CAPITOLO II

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- Ci siamo quasi – dissi, creando un anticipazione tale, che notai persino delle gocce di sudore sul suo viso, nonostante la bassa temperatura.

- Che diavolo di posto è questo? – chiese lui, annaspando.

- Un vecchio magazzino abbandonato, appropriato non trovi? – chiesi sarcastica.

E non per quello che pensi, bastardo.

Improvvisamente, mi spinse contro il muro più vicino, iniziando a leccarmi il collo, provocandomi quasi la nausea.

Due secondi dopo, la siringa era piantata nella sua gigantesca pancia, ed il suo corpo pesante cadeva ai miei piedi.

Da questo momento in poi, avevo dieci minuti di tempo per fare la telefonata che avrei dovuto fare, e preparare Boris Mandzukich a ricevere il suo regalo.

Ne bastarono cinque, ed i due uomini che avevo assoldato erano già sul posto, pronti a pestarlo fin quando non avesse supplicato pietà.

- Sei sicura che non vuoi che muoia? – chiese uno dei due. Ragazzi di strada, come me.

- Si, all'inizio non ne ero sicura, ora ho capito di preferire che viva con il segno della vergogna spiaccicato sul volto, e voglio godermene ogni secondo –

- Come vuoi – annuì l'altro.

Al suono di qualche colpo di tosse, capimmo che stava per svegliarsi, così lo sedemmo su una sedia ed aspettammo che prendesse completamente conoscenza, realizzando di essere legato, ed immobilizzato.

- Dove... M-Mmi hai portato puttana... chi cazzo sono questi? – iniziò ad urlare e dimenarsi.

- Strano che tu non riconosca questo posto, ventun anni fa hai passato qui ore ed ore, insieme ad i tuoi amici ucraini. Ricordi? – lo invogliai.

Lui mi guardò come se fossi pazza, strabuzzando gli occhi... però poi, iniziò a pensare. Pensare sul serio.

- Eravate in nove, al contrario le ragazze solo in tre. Una, Mary giorni dopo lo stupro di gruppo ha deciso di togliersi la vita tagliandosi le vene. Johanne, la seconda, aveva solo diciassette anni, e per fortuna ha saputo rifarsi una vita. Quanto alla terza, nove mesi dopo ha dato alla luce una bambina, che ora è cresciuta, e sta per darti il ben servito, con l'aiuto di questi due bravi ragazzi. – dissi, tutto d'un fiato. Pronunciando le parole nell'ordine in cui mi venivano in mente, senza uno schema.

Non sapevo se Boris Mandzukich fosse mio padre, e non intendevo saperlo. Ero nata e cresciuta da sola, non m'interessava avere un padre, ciò che desideravo era vendetta. E quando le botte iniziarono a farlo urlare, mi ritrovai a guardarlo, senza nemmeno sbattere ciglio, o provare la minima compassione. In fondo, lui non ne aveva avuta alcuna per quelle ragazze. Lo odiavo, con tutta me stessa.

Non mi resi conto nemmeno del tempo che passava, a scuotermi dai miei stessi pensieri fu uno dei ragazzi che stava inveendo contro di lui.

- Credo che così possa bastare, gli rimane solo il necessario per respirare, e se qualcuno lo troverà, potrà ritenersi fortunato –

- Hai portato ciò che ti ho chiesto? – domandai, insensibilmente.

- Certo –

Si trattava di un vecchio kit da tatuatore, uno di quelli tradizionali e non elettrici.

- Sai cosa fare – dissi

Presi i soldi dalla borsa e glieli consegnai. Mesi e mesi di furti, solo per quel momento.

Lui annuì, e poi lo vidi iniziare a scalfire la sua fronte con l'inchiostro e la parola che avevo scelto per lui.

ANTIDOTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora