Non credo sia mai cambiato qualcosa negli ultimi mesi...
Ed ecco la solita cosa che capitava ogni giorno alla fine delle lezioni, quando il professore era già uscito dall'aula.
"Johnson, tu hai problemi mentali! Fatti curare! Hai seriamente rovinato la mia borsa di Chanel?! Ma chi ti credi di essere?! Io basta, chiamo la polizia!" la sua voce stridula mi suonava nella testa, provocandomi un forte dolore mentre la mia risata rendeva l'atmosfera molto più bella, amavo quando lei non si reggeva in piedi per colpa mia. Se fossi stata lì ancora per molto, sapevo già che mi sarebbe solo aumentata la voglia di buttargli un secchio d'acqua addosso, facendole colare tutto quel chilo di trucco che si era messa, così mi diressi subito verso l'uscita della scuola, ricevendo anche delle occhiatacce fastidiose da parte delle amiche di Jennifer.
Dai, ero stata più gentile delle altre volte. Insomma, non le avrei mai rovinato la borsa di Chanel, non le avrei mai rovesciato tutto il profumo Gucci su una pianta se si fosse comportata diversamente con tutti. Ma Jennifer era la solita ragazza che se la tirava perché si vestiva tutta firmata. Intimo Calvin Klein, maglia Nike, jeans Armani e chi ne ha più ne metta.
Probabilmente non aveva capito che gli abiti non hanno mai fatto le persone.
Jennifer Garritsen era una diciassettenne bella e alta, magra, insomma, fisicamente era perfetta, non aveva cellulite, non aveva troppi fianchi, era carina. Esteticamente nessuno avrebbe mai capito di che tipo di ragazza si trattasse. Potevano tutti credere ciò che volevano, ma io sapevo che era solo una ragazza falsa, pronta a sparlarti alle tue spalle.
Camminai velocemente mentre appena fuori dalla porta un venticello leggero e freddo mi fece venire i brividi sulla mia pelle chiara. Era settembre e l'autunno iniziava a farsi sentire. Le foglie si staccavano man mano, mentre si ammucchiavano in gruppi per poi essere spazzolati via dal vento.
Mi guardai velocemente intorno e trovai subito la decappottabile rossa di mio fratello parcheggiata vicino a me, con lui nel posto della guida, così non ci pensai due volte ad attraversare la strada e a saltare di soprassalto nei sedili posteriori. Mi è sempre piaciuto farlo da bambina e avevo pensato che sarebbe stata una buona idea provare a farlo anche adesso.
"Mio Dio Rose, tu mi vuoi far prendere un infarto o cosa?" mi chiese mio fratello portandosi una mano al petto, girandosi verso di me e guardandomi con gli occhi spalancati e il viso pallido.
Io scoppiai a ridere come una dannata mentre lui si girò verso di me, guardandomi malissimo dallo specchietto retrovisore, dopo poco iniziò anche lui a ridacchiare e fece partire il motore.
Il venticello ancora freddo si infiltrava tra i miei capelli, provocando solamente la cosa più bella che potessi chiedere in quella giornata: relax. Ne sentivo il bisogno, non solo per la mia orribile mattinata e Jennifer che non faceva altro che rompere, ma anche per i giorni precedenti. Il terzo anno sempre nello stesso liceo era noioso, un po' come tutti gli altri. Vedere sempre la stessa gente, gli stessi gruppetti di persone che parlavano male degli altri credendosi superiori. Insomma credevo che niente sarebbe cambiato. Che ogni mattina sarebbe andata in modo uguale come le altre, che non potesse cambiare assolutamente niente. Ma forse mi sbagliavo. Non mi aspettavo che qualcosa potesse stravolgermi radicalmente la vita e iniziare a dipendere da qualunque cosa fosse. Non era nei miei programmi.
Arrivammo al nostro solito Fast Food preferito, al nord della California, la mia città , e ci sedemmo subito al nostro solito tavolo. Niente di nuovo. Hamburger, patatine, crocchette di pollo, 30 dollari e di nuovo sulla decappottabile come se fossero passati solamente pochi secondi.
La scritta "Karl's" si faceva sempre più lontana e sfuocata finché non riuscì nemmeno a vedere qualcosa.
Quella volta, stavo nei sedili anteriori, avevo la testa sulla spalla di mio fratello mentre guidava. Guardavo il cielo pieno di nuvole e mi ponevo domande a cui non sapevo rispondere, per far passare il tempo, cosicché una volta a casa potessi chiedere a mio fratello: "Wow, siamo già arrivati?"
Le uniche cose che volevo fare in quel momento erano;
1) arrivare il più presto possibile a casa;
2) buttarmi sul mio amato letto;
3) dormire per quattro giorni consecutivi non andando a scuola.
Solo quello. Niente amici, niente TV o Macbook. Nemmeno l'iPhone.
Io se non uso quelle cose non muoio.
Non sclero se lascio il cellulare sul tavolo della cucina il cellulare e vado a dormire per il resto della giornata.
Già, io non studio nemmeno. Basta stare super attenti e il 75% del lavoro l'ho già fatto, almeno ho la sufficienza, non pretendo una A+.
"Rose, a che pensi?" Mi chiede mio fratello mentre mi accoccolo meglio sulla sua spalla.
Quel suo sorrisetto è magnifico. Sembra un bambino carinissimo, non potevo chiedere un fratello migliore, oltre ad essere figo, è gentile, dolce e sempre disponibile.
"Penso a cosa fare quando siamo a casa" rispondo con voce stanca.
Ho bisogno del mio amato letto. E so che lui ha bisogno di me.
"Piccolina di Jack, fra poco siamo a casa" mi fece un mezzo sorriso guardandomi meglio dallo specchietto. Ricambio lo sguardo e il suo sorriso innocente.
Infatti, poco dopo arrivammo subito a casa.
Mi buttai sul letto, mi misi le cuffiette e Radioactive degli Imagine Dragons a volume normale, né troppo alto, né troppo basso, ho sempre odiato ad esempio le persone che mettono la musica a tutto volume nelle orecchie perché si sente quella melodia nonostante quelle persone abbiano le cuffiette.
"I'm waking up to ash and dust-" iniziai a canticchiarla, ogni volta che la sentivo mi dava quella scarica elettrica che mi faceva venir voglia di cantare e di urlare il ritornello. La musica era una delle poche cose che mi rendeva felice, oltre alla cioccolata calda sul divano mentre guardavo The Walking Dead, la mia serie televisiva preferita.
Che cos'era la musica per me?
Semplice, la mia religione. Non avevo nulla contro il cristianesimo o le altre religioni, solamente che quando ascoltavo la mia playlist mista tra Rock, Pop, Dance e House, mi sentivo davvero meglio, dopo le giornate schifose come quella di quel giorno.
"I wipe my brow and I sweat my rust, I'm breathing in, the chemicals" continuai inizialmente a bassa voce mentre tenevo gli occhi chiusi rilassandomi nonostante stavo sentendo una canzone rock.
Potrebbe sembrare strano, ma la musica rock mi faceva rilassare.
E subito dopo la strofa urlai il ritornello anche se sapevo benissimo che avrei fatto prendere per la 739403529° volta nella mia vita, un infarto a mio fratello.
E fu così che dopo svariate canzoni, chiusi i miei occhi e mi addormentai per la stanchezza, per poi risvegliarmi il mattino successivo e ritrovarmi in classe, mentre non accadeva come al solito qualcosa di interessante.
Era sempre tutto così noioso e niente diverso.
{SPAZIO AUTRICE}
Ciao a tutti, io sono Caterina (meglio conosciuta come Kate)
Magari qualcuno mi conosce per la mia fanfiction sul mio secondo profilo (saddkate) "Lions In The Wild" su Martin Garrix.
E questo è il primo capitolo di questo romanzo YOU ARE MY FIRST. Presto credo uscirà anche un trailer dato che ci sto lavorando.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.//CK//
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YOU ARE MY FIRST
RomanceLei era Rose Johnson, sorella del suo migliore amico, Jack Johnson, si fidava solo di lui, riteneva che tutto il resto facesse schifo, era la solita pessimista e realista che non sognava troppo in grande per non illudersi. Il terzo anno di liceo sem...