Titolo della parte

2 0 0
                                    

Dice una leggenda che se non riesci a dormire la notte è perché sei sveglio nel sogno di qualcun altro. Io credo che se una persona entra nei tuoi sogni durante le tue notti è già entrata nei tuoi giorni a tua insaputa.
Venivo a scuola solo con la speranza di poterti vedere. Ogni volta che uscivo dalla mia classe, cercavo con gli occhi di distinguere, tra la moltitudine di ragazzi, una testolina bionda, un corpo minuto o, chissà, magari avevo pure la fortuna di vedere quel visino pallido, così fragile che sembrava potersi rompere con uno sguardo, così indifeso, così semplice, innocente. Camminavo con la mia sigaretta in mano, lo sguardo sempre attento, cercando, anche se in vano, di non far capire la mia ostinazione nel cercare qualcosa. O qualcuno.
Ho sempre cercato di dare un'idea diversa di me. Mi mostravo fredda, menefreghista, apatica. E in un certo senso era anche vero. Dopo tanti sforzi poi arrivi ad un punto in cui ti stanchi di tutti e di tutto. Ti stanchi di dare sempre il massimo è non ricevere mai nulla in cambio. Ti stanchi di dover sorridere sempre a tutti, anche a chi non ti va molto a genio, perché sì, perché 'si fa'.
Non sapevo il tuo nome. Non sapevo nulla di te. Stavi sempre sola, zitta, seria. Raramente ti vedevo parlare con qualcuno, e ancor meno ridere. A volte avevi una mela in mano e camminavi per i corridoi dell'istituto senza fregartene degli sguardi della gente.
Non sono mai stata come gli altri miei coetanei. Non mi piaceva uscire fuori il sabato sera, a volte lo facevo solo per avere la possibilità di elemosinare una sigaretta a qualcuno. Non amavo le feste, la musica che ti rompe i timpani. Sballarmi in discoteca, bere fino a non capire più niente, perdendo il controllo di me stessa. Non mi piaceva stare in mezzo alla gente, circondarmi di persone false. Non mi piaceva il sole, soprattutto. Quello lo odiavo. Mi sono sempre un po' distinta dalla massa per la mia persona, per quella che ero. A me piaceva la pioggia, piaceva la cioccolata calda, i fazzoletti profumati. Le musiche al pianoforte, Einaudi. Il mare d'inverno, le lunghe chiacchierate seduti al tavolino di un bar in Oxford Street, o sul muretto di un ponte. Mi piaceva passare la notte a guardare la luna, a guardare le stelle. Mi piaceva l'odore di caffè al mattino, il rumore della tastiera quando scrivi, il silenzio dopo una notte passata a chiacchierare per ore.
Ho sempre immaginato il nostro primo incontro da Caffè Vergnano 1882, al 62 di Charing Cross Road. Noi due sole, a parlare di musica, del nostro film preferito o di quello che vorremmo andare a vedere, e poi ritrovarci di nuovo davanti al cinema per vedere quello di cui mi hai parlato tanto. E ti euforica non la smetti di parlare, ma starei ore a sentire la tua voce, il suono più bello che io abbia mai udito. Eh sì, può sembrare una frase schifosamente fatta, ma è così. Ti porterei a ballare e se poi sei stanca si va a casa mia. Sul letto dove faremo l'amore ci butteremo sfinite, io sul tuo petto, ad ascoltare il tuo respiro affannoso dopo che sei venuta. Ascoltare i nostri silenzi che dicono tutto ciò che vorremmo dire. Ti porterei a passeggiare per Covent Garden, mano nella mano, così che tutti possano capire che sei roba mia e che non ti devono toccare. Poi a mangiare. Io consiglierei The Shard, che con i suoi 310 metri d'altezza offre una vista mozzafiato, ma io guarderei solo te. Quel sorriso meraviglioso che non ho mai visto, quella risata incantevole che non mai udito, e quegli occhi stupendi che non ho mai avuto la fortuna di incrociare.

Nightmare Where stories live. Discover now