Capitolo 4

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"Ahahahahah". Questa fu la sua risposta. Come promesso, non la visualizzai nemmeno, mi limitai a vederla con l'anteprima della notifica. Ignorato il messaggio, verso le 16 iniziai a fare la borsa per la palestra e a prepararmi, e dopo mezz'ora ero fuori casa che aspettavo l'autobus.

Mi ero iscritta a una palestra un po' distante da casa mia, ma era quella coi prezzi più vantaggiosi, e non mi seccava farmi una ventina di minuti in autobus. Ormai era più di un anno che andavo in palestra "regolarmente" un paio di volte a settimana, ma, dopo la pausa estiva, era la prima volta che ci tornavo, nonostante fosse già la metà di Ottobre: per un motivo o per un altro avevo passato Settembre rimandando, ma mi ero imposta di iniziare almeno a Ottobre e in maniera costante. Poi c'era stata la verifica di chimica, le interrogazioni di italiano e latino e una delle tante rotture fra Roberta e Mattia (la loro relazione si basava su un continuo tira e molla, Rob ci stava parecchio male e preferivo starle vicino piuttosto che andare ad allenarmi) e così, ecco che iniziavo a metà mese, ma sempre abbastanza volenterosa.

L'autobus arrivò quasi subito e, quando vi salii, mi resi conto che era uno di quei vecchi autobus che non si sa come fanno ad essere ancora in circolazione. Aveva solo un paio di entrate, munite di tre gradini ciascuna e, in tutto l'autobus, c'erano solamente posti singoli disposti lateralmente, ma, fortunatamente, era appena partito dal capolinea ed era quasi completamente vuoto, perciò trovai facilmente posto. Le porte decisero di scioperare e di non chiudersi alla partenza del mezzo, ma l'autista, non curante, proseguì la corsa: a quanto pare non era una novità.

Cercai le cuffie nella tasca del cappotto, impiegai un paio di minuti a districarle e le collegai al telefono... fantastico, batteria al 25% e mi ero pure scordata il caricatore portatile! Impostai la modalità aereo (tanto nessuno mi avrebbe cercato) e settai il lettore multimediale su riproduzione casuale.

Quasi persi la mia fermata. Ero rimasta completamente assorta dai miei pensieri. Battei lentamente le palpebre per tre volte e mi resi conto che l'autobus si era appena fermato davanti al bar che si trovava all'angolo fra la strada principale e la traversa dov'era la palestra. Scesi di corsa, gridando inutilmente "un attimo!" rivolto all'autista (tanto le porte non si chiudevano), e mi avviai a piedi. Meno male che una ragazza aveva prenotato la fermata, altrimenti l'avrei persa completamente.

Entrai in palestra e nulla era cambiato. Non che mi aspettassi che le macchine fossero state spostate, e che il locale avesse ristrutturato nel giro di qualche mese, ma l'atmosfera era rimasta la stessa: un luogo accogliente, ma che sprona a superare i propri limiti. Superai il bancone, dirigendomi verso lo spogliatoio e vidi con la coda dell'occhio il ragazzo che mi aveva seguito e aiutato con gli esercizi nei primi mesi. Cercai di incrociare il suo sguardo per fargli un cenno di saluto, ma era occupato a spiegare ad una ragazza, probabilmente nuova, il funzionamento della macchina per fare gli adduttori, quindi decisi di salutarlo più tardi.

Varcata la soglia dello spogliatoio, mi trovai di fronte due ragazze, probabilmente mie coetanee, che parlavano fra loro a voce decisamente troppo alta per essere ignorate. Mi misi a sedere su una panca e mi cambiai le scarpe proprio quando la bionda stava raccontando alla mora dell'affarone con il parrucchiere più esclusivo della città, che le aveva fatto messa in piega, tinta e taglio alla modica cifra di 95€, anziché 110€. "Wow. Con quella cifra ci avrei pagato quasi 20 cene da kebab e bibita" pensai immediatamente... poi la mia attenzione cadde prima sul loro fisico tonico e allenato e dopo, spostando lo sguardo sullo specchio di fronte a me, sul mio riflesso. "Ah, beh, in effetti un po' di differenze si spiegano" dissi fra me e me.

