La Lingua dei Papaveri

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Grigio.
Questo è il colore che tinge tutta la città di Rotterdam e, da quando hanno cominciato a lanciare le bombe, il suo cielo.

Dopo quattro mesi, ci avevamo quasi creduto, che avessimo trovato pace, che, con il nemico sanguinante, la guerra fosse terminata, ma a questo punto possiamo dire che la guerra non finisca mai.

Infatti, no: senza il minimo preavviso, i nostri vicini, trasferitisi come noi, sono stati presi e portati via, chissà dove; e ora a chi tocca?

Vediamo solo rosso, con le bombe che infuriano e sconvolgono l'aria ogni volta che volano giù -chi le vede da lontano direbbe che sono leggere leggere- e fanno saltare in aria una famiglia di quelli come noi.

La vita è diventata così tanto difficile, che alcuni si sono persi nell'alcol che, caritatevolmente, riscalda loro l'esofago e lo stomaco, donando attimi di pace effimera. Altri, invece, si sono ridotti a ricredersi su ogni cosa, abbandonando ogni sorta di amor proprio per il quale, in tempi di gioia, non avrebbero mentito a se stessi.
Ecco, quelli siamo io e Gisella.

Stiamo stesi, immaginando di volare insieme ai docili pennuti di metallo che tagliano l'aria sopra di noi, mentre, in realtà, siamo più a terra che mai, con i papaveri che ci circondando e sembrano sussurrarci bugie; mentre, in realtà, quelli che volano sono pronti a sganciare ordigni che ci disintegrerebbero sul momento.

Probabilmente non siamo poi così importanti per chi sta lassù, nel suo sedile, a pilotare il veivolo.

Per altri, invece, e di questo sono sicuro, siamo qualcosa da cancellare, da distruggere, dimenticare.

Questi, di cui, poi, non sappiamo nemmeno i nomi e i cognomi, ci hanno preso tutto: Nino, i parenti, la casa, i soldi, la vita; forse l'unica cosa rimasta -e ripeto, forse- siamo noi.

I piani erano altri: stabilirci nella nostra nuova casa a Roma, far festa quando Nino sarebbe nato, crescerlo; insomma: una vita tranquilla, modesta e pudicamente agiata.

Dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto (studi, lavoro notturno e altro) non sembra quasi vero che siamo qui, a vivere i nostri ultimi momenti, prima che ci vengano a prendere.
Non sembra vero che il mondo sia ingiusto, o, perlomeno, che lo sia così tanto, ma è stata tutta colpa delle nostre illusioni, quando ci siamo sposati, spensierati e ignari -o, meglio, immemori- di quanto sarebbe stata iniqua la vita.

Ora, invece, l'unica illusione che ci possiamo permettere è il colore del cielo: un azzurro sterminato, carico di piccoli stormi di rondini.

Il problema, adesso, è far sì che la ragione non mandi tutto all'aria: per esempio, quando penso che, a Gennaio, le rondini non ci siano, la buona dose di immaginazione svanisce come la nuvola che si è appena dissolta sopra di me.

Poi, sarebbe da dire, non ci lamentiamo troppo, i momenti di gioia ci sono stati, per esempio la laurea di Gisella: infermieristica; quel giorno le regalai un vestito.
Entrammo in un negozio nel centro di Roma, "Il Sartuccio". Lo scelse verde pistacchio.
Proprio adesso sta sventolando, scosso dal vento, affianco a me, che non ho più di una camicia e un pantalone addosso.

Nonostante tutto, questo momento sembra andare bene. Magari si potesse fermare tutto e invecchiare quì...

Eh no, la realtà non se la beve, ci sono troppi rumori qui intorno: sferragliarramenti, stridii, tonfi e spari.

L'odore dell'aria, ormai, non sa di altro che polvere da sparo e -direi morte, ma non è così- panico.

Perché non di morte??, avrebbero a chiedere alcuni.

Ma perché la morte non ha odore, non qui, almeno, dove la puzza di disperazione copre tutto il resto.

Ci provano i papaveri rosa, sparsi intorno a noi, a calmarci, e qualcosa fanno eh; i loro sussurri sono utili, sì, tranquillizzanti.

Purtroppo non sempre tutto è bene quel che finisce bene; sì perché la nostra storia finirà sicuramente nel modo giusto, ma la guerra non è nulla di buono. Necessaria, sì, ma non benefica.

Avverto la sua mano, stretta alla mia, serrare la presa, e giro la testa, sentendo l'orecchio toccare qualche basso stelo d'erba. Lei fa lo stesso e ci guardiamo; sul suo viso sembra accennarsi un lieve sorriso. Sperando che non sia anche quello una bugia del papavero, mi accingo a sorridere in risposta.

Dalle narici di Gisella, come un'ombra al tramonto, inizia a brillare un sottile rivolo rosso. Cerco di non agitarmi per non spaventarla, ma sembra essersene accorta anche lei. Per un attimo i suoi occhi hanno un fremito, poi, con lo sguardo carico di eccitazione, rinnova il sorriso e riporta il suo sguardo al cielo blu.
È come quando eravamo seduti nei vagoni delle montagne russe, alla fiera, e la giostra aveva iniziato a muoversi: Gisella aveva sussultato con uno scatto e poi si era lasciata andare ad una brevissima risata tremolante.

Così volgo lo sguardo alle rondini, lassù in alto.

I nazisti arrivano, vogliono prenderci, ma troveranno una sorpresa. Non permetteremo loro di ucciderci.

La sua mano stringe sempre di più e, prima che la presa si allenti di colpo, sento un liquido calore spingere un angolo della bocca, per poi scendere, lento lento, giù, fino a terra; un sapore ferruginoso grattarmi la gola.

Questi magnifici fiori rosa, tutti sparsi intorno, ne hanno ingannati molti, e sono convinto che lo faranno anche coi tedeschi quando arriveranno.
Gli sussurreranno tante bugie, una dietro l'altra, nello strano linguaggio che sanno parlare loro.

Noi due l'abbiamo imparata bene, ora, la lingua dei papaveri.

Nello stesso momento in cui Gisella lascia la mia mano, sento la testa cadere di lato, e la vedo.
Il nostro ultimo sguardo ci riempie di gioia, prima che i papaveri inizino a esultare.


Spazio per lautore:

Ciao!
Ho deciso di scrivere questa oneshot, perché mi è venuta l'ispirazione, quindi non le ho detto di no.
Spero ti piaccia!

Vorrei puntualizzare che tutto ha un significato in questa breve storia, in particolare, è fondamentale sapere cosa sono i papaveri rosa. Ti dico che sono chiamati anche papaveri dell'oppio.

Samuel

La Lingua dei Papaveri (Oneshot) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora