Capitolo 1.

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Destino. Nessuno sa cos'è. Principalmente, può sembrare solo un'inutile parola che le persone pronunciano senza attribuirle un peso, ad esempio: "era destino che io ti incontrassi". Le sue sillabe affiorano sulle labbra di coloro che non sanno che in realtà ogni rosa ha le sue spine. Quella stessa cosa che infatti può far capitare cose bellissime, è in grado di spezzare milioni di vite in un attimo e non lasciarti nemmeno una spiegazione o un bigliettino di scuse.
Non tutti ci credono però. C'è chi pensa che le cose accadano per caso, che dove siamo ora e dove andremo dipende solo dalle scelte che faremo perché solo quelle ci possono portare sulla strada giusta oppure no. Altri invece credono che tutto ciò che ci capita succede per una ragione. Ogni vittoria è una conquista e ogni perdita una lezione di vita, che impeccabilmente giustificano con "non era destino".
Altre persone ancora invece ci credono perché la loro religione dice così, ma io trovo che se una persona vuole credere in qualcosa lo fa e basta, senza che niente o nessuno glielo imponga.
Nell'antica tradizione greca ad esempio, esso è nelle mani di tre anziane signore che per tutta la tua vita tessono un filo e, quando ritengono che sia arrivata la tua ora, lo tagliano, tagliando anche ogni tuo rapporto con il mondo.
Nel buddismo invece entra in gioco il karma. Nell'uso buddista questa parola significa "azione votiva". Un atto di volontà, originato nella mente di un individuo che avrà un effetto determinato in un tempo futuro. In altre parole, la legge del karma ci dice che se facciamo del bene, sperimenteremo il bene, e se facciamo del male, sperimenteremo il male.
Formulandolo in questa maniera, karma suona come una specie di giudizio morale. Tuttavia, ciò non è possibile perché nel buddismo non c'è nessuno che giudichi. Meglio pensare al karma come una legge naturale, come la gravità: "ciò che si semina, si miete".
Ma se davvero fosse così, perché le cose brutte succedono solo a chi si merita il meglio?
Cameron, ad esempio. Lui meritava di meglio. Io stessa meritavo di meglio.
Era solo una giornata come le altre. Faceva caldo, l'aria era secca e afosa ma era perdonabile dato che eravamo nel bel mezzo di luglio. Per essere in Canada però era una cosa alquanto insolita.
Io e il mio migliore amico, Cameron, avevamo deciso di passare una giornata tranquilla al mare, era tutto programmato e il viaggio non sarebbe durato molto. Il paese in cui vivevamo distava solo ad un'ora di macchina dalla costa, pensavamo fosse perfetto.
E così è stato. Abbiamo giocato a beach volley, fatto un bagno sebbene l'acqua fosse ancora fredda e parlato di un'infinità di cose. Mi era mancato il mio migliore amico, così come mi erano mancate le lunghe giornate trascorse insieme.
Non avevamo avuto modo di vederci durante l'anno perché lui frequentava un college vicino a Vancouver, ma adesso era in pausa estiva, il che significava che me lo sarei potuto godere ancora per un po'.
Era andato tutto bene, tutto perfettamente. Almeno fino a quando la sera stessa non ripartimmo per tornare a casa.
Il cielo si era già fatto buio e in auto c'era uno strano silenzio, così avevo optato di accendere la radio e passare di stazione in stazione fino a quando non avrei trovato una canzone che mi piaceva.
«Questa è bella.» Dissi finalmente realizzata, alzando il volume e iniziando a canticchiare.
«No, a me non piace.» Ribatté Cameron avventandosi sul pulsante della radio.
«Non provare a cambiarla!» Urlai tirandogli una pacca sulla mano ma ormai aveva cambiato stazione e stavano trasmettendo una canzone che, effettivamente, sarebbe potuta piacere soltanto a lui.
«Troppo tardi.» Ridacchiò esultando per la vittoria. Non sapeva però che io non mi sarei arresa così facilmente.
«Io volevo sentire l'altra.» Misi il broncio e cambiai di nuovo, alzando il volume ulteriormente.
«La macchina è mia e io decido la stazione radio!» Strillò poi Cameron, alzando le mani in aria esasperato. Quando mise di nuovo la stazione che aveva selezionato inizialmente notò che stavano trasmettendo la stessa identica canzone che stavo ascoltando io poco prima, così scoppiai in una fragorosa risata.
Che anche quello fosse destino? Non lo so nemmeno adesso, ma era dannatamente divertente gurdarlo mentre sbuffava e alzava gli occhi al cielo.