Di certo non mi si poteva definire grassa, ma una pancia piatta come la loro me la potevo sognare. Approfittai dello specchio per darmi una sistemata e legarmi i capelli in una coda: la versione di me sportiva era leggermente inguardabile. Il mio corpo, che di per sé sarebbe okay se non fosse per quel po' di pancetta, era coperto da una t-shirt bianca con il logo della adidas e da un pantalone della tuta nero e largo, nonché un po' bucato alle ginocchia. Il mio viso era completamente struccato, con un paio di brufoletti non proprio invisibili, e il mio nasino alla francese, arrossato per il freddo e per un lieve raffreddore, stonava con la mia carnagione pallida. Mi fissai attraverso lo specchio e mi vidi riflessa anche nelle mie pupille che, a causa della scarsa illuminazione, si erano dilatate, rubando spazio all'iride celeste che le circondava. Già, bella cosa gli occhi azzurri, peccato che non potessero migliorare di molto, in quel momento, la forma a patata che il mio viso aveva assunto per via dei capelli raccolti. Bionda e occhi azzurri, ma la mia moderata statura di un metro e sessantasette mi impediva, fortunatamente, di poter essere bollata come la "classica barbie" tutta gambe e poco cervello. Comunque sia, conciata così, ero decisamente lontana da qualsiasi stereotipo di bellezza possibile.

Decisi di smetterla di contemplarmi e di darmi una mossa. Uscendo dallo spogliatoio, mi imbattei proprio con Andrea, il ragazzo che avrei voluto salutare appena entrata, e ci scambiai velocemente due chiacchiere: gli avevano rinnovato il contratto come personal trainer, aumentandogli le ore e lo stipendio. Aveva un sorriso a trentadue denti e gli si illuminarono gli occhi quando mi annunciò che, nel giro di sei o sette mesi, sarebbe diventato papà. Era veramente un ragazzo perfetto, non solo di bell'aspetto, ma anche con un carattere allegro e socievole, sempre disponibile per qualsiasi cosa, e con la testa sulle spalle; gli feci le mie congratulazioni, sinceramente felice per lui, e mi diressi verso la cyclette.

Il mio allenamento prevedeva un po' di cardio e un po' di esercizi con le macchine e a corpo libero e, appena preso il ritmo, staccai da ogni pensiero, concentrandomi sulla mia inseparabile musica e sul movimento dei muscoli del mio corpo. Era come se tutte le mie energie fossero concentrate nello sforzo fisico, permettendo alla mia mente di svuotarsi e riposarsi. Provavo una sorta di piacere nascosto nel sentire la fatica, e la voglia di portare a termine la serie di esercizi mi spronava a non cedere e a sopportare il più possibile la stanchezza fisica.

Un'ora e mezza trascorse in un attimo, e mi ritrovai nello spogliatoio con l'amletico dubbio sul farmi la doccia lì o a casa: frugando nella borsa mi accorsi di aver scordato lo shampoo, e il dilemma si risolse da solo. Mi cambiai le scarpe e indossai semplicemente il cappotto pronta ad uscire. Il tragitto spogliatoio – porta d'uscita fu un altro duro colpo per la mia autostima: a quanto pare, la mora e la bionda tinta di prima, non solo erano fisicamente perfette, ma impostavano anche i pesi delle macchine ad un livello decisamente superiore al mio, quasi senza far trapelare alcuno sforzo dall'espressione del volto.

Afferrai la maniglia della porta trasparente, e mi resi conto che si era fatto buio ormai: si vedevano le luci di alcune stanze accese nel palazzo di fronte, mentre fuori la strada era illuminata dai soli lampioni che lasciavano intravedere giusto i profili delle due macchine parcheggiate ai lati dell'ingresso e la sagoma di una persona appoggiata su una di esse. Uscii, e il freddo mi colpì, cogliendomi di sorpresa e facendomi tremare per un attimo.

La figura vicino alla macchina mi stava fissando e, solo allora, mi resi conto che si trattava di un ragazzo. Thomas. Ed io ero là, sudata, struccata e vestita da barbona. Ottimo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 03, 2016 ⏰

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