Prima Prova

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E' sera, che felicità: questa notte babbo natale arriverà.

Vola la slitta veloce veloce, quando le luci son spente e non s'ode più voce;

e scende svelto giù pei camini, portando doni a tutti i bambini.



Era il 23 Dicembre del 1985 e speravo che, almeno quella volta, non riuscissero a trovarli. La terra era gelata e le mani si graffiavano a forza di grattare; le unghie piene di freddo fango.

Il giardino era troppo vicino a casa, se mamma o papà mi avessero vista sarei stata nei guai fino al collo; quindi cercai un posto abbastanza lontano e indifferente. Capitai, dopo qualche ora passata, secondo i miei, a "giocare al parco", in una strada lunga e stretta che conduceva ad un casolare; l'aria era gelida e desolata, non si sentiva la voce di nessuno; sul lato sinistro di questa via si estendeva immenso un campo ricoperto di grani dalle dimensioni di un pallone: cavoli.

Mi era sembrato il posto perfetto, e perciò avevo cominciato a scavare lì. 

Ero solo una bambina di pochi anni, nove, per l'esattezza, quindi era assolutamente penosa la mia soddisfazione di fronte al "bel lavoro" che avevo fatto: la buca era stata ricoperta con neve e terra, ormai mescolati. Sembrava che fosse appena stato estirpato uno dei cavoli disseminati lì intorno, senza lasciare nemmeno la radice. Quando me ne tornai a casa, convinta e sicura, ricevetti uno schiaffo per essermi sbucciata le mani e per essermi strappata le calze; ma era un sacrificio da compiere, e non c'era altro modo per venire a capo del problema, per me, allora ingenua fanciulla. Avevo dovuto spingermi a tanto, perchè l'anno precedente le "tate" erano entrate in casa e avevano trovato il bottino, nonostante l'avessi diligentemente nascosto dentro le giacche appese nell'armadio. 

Avevo portato con me quelli a cui tenevo di più in assoluto, ma in casa ne avevo ancora altri che non potevo nascondere, o avrei destato qualche sospetto.

Ero piuttosto scossa da quell' ingiustizia, mentre sembrava che i miei genitori non fossero nemmeno lontanamente infastiditi dalla cosa. Ogni qual volta ne parlavo, però, venivo zittita immediatamente, perchè erano cose di cui non si doveva proferir parola.

C'erano state proteste e rivolte, ma niente: la legge del prelievo restava, e i giocattoli di tutti i bambini venivano prelevati ogni anno dalle case il 23 dicembre.

Ovviamente non erano dei nanetti ad insorgere contro la "Santa Clausola", bensì adulti, che dei giochi se ne facevano ben poco, e questo era un dilemma che, a quella tenera età, non mi ponevo, tuttavia adesso so il motivo.

Ogni anno venivano le tate: donne giovani, tutte sorridenti, vestite con i collant e la camicia verde smeraldo, e con la gonna e le ballerine di color rosso acceso. Avevano tutte i capelli bianchi raccolti in uno chignon e coronati da un nastro di velluto, anch'esso verde.

Nella nostra città le case erano più o meno simili, anche se alcuni, più poveri, potevano permettersi meno oggetti di lusso, ma un arredamento era comune a tutte le abitazioni, anche fuori città: un grosso orologio di legno, con una lancetta di ottone, che stava fermo tutto l'anno alle 12:00. Il 23 Dicembre, sul tardi, ad un orario ogni anno diverso, la lancetta partiva in senso antiorario, e batteva, dopo il suono iniziale, sessanta secondi, durante i quali la famiglia era tenuta ad andare a dormire, spegnendo le luci. Allo scadere del minuto, le tate aprivano la porta. 

Entravano in casa sorridenti con un grosso sacco vuoto, accendevano una torcia e, di soppiatto, partivano per la casa alla ricerca dei giochi. Erano in quattro o cinque e facevano presto, come le unità di pulizia dei treni giapponesi; prendevano tutto e poi uscivano salutando col sorriso e i sacchi penzolanti. Prima di uscire, però, avevano cura di posizionare una candela elettrica luminosa dentro alla cassa della pendola, che doveva essere appesa a due metri esatti dal pavimento.

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