CAP X

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La dottoressa mi fissa preoccupata. Dovrei esserci abituata. Ultimamente quasi tutti mi guardano così. Pensano che non riesca ad uscirne, che non riesca a prendermi cura di me stessa. Per certi versi hanno ragione. La mia apatia si avverte, è palpabile. Per quanto cerchi di ritornare quella di prima, troppe cose si frappongono tra me e la normalità.

Non mi rassegno a credere che qualcosa sia irreparabilmente finito. Perché dovrei accettare il presente con tanta facilità? Non sento di avere 17 anni. Ora me ne sento almeno cento, come se il tempo avesse accelerato i movimenti delle sue lancette.

Quasi ogni giorno penso al sorriso di mia madre mentre mi racconta qualche storia buffa che le è capitata. Quasi ogni giorno Ale compare di fianco a me, anche a scuola. Mi sorride con uno sguardo triste e io mi chiedo ancora perché a me sia toccata la parte più difficile, quella di rimanere qua a ricordarli, continuando a vivere come se nulla fosse.

Il tempo incurante continua a scorrere mentre io vorrei urlare che non è così, che non si può fare finta di niente, che io non posso fare finta di niente, che forse non ho neppure il diritto di andare avanti con la mia vita.

"Come è andata la settimana Anna? Ci sono novità?" mi chiede.

Decido di raccontarle di Paolo. Forse ne sarà contenta. Vedrà che mi sto sforzando di fare progressi.

"Sono andata a una festa e ho conosciuto un ragazzo"

"Bene. Un tipo interessante?"

"Sembra di sì. È gentile e mi ascolta volentieri. Non mi mette fretta, è paziente"

"Vi siete rivisti?"

"Non ancora ma spero che succederà" ora sono sincera. Paolo mi ha trasmesso un senso di tranquillità.

"I tuoi incubi sono diminuiti?" la butta lì come se fosse una domanda da poco.

"In parte. Dormo talmente poco che riesco a tenerli a bada"

"Questa non mi sembra una grande strategia però"

"Per ora è l'unica che riesco a mettere in pratica"

"Non credi che ne risentirà il tuo rendimento scolastico?"

"Per ora no. Riesco benissimo a gestire le due cose. Mio padre sarà contento di me" mi tiro giù le maniche del maglione. All'improvviso sento un gran freddo e non capisco se viene da fuori o da dentro di me.

"Ha in programma di tornare a casa presto?"

"Non lo so onestamente. Non mi tiene al corrente dei suoi spostamenti. Ha sempre fatto così. Anche a mia madre parlava il meno possibile del suo lavoro. Non voleva creare ansie ma lei non era contenta di questo" mi guardo le mani e penso alla nostra ex famiglia felice. A volte mi chiedo se eravamo davvero così felici.

"Litigavano mai i tuoi genitori?"

"Come tutti penso. Mia madre però aveva un carattere ottimista e positivo. Non era rancorosa, dimenticava tutto dopo pochi minuti. Ale era uguale a lei. Io invece assomiglio a mio padre" la cosa un po' mi rattrista. La nostra famiglia è rimasta totalmente sbilanciata. Sono state cancellate le due persone che avevano più gioia di vivere, che sapevano attraversare la vita con una forza che io non avrò mai.

"Per questo non vai d'accordo con lui?"

"Non ho mai detto questo. Non ho modo di avere conflitti con lui visto che non c'è mai" ora mi sembra di riflettere ad alta voce.

"Nel periodo dell'incidente tuo padre era in missione?"

"Come sempre ma lo sa dottoressa, ho dimenticato gli avvenimenti degli ultimi mesi che hanno preceduto l'evento".

"L'altra volta hai detto che tu e tuo fratello vi trovavate spesso da soli"

"E' vero. Mia madre insegnava pianoforte e a volte faceva concerti in giro per l'Italia"

"Come hai vissuto questi abbandoni?"

"Non erano abbandoni. Ale ed io stavamo bene anche da soli. Eravamo fieri del suo lavoro. Era molto brava" questa domanda mi sta creando disagio, ho la brutta sensazione che si voglia metterla in discussione, che si voglia fare di mia madre un ritratto sbagliato.

"Non volevo turbarti Anna" sento che ha paura di aver perso terreno, di avere fatto un passo falso.

"Non sono turbata. Le assicuro dottoressa che la mia era una buona madre ma nessuno poteva pensare di trattenerla. Era come un fuoco che non si spegne mai. Amava quello che faceva e tutti l'adoravano. Anche io e Ale eravamo innamorati di lei"

Questo mi ha fatto ricordare che sei mesi prima dell'incidente era stata via qualche giorno per un concerto ed era ritornata più raggiante che mai. Ci aveva raccontato di quanto era andato bene e di quanta gente interessante avesse conosciuto. Noi pendevamo dalle sue labbra e in un tema in classe avevo scritto tutto quello che ci aveva raccontato. L'insegnante convocò mia madre per dirle che trovava strano l'attaccamento e l'ammirazione che avevo nei suoi confronti. Avevamo riso a crepapelle pensando alla stupida meschinità della prof. di italiano. Questo a conti fatti era il rapporto che avevo con lei, penso. Non c'era proprio nulla che non andava.

Ad un tratto però, come un lampo che squarcia il cielo mi appare l'immagine di mio padre che piange e che la scongiura di non farlo.

Questo ricordo mi provoca un'agitazione irrefrenabile. Ho il cuore in gola. Saluto la dottoressa e veloce esco dallo studio. L'istinto è quello di mettermi a correre. Non capisco cosa sia questo ricordo inspiegabile. Non so assolutamente di cosa stesse parlando mio padre e nemmeno sono sicura che il ricordo sia vero. Ormai tutto mi si confonde nella mente. Forse sto semplicemente impazzendo, mi dico.

Come mi ha insegnato l'insegnante di yoga inizio a respirare con calma cercando di riprendere il controllo. Una vibrazione nella tasca dei jeans mi avverte che è arrivato un messaggio.

"Ti va di uscire venerdì...? Ti prego... ;)"

Il messaggio di Paolo arriva come una manna dal cielo. Gli rispondo di getto, con sollievo.

"Assolutamente sì. Passi tu a prendermi?" le mie dita scorrono veloci senza pensarci troppo.

Tutto va bene Anna. Tutto va bene Anna. Me lo ripeto come un mantra per convincermi che sia vero.


L'autunno è una stagione crudeleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora