Titolo della parte

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Era un pomeriggio di metà settembre, noi eravamo sedute su una panchina con li zaini fra i piedi. Si parlava di omofobia. Ti dissi che odiavo la nostra società perché troppo mentalmente chiusa da legalizzare i matrimoni gay, del fatto che se davvero Dio c'ha insegnato come prima cosa ad amarci, come può la chiesa non accettare le coppie omosessuali.
-È pur sempre amore, o sbaglio?- chiesi, girandomi di scatto nella tua direzione.
-Sì, lo è. È proprio l'ignoranza di certa gente che mi fa perdere la testa. Io non capisco cosa ci sia di sbagliato nell'amare una persona dello stesso sesso, non c'è nulla di diverso. Fin da bambini ci hanno insegnato che siamo tutti uguali , e poi ci vengono a dire che un uomo non può amare un altro uomo perché è sbagliato, definendolo un comportamento da persone malate, solo perché è diverso dal loro pensiero o, meglio, dal loro orientamento sessuale.-. Adoravo la tua filosofia, eri sempre stata così matura nonostante la tua giovane età. Restammo lì a parlare senza renderci conto del tempo che passava. Mi immergevo talmente tanto nei tuoi discorsi da non rendermi conto nemmeno delle persone che ci circondavano. La cosa che più amavo di te era il fatto che guardassi le persone negli occhi mentre parlavi. Le facevi entrare ancora di più nel discorso, facendo comprendere sempre meglio il concetto che stavi esponendo.
Ci ritrovammo a camminare per le strade di Londra, con le mani nelle tasche perché quella sera faceva particolarmente freddo. Ci rendemmo conto di avere molte cose in comune: ridevamo delle stesse cose, ascoltavamo lo stesso genere musicale.
-Sinceramente preferisco restarmi a casa a guardare un buon film distesa sul divano, che uscire a camminare senza una meta ben precisa con persone che non possono capirmi, con cui non potrei fare un discorso serio perché a loro interessa solo andare ai pub per ballare e strusciarsi sul primo che li capita a tiro e poi tornare a casa sbronzi, senza capire più nulla.- dicesti mentre con lo sguardo cercavi di scorgere l'insegna di qualche fast food, dato che morivi di fame.
-Non potrei essere più d'accordo.- risposi.
-E magari anche con una bella pizza!- dicemmo nello stesso istante e, non appena ci guardammo negli occhi, scoppiammo a ridere.
Ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo da mangiare. Dopodiché uscimmo fuori dal locale per fumarci una sigaretta e in quell'arco di tempo ci furono molti attimi di silenzio. Ma non un silenzio imbarazzante. Un silenzio calmo, di pace. Uno di quelli rilassanti, quello che ci vuole dopo un'intera serata passata a chiacchierare. In fondo, se non si ha niente di interessante da dire è meglio tacere e ascoltare i rumori che ci circondano. Le persone che ci passavano davanti, i bambini che si rincorrevano, i gatti sui muretti delle case o agli angoli dei negozi e dei ristoranti per godersi il calore e gli odori provenienti dagli stessi. Tutta quella vita che ci scorreva davanti agli occhi, e noi lì, ad impiegare il nostro tempo con una sigaretta, ogni tiro un secondo in meno della nostra vita, del nostro tempo, dei nostri giorni, proprio come mano a mano si consumava la cicca che avevamo tra le dita.
I giorni in cui non stavamo insieme, che orami erano sempre meno, facevo le solite cose che facevo prima di conoscerti. Studiavo, mi allenavo, scrivevo. La solita monotonia.

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⏰ Last updated: Nov 27, 2016 ⏰

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