«È esilerante guardarti rodere, lo sai?» Soffocai l'ennesima risatina e lo guardai. Aveva il broncio e potei scommettere che se solo non fosse stato impegnato a guidare avrebbe avuto le braccia incrociate al petto, per far sì che assumesse un'espressione ancora più arrabbiata.
«Oh, dai! Non ce l'avrai con me perché trasmettono una canzone che a te non piace!» Gli tirai una gomitata sul braccio arricciando il naso.
«Non importunare il guidatore!» Sbottò fulminandomi con lo sguardo. L'espressione sul suo viso era stranamente seria. Non lo sopportavo quando rovinava tutti i momenti con i suoi sbalzi d'umore.
«Guarda la luna!» Esclamai poi, cercando di smuoverlo. Non avevo intenzione di passare un'ora seduta in silenzio. Sembrava di stare in punizione.
E in effetti la luna era davvero bella quella sera, era piena e in cielo non c'era nemmeno una nuvola, quindi era molto limpida e visibile.
Cameron si allungò per un attimo verso il cruscotto, fece una smorfia strana e tornò a concentrarsi sulla strada.
Alzai gli occhi al cielo, rassegnata ormai del fatto che sarebbe stato un viaggio noiosissimo.
«Ti odio.» Mormorai a bassa voce un'istante prima che potesse aprire bocca.
«Nella tradizione Maya la Luna e il Sole erano creature terrestri: una giovinetta ed un cacciatore fra cui nacque l'amore. Il nonno della ragazza, arrabbiato, la fece uccidere e dividere in pezzi. Le libellule ne raccolsero il corpo ed il sangue nascondendoli in tredici ceppi cavi. Dopo tredici giorni di ricerche, Sole, il giovane cacciatore, trovò i ceppi.
Da dodici di essi nacquero insetti e serpenti, e dal tredicesimo uscì la giovinetta Luna resuscitata, soprannominata Luna Nuova. Ecco il perché della Luna Nuova, Luna Crescente e Luna Piena, che nell'antica Grecia invece rappresentavano la vita, la morte e la nascita.» Strinse le labbra fino a che non diventarono una linea sottile. Allora non era arrabbiato con me!
«Quindi è questo che studi al college!» Esclamai scherzando, girandomi nella sua direzione.
«Sì, più o meno.» Abbozzò un sorriso stringendo le mani sul volante, notando che le sue nocche erano diventate bianche. Sospirai stanca e mi girai, appoggiando la testa sul finestrino e seguendo le stelle con lo sguardo.
Non parlammo più, Cameron spense addirittura la radio. Volevamo goderci il silenzio, ma con la consapevolezza che lui non era arrabbiato con me. Quando sei in buona compagnia può essere molto piacevole.
Alla mia mente però piaceva fare scherzi di cattivo gusto ogni volta che mi trovavo da sola oppure a pensare. Avrebbe scavato nei miei ricordi e tirato fuori gli scheletri dal mio armadio, nonostante io non volessi.
Tuttavia quella volta non fu così crudele.
Mi ricordai di come quando da bambina mi infilassi le braccia nella maglietta e andassi in giro facendo finta di averle perse. Di come ricominciassi i videogiochi ogni volta che sapevo di essere sul punto di perdere. Di come facessi il rumore delle moto ogni volta che andavo in bicicletta e di come volessi schiacciare tutti i tasti della penna con sei colori contemporaneamente. Di come mangiassi gli spinaci e pensassi di essere diventata come Braccio Di Ferro. Di come mi nascondessi dietro le porte per spaventare qualcuno per poi andarmene perché ci stavano mettendo  troppo. Di come fingessi di essermi addormentata così che mio papà mi portasse a letto in braccio. Di come fossi solita pensare che la luna seguisse la nostra macchina o di come guardassi due gocce di pioggia su una finestra e fare finta che fosse una gara. Mi ricordai di quando eravamo bambini e non vedevamo l'ora di crescere. A che cosa pensavamo?
Sospirai socchiudendo gli occhi. Non ci volle molto prima che mi addormentassi, al contrario però ci volle poco prima che mi svegliassi. Be', a dire il vero non mi sono mai svegliata veramente. Ho solo avvertito un forte boato, un colpo fortissimo e un bruciore nel petto, ma sembrava essere lontano, come se non stesse succedendo lì, in quel momento, proprio a noi. Era più come un leggero fastidio, perciò continuai a dormire.
Io non so se il mio sia stato destino o semplice casualità, ciò che so però è che spesso ci si imbatte nel proprio fato proprio sulla strada presa per evitarlo.

Heaven;  Bradley SimpsonWhere stories live. Discover now