia e la lanciò pericolosamente vicino a Sophia, il che fece partire i cinque minuti al giovane:
«Brutto figlio di puttana!» urlò, dirigendosi a grandi passi dall'uomo che aveva inseminato sua madre.
«Tu non mi rompere i coglioni, frocio!» gridò il vecchio, cercando di muoversi mentre a stento si reggeva in piedi. Jake voleva tirargli un pugno, voleva fargli sentire dolore. Ma lui glielo lo impedì, facendo tutto da solo prima che il figlio lo raggiungesse: l'uomo scivolò sul liquido della tequila che lui stesso aveva lanciato dieci secondi prima, e cadde, battendo la testa e chiudendo gli occhi. Non si mosse più.
«È finalmente morto?» domandò Jake a sua sorella.
«Smettila, Jake. Cazzo si sarà fatto male. Dopo si sveglierà col bernoccolo e si arrabbierà,» disse, tastandogli la testa.
«Cazzi suoi. Non capisco cosa ci trovi di buono in lui, perché continui ad aiutarlo?» le chiese, come quasi ogni giorno, mentre sollevavano il corpo di loro "padre" e lo adagiavano sul divano del salotto.
«È nostro papà, ecco cosa ci trovo in lui,» rispose lei, poggiando la sua testa sul cuscino.
«Sì, ma solo biologicamente,» contestò il giovane, lei gli lanciò un'occhiataccia. Da quando loro madre era morta, l'uomo beveva sempre. Già prima, quando lei era viva, capitava che lui bevesse e la picchiasse, ma poi, era diventata sistematica la cosa: beveva ad ogni ora del giorno, e lanciava oggetti o picchiava i figli.
«Jake, devi andare a scuola. E, già che ci sei, passa in farmacia a prendere qualcosa per la sua testa: sanguina,» gli disse Sophia, lui sbuffò.
«Sì, un cervello gli servirebbe. Oggi non ci vado. Non ti lascio sola con lui. Metti che si sveglia...» sostenne il giovane, lasciandosi cadere sulla poltrona.
«Non si sveglierà. Dai, fallo per me, fratellino!» lo pregò la sorella, lui scosse la testa, si alzò e prese la giacca
«Ci vediamo alle due,» lei sorrise, gli diede un bacio e lo guardò uscire di casa. Jake varcò la soglia e si richiuse la porta dietro spalle. Scese le scale e uscì dal portone, camminando a passo svelto verso la fermata dell'autobus. Faceva freddo a Richmond, era solo ottobre e già tutti avvertivano il preludio di un inverno più che rigido. Jake avanzò lungo la strada asfaltata, producendo quel secco suono di scarpa che tocca il marciapiede. Tutto era silenzioso attorno a lui. Si prese quel momento per pensare.
La sua vita faceva relativamente schifo. Era un ragazzo di 17 anni e poco interessante. Era alto circa un metro e settantacinque, aveva i capelli castano scuro tendente al nero e gli occhi color nocciola che, però, si schiarivano diventando quasi color miele nelle stagioni calde, e si scurivano nelle stagioni fredde, facendolo sembrare quasi un gatto dagli occhi enormi. Sua sorella aveva 19 anni ed era l'unica persona che gli voleva bene, e lui ricambiava. Lui viveva come in una bolla fatta di abitudini e costrizioni, cose che vedeva e non poteva avere e, invece, cose che non desiderava ma otteneva, come ad esempio il suo più grande fardello: la sua omosessualità. Non aveva ancora fatto pace con l'idea che lui fosse anormale, sbagliato, o che fosse semplicemente diverso da tutti gli altri. Jake andava a scuola e aveva voti mediocri e faceva abbastanza schifo nello sport. Ma, la cosa peggiore, era la sua cotta pazzesca nei confronti di un altro ragazzo del suo istituto. Era così che aveva capito di essere gay. Anziché sognare le ragazze la notte, come tutti i suoi compagni di classe, lui immaginava di giacere con un uomo. E, tra l'altro, non un uomo qualunque. Lysander Proud era il ragazzo più figo sulla faccia della terra: era l'opposto di Jake, amava gli sport, aveva un sacco di amici e la sua vita era... beh, fantastica. Era più alto di Jake, e i suoi capelli erano biondi. Aveva gli occhi verdi con delle venature dorate che li rendevano mozzafiato. Ma, ovviamente, Jake non lo poteva avere. Lysander era etero e, se mai avesse saputo che Jake era gay, non avrebbe di sicuro avuto una reazione piacevole.
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Lysander (O.S.)
Short Story📎One Shot Story classificatasi prima al Contest "UominiCheAmano". Lysander non è un nome comune. Le sue radici greche fanno pensare che significhi "liberatore", o "colui che è libero". E ciò non si scostava tanto dalla realtà. Per Jake, un ragazzo...