Il mio psichiatra mi crede pazza.
Di solito, quando vengono loro imposte delle sedute settimanali prefissate, le persone fanno di tutto per saltarle, diceva, ma con me non aveva mai avuto questo problema. Era parte della mia malattia? Non lo sapeva, non poteva dirlo con certezza.
La mia malattia allora era piuttosto giovane, un caso nuovo in un periodo pieno di tanti altri casi nuovi, tanto per occupare posti letto negli ospedali, un buon modo per i medici di riuscire a mettersi nelle tasche uno straccio di stipendio a fine mese.
I medici, che ruoli inutili.
Quelli che conoscevo io si limitavano a bere un paio di caffè ogni ora, salutare gli infermieri e girare per i reparti con una cartella clinica vuota in mano. E si, era vuota per davvero, l'ho scoperto quella volta che ne ho rubata una alla Dottoressa Falange; che, sia chiaro, non si chiamava davvero così, ma così la chiamava il ragazzo della stanza all'inizio del corridoio, lui che era bravo ad affibbiare nomi a tutti. Pareva che se ne stesse sempre tutta dritta, qualcuno aveva addirittura supposto che tenesse un'impalcatura sotto il camice bianco. Mai più vista dopo la volta della cartella, per altro.
E poi, tornando ai medici, sanno a mala pena scrivere.
Ma per fortuna noi non avevamo medici. I medici non servivano nel nostro reparto, avevano cercato di spiegarmi. Ergo, avevano solo paura: una volta entravano ed uscivano come se nulla fosse, come fanno dai tanti altri reparti, lo ricordo bene. Ma poi pareva che non ci fossero medici adatti, o almeno così ci avevano detto, e così mandavano soltanto le suore per i pasti. Una cosa in cui spero che i medici siano meglio delle suore è cucinare.
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PoetryCi hanno rubato il silenzio, ci hanno rubato la libertà di vivere.