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Le truppe furono pronte all'alba. L'assalto previsto per quella mattina d'inverno era stato calcolato nei minimi dettagli, i soldati non avrebbero fallito.

E della medesima idea erano gli uomini pronti a difendere la città con il sangue, infatti quel dì molto sangue si sarebbe sparso sulla neve. Era il destino di ogni guerriero. Ma morire in battaglia era considerato un atto eroico, ricco di onore e gloria, più di quanta ne avesse un re codardo seduto sul trono ad ubriacarsi in mezzo a decine di donne.

Le campane della città furono suonate, così come i corni, e i loro suoni riecheggiarono nell'aria fresca che presto sarebbe diventata secca e male odorante.

Armi pronte, protese verso le porte di ferro e di legno. Il sudore aveva già iniziato a colare sulle fronti dei soldati, ma ogni paura era velata dietro a sguardi fissi e concentrati.

L'esercito dietro alle mura della città iniziò a farsi sentire: grida, esulti in onore di una vittoria ancora non posseduta, ma che per loro era già in pugno.

Poco dopo iniziarono ad udirsi le frecce scoccate dagli arcieri delle torri, e dopo ancora tonfi sempre più improntati contro i cancelli principali.

In prima fila, a difesa del portone in legno nella grande piazza, c'era un soldato giovane, forse il più giovane fra tutti quanti, che con grande ardore puntava la sua lancia di metallo verso i nemici che a breve avrebbero invaso il piazzale.

I suoi occhi azzurri ricchi di fuoco che bruciava come non mai, le sue labbra secche non per il gelo ma per i numerosi morsi dei suoi denti bianchi, e il continuo movimento delle gambe in avanti e indietro lo distinguevano dagli altri soldati, che immobili come statue nel corpo e nel volto, non respiravano neanche. Era la prima volta che quel giovanotto partecipava ad una vera battaglia, e l'ansia di iniziare rischiava di renderlo impreparato. Forse non era ancora pronto, ma nessuno aveva scelta in quella città, soprattutto se si trattava di un assalto previsto da mesi.

Le porte furono buttate giù dopo alcuni minuti buoni, lasciando passare centinaia di uomini con l'armatura d'argento e con uno stemma dipinto su di esse: un leone rosso. Era l'emblema del regno di Kaeredor, acerrimo nemico di Mithkan, il quale vessillo rappresentava un orso nero.

Le continue guerre di supremazia dei due regni avevano perdurato per secoli, senza mai aver stabilito un vincitore risolutivo. E per l'ennesima volta, dopo anni di pace raggiunta dai re precedenti, il regno dell'Est aveva deciso di provare nuovamente a far valere il suo dominio, iniziando dalla Città di Rame, la capitale del regno di Mithkan. Il piano era di conquistarla in un solo giorno, e una volta presa la città, avrebbero conquistato il regno stesso.

Ma il re dell'Ovest aveva progetti differenti. I suoi dei gli avevano mostrato la vittoria qualche giorno prima dell'assalto, e gli avevano garantito l'egemonia totale e definitiva su Kaeredor grazie a tale trionfo.

Ai soldati che combattevano fuori dalle mura del castello, però, non interessava il favore degli dei per vincere. Quasi nessuno affidava le battaglie che combatteva al proprio credo. Soprattutto gli uomini più forti con esperienza, che basavano qualsiasi cosa sulle proprie capacità di combattenti.

E il più giovane dei soldati non era da meno. Credeva in se stesso e in nessun altro. Suo padre l'aveva addestrato per anni, e ora aveva l'occasione di mostrare le sue abilità.

Iniziò ad ammazzare un paio di soldati, ma alcuni gli sfuggivano; erano molto più rapidi di lui, e decisamente più brutali. Non si fermavano davanti a niente. Evitando alcuni colpi, il giovane soldato cercò di affondare la spada in qualsiasi uniforme argentea, nella speranza di uccidere quegli uomini al primo tentativo. Ebbe fortuna, ma solo fino a quando non scivolò sul ghiaccio della scalinata che portava al tempio della città. Sbatté la testa ma l'elmo lo difese per bene, lasciando che l'urto gli provocasse solo un breve stordimento. Quando cercò di rialzarsi una visione terribile lo fece pietrificare all'istante: era il soldato più forte dell'orda nemica, un omone alto e grosso quasi quanto un orso. Spazzava via i nemici con dei semplici pugni, non aveva ancora usato la sua ascia, che pesava forse più del giovane soldato.

Red WinterWhere stories live. Discover now