Capitolo 2

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Roberta era una ragazza difficile da prendere, esasperante a volte, ma era la mia migliore amica e l'unica che mi fosse sempre rimasta vicina. Era più alta di me di qualche centimetro e, ogni tanto, per scherzare, usava avvicinarsi e comparare le nostre altezze con fare minaccioso. "Come va? Che tempo fa laggiù?" chiedeva ridecchiandosela sotto i baffi... e vabè, non che mi potessi lamentare più di tanto, dopotutto avevo passato tipo tutte le elementari a fare la stessa cosa a lei, che, giustamente, ora approfittava della situazione opposta. 

Incredibile com'era cambiata durante gli anni delle medie e del primi del superiore! Oltre a crescere di altezza, aveva perso anche quei chiletti che la rendevano una bambina un po' paffutella (ma sempre tenera) e i suoi capelli si erano scuriti, tanto da passare da biondi a castano chiaro: odiava farsi la coda e preferiva di gran lunga lasciarli così, sciolti, dopo averli spazzolati a lungo la mattina. Sinceramente non saprei quantificare di preciso le ore che passava a prepararsi la mattina o poco prima di uscire, so solo che a me toccava sempre aspettare parecchio sotto casa sua, ben oltre i classici "5 minuti e arrivo". 

La sua routine di bellezza prevedeva prima di tutto una bella spazzolata ai capelli, che portava mossi e lunghi fin sotto le scapole, seguita, se l'occasione lo richiedeva (o meglio, se lei pensava che l'occasione lo richiedesse), da una passata di piastra, rigorosamente di ceramica. Poi seguiva il trucco; si metteva talmente tanto mascara che pareva usasse le ciglia finte, ma, nonostante questo, con un effetto straordinariamente naturale, riusciva a valorizzare i suoi occhioni marroni. 

Spesso si dice che gli occhi chiari sono i migliori, ma non sono d'accordo: credo fermamente che gli occhi di una persona non si possano classificare in base al colore, ma piuttosto, in base all'armonia con cui si legano al viso e gli occhi di quella ragazza le appartenevano decisamente. I suoi lineamenti e le espressioni che solo lei faceva, non si sarebbero accostati affatto con dei banali occhi azzurri, ma erano un tutt'uno con quel colore così intenso e penetrante che sembrava essere tendente ad una scura terra di Siena con delle sfumature più chiare che si irradiavano dalla pupilla. Il bello dei suoi occhi era che esprimevano quasi sempre un'allegria che rispecchiava pienamente la sua personalità solare, e che contagiavano spesso anche gli angoli della bocca. Era difficile essere tristi in sua compagnia. 

Anche se c'è da dire che era capace di fare veramente brutto a una persona se quella la faceva innervosire o se era innervosita per altro: una tipica scena era lei che, di ritorno da un'interrogazione alla cattedra, tornava a posto e lasciava cadere sonoramente il libro sul banco, iniziando a lamentarsi del voto finale, del comportamento della prof o degli altri interrogati, nemmeno tanto a bassa voce. 

Indimenticabile fu un'interrogazione di storia del secondo anno delle superiori: durante la prima verifica orale del primo quadrimestre, la nuova professoressa aveva chiesto, non solo tutti i minimi dettagli dei tre capitoli che aveva spiegato (ma nemmeno tanto approfonditamente), non solo tutte le cose che aveva detto a voce e di cui avevamo dovuto prendere gli appunti, ma anche dei concetti studiati nell'anno precedente. Roberta era tornata a posto paonazza in volto, con gli occhi così lucidi che minacciavano pianto da nervoso e, con una potenza tutta sua, aveva spostato in maniera parecchio sgraziata la sua sedia e aveva preso a usare epiteti non proprio ripetibili nei confronti della prof. 

Peccato che Roberta avesse un timbro di voce abbastanza alto e che la nuova professoressa non fosse così vecchia da essere sorda. "Hai qualcosa da dire Pisano?", e così le servì una discussione su un piatto d'argento, che culminò in toni decibel illegali e con la cacciata dall'aula di Roberta. Da quel momento in poi, per quanto Rob si impegnasse, per quanto era diventata capace di controllarsi e di rimanere calma, venne presa così di mira dalla prof, che a fine anno scolastico ebbe il debito alla sua materia e stette col pensiero degli esami di Settembre per tutta l'estate, per non parlare delle prediche che le fecero i suoi. 

Per fortuna l'insegnante entrò di ruolo l'anno dopo in un altro istituto, e tutta la faccenda costrinse Roberta a controllare le sue reazioni e ad essere meno impulsiva... in questo la invidiavo molto: io facevo schifo a controllare me stessa. Ero di una permalosità unica ed ero decisamente troppo "sensibile" (potevo mettermi a piangere, così, dal nervoso anche per quella che era oggettivamente una cavolata), senza contare che mi innervosivo come niente e il mio telefono ne sapeva qualcosa. 

Diciamo che non era raro che lo facessi "sbadatamente" volare quando mi alteravo... il mio mitico s3 mini era un veterano di guerra ormai. Un po' vecchietto, ma reggeva ancora bene i colpi e, nonostante temporanei problemi, ora allo speaker, ora al microfono, sopravviveva dignitosamente ormai da quasi quattro anni. Lo presi in mano e lo sbloccai: il mio volto e il volto di Thomas sulla schermata home mi sorrisero. 

Accedetti alla fotocamera e feci una foto allo strano simbolo che avevo disegnato: un cerchio praticamente perfetto, da far morire di invidia Giotto, all'interno di un quadrato, di cui avevo segnato le diagonali. La inviai a Thomas con una faccina ridente ed una spaventata con la scritta "disagi mistici durante l'ora di Tanelli", poi misi il telefono in tasca e, al suono della campanella, preparai velocemente la borsa e ficcai i libri che non mi sarebbero serviti nell'armadietto di classe. 

Quando finii tutte questa manovre, ero l'ultima rimasta in classe e Roberta mi aspettava con aria vagamente seccata alla soglia della porta per tornare insieme a piedi. Okay, diciamo che forse (forse eh) dovevo ricalcolare il mio concetto di "velocemente".

L'ultima ViaggiatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora