All'Ombra dell'Albero

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Dicembre 1667


La missiva era proprio lì, davanti a lei. Una lettera dall'apparenza innocua, che celava trame e progetti di guerra: doveva leggerla, memorizzarne il contenuto, ma stava finendo il tempo. La piccola clessidra appesa alla cintura le suggeriva di scappare da lì, Victor le aveva dato cinque minuti, non uno di più, e già sentiva i passi oltre la porta chiusa.

L'avrebbero vista, ma riuscire ad entrare nella stanza era stato più ostico del previsto e il tempo le era sfuggito tra le dita.

La lesse, la rilesse, imponendo alla sua memoria di collaborare: trascriverla sarebbe stato più agevole, ma pericoloso, e rubarla non era neppure in questione. Aveva appena finito di leggerla una terza volta quando qualcuno si fermò davanti alla stanza, pronto ad entrare: si voltò ed uscì nel terrazzino nell'esatto momento in cui la porta si aprì.

Una folata di vento fece volare tutte le carte, dandole più tempo. Udì una voce alzarsi contro una cameriera, rea di aver lasciato la finestra aperta. Le si strinse il cuore, ma era il diversivo che le serviva per potersi calare lungo l'albero senza che a nessuno venisse in mente di guardare fuori.

Era inverno, la neve cadeva appena ma il clima, ad Amsterdam, era troppo freddo perché chiunque si avventurasse nei giardini; il freddo le permetteva di scappare senza essere vista.

-Ce l'hai fatta? Cos'è successo?

Martine si sistemò le gonne e prese il mantello che Marc le stava porgendo. –La porta, il duca deve essere decisamente paranoico, aveva una chiusura impossibile.

-Quasi impossibile.

La ragazza sorrise, annuendo. Impossibile per molti, ma non per lei. Mentalmente, ancora una volta, ringraziò Baudoiun, che le aveva insegnato tutto quello che sapeva sulle serrature. Chissà dov'era. L'ultima volta si erano incrociati a Milano: in ogni viaggio, Martine cercava il Fagiano Ubriaco, nella speranza che le rispettive peregrinazioni li avessero portati nello stesso luogo.

Si concesse solo un attimo per pensare al locandiere, poi richiuse quel pensiero in un angolo della mente, la missione non era ancora finita e non potevano permettersi distrazioni.

-Qualcuno sta arrivando.

La voce di Marc le giunse secca nel silenzio di quell'angolo dei giardini e immediatamente udì i passi concitati del piccolo esercito del loro ospite che si metteva in moto: con ogni probabilità, dopo aver constatato che nulