"Omnia fert aetas" sussurra, interrompendo il silenzio, e millecinquecentoventisette giorni sono già trascorsi. "Omnia fert aetas" mormora di nuovo e il buio continua a pervaderlo. "Omnia fert aetas" bisbiglia, ancora la medesima frase, mentre la solitudine attanaglia, lacera e dilania quel che rimane della sua anima.
E' da solo, Jeongguk. Completamente abbandonato a se stesso, segregato per sua scelta in quell'appartamento. E' da nove mesi che non sente più una voce che non sia la sua, da undici che non esce più di casa.
L'ultima volta che prova a mettere qualcosa nello stomaco è sedici giorni fa. Prova, infatti, perché alla fine non ci riesce; riversa tutto nel wc ancor prima che arrivi nello stomaco. Ma di nutrirsi adesso gl'importa poco, perché non riesce a pensare ad altro.
Pensa un sacco, Jeongguk, pensa senza sosta. Pensa perché non riesce a fare nient'altro. Pensa al fatto che dovrebbe assolutamente pulire il suo appartamento, il quale è ridotto un vero schifo; pensa a tutti gli esami che deve ancora dare in università, pensa a tante altre cose. Pensa a lui.
Lui che è una costante nella sua vita, l'unico punto fermo, sebbene adesso non ci sia più. Lui che lo salva costantemente anche solo con la sua presenza, ma che però adesso lo fa a pezzi con la sua assenza e la conseguente mancanza. Perché sì: gli manca. Gli manca come l'ossigeno, come la terra sotto i piedi ma sa bene che, nonostante tutto questo, lui non ritornerà. Questa consapevolezza fa male, distrugge.
Dall'esterno del suo appartamento sente gli uccellini fischiettare, Jeongguk. Se le finestre fossero aperte, annuserebbe il profumo dei fiori, contemplerebbe il cielo limpido, beneficerebbe del tepore dei raggi del sole sulla propria pelle ma quelle finestre, Jeongguk, le aveva serrate molti mesi addietro senza più riaprirle.
La primavera è vicina: la stagione in cui tutto rinasce e Jeon Jeongguk, pian piano, muore.
Vuole piangere, Jeongguk, eppure non ci riesce. Oramai ha solo un cuore lacerato e una mente squarciata, niente più lacrime. Forse perché piange fin troppo da quattro anni a questa parte, forse perché è prossimo alla totale disidratazione dal momento che ha smesso di bere otto giorni fa.
E' triste, Jeongguk, è stanco e ha così sonno. Vorrebbe solamente chiudere gli occhi e dormire, morire, non svegliarsi più.
Chissà cosa si prova poi, a morire... pensa Jeongguk. Forse lui lo sa.
E si maledice, Jeongguk, si dà mentalmente dello stupido. Perché lui se n'è solo andato e non è morto... I loro amici continuano a ripeterlo: dicono che una persona non sparisce nel nulla per quattro lunghi anni e che dev'essersene per forza andato all'altro mondo. Si rifiuta però di accettare una cosa del genere, Jeongguk. Si rifiuta anche solo di pensarla.
"Omnia fert aetas." E' avvolto nel buio, Jeongguk, sdraiato sul pavimento freddo del soggiorno, mentre pronuncia quelle parole, parole che sente pronunciare solo una volta da lui, Min Yoongi, dal suo hyung.
Jeongguk guardava in silenzio Yoongi. Era steso accanto a lui sul letto della propria camera. Quella stanza profumava di loro, del bagnoschiuma che condividevano e del loro amore.
"Hyung, cosa c'è scritto?" aveva chiesto Jeongguk, annullando il silenzio, indicando la frase tatuata alla base della schiena di Yoongi.
"Omnia fert aetas" aveva risposto l'altro.
Jeongguk lo conosceva bene, sapeva che Yoongi era una persona estremamente riservata, ma sperava che, almeno per quella volta, sarebbe riuscito a chiedergli qualcosa senza infastidirlo.
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Omnia fert aetas {yoonkook}
Fanfic"Lo pensi sul serio?" aveva domandato Jeongguk, "Che il tempo porti via tutte le cose, intendo." || angst; drammatico ||