Countdown

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Meno dieci.


Dieci erano gli anni passati da quando sua sorella aveva portato, per la prima volta, in casa quel capellone fan di Gesù. Era il dodici aprile del duemiladue, e l'orologio segnava le sette e tre quarti, sua madre era intenta a preparare la cena, sua sorella era fuori con il gruppo dell'ecologia o qualche stronzata del genere, e lui e suo padre fingevano di guardare una partita di hokey in sala. Insomma una vera e propria serata normale, se non fosse che quella sera, alle otto e mezza circa, la sorella tornò a casa tenendo per il guinzaglio la mano uno strano tipo alto e con i capelli lunghi.
Tuttora non credeva che quei due stavano insieme, sembrava come se lui l'avesse costretta a presentarlo alla sua famiglia o che lei fosse sotto effetto di qualche strana droga. L'avevano insospettito fin dall'inizio, ma forse era solo una delle sue strane paranoie e finse di non pensarci per il restante dei sei mesi, durante i quali organizzarono il loro matrimonio e convolarono a nozze.


Nove.

Come gli anni che gli erano serviti per imparare a leggere senza che la lingua gli si impuntasse o che le parole scritte smettessero di muoversi. Se n'era accorta una sua compagna di classe, in prima media, quando leggeva i suoi occhi improvvisamente impazzivano e finiva per dire altre parole o spostarle nella frase stessa. Non era stata una bella scoperta, soprattutto perché già da allora si vantava d'avere una certa fortuna con le ragazze e di certo avere un ragazzo che non sa leggere era un bel problema ed un bel faccino non poteva mica far dimenticare quel grosso problema.



Otto.

Le volte che aveva giurato che quella sarebbe stata l'ultima sbronza. Di solito la frase arrivava la mattina dopo una bevuta memorabile, quindi erano otto anche le sbronze memorabili di cui, ovviamente, non ricordava nemmeno un secondo, ma dal mal di testa riusciva a dedurne il divertimento.

Sette.

I giorni in una settimana in cui pensava quando schifo facesse doversi svegliare al mattino, bere il caffè di sua madre, andare a lavoro e sgobbare per poter ubriacarsi la sera stessa. Quindi tutti, tutti i giorni della settimana la solita routine da impiegato d'ufficio, con la differenza che la sua ditta non pagava in tempo e non gli riservava il posto nel parcheggio.

Sei.

Le città che avevano cambiato a causa del lavoro dei suoi vecchi, che pur di fare soldi avrebbero venduto l'anima al diavolo. Una peggiore dell'altra, sempre rumorose, sempre più piene di edifici e meno di alberi, maleodoranti, grigie, tristi. Tutto per soldi.

Cinque.

Le scuole da dove lo avevano sbattuto fuori a causa della sua condotta... poco brillante. Atti osceni in luogo pubblico, diffusione di pornografia, tentativi di stalking ed avances alle insegnanti, insomma un vero e proprio curriculum, degno del nome che portava.

Quattro.

I quattro fatti di Meth che riteneva più amici nel loro gruppo del cazzo, che più passava il tempo e più assomigliavano alle mattonelle del bagno di sua nonna.
Cazzo il bagno di sua nonna faceva schifo.

Tre.

I giorni che erano passati dall'ultima volta che era passato a "far visita" alla biondina che aveva i soldi che le uscivano pure dal culo, e che si era concessa così volentieri, da restare nella sua testa per almeno sedici ore.

Due.

I motivi per cui si trovava a quella festa di merda. Il primo era perché l'alcool era gratis e scorreva infinito come da una fonte e..

Uno.

Perché, cazzo, quella biondina sì che ci sapeva fare.
Auguri.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 14, 2016 ⏰

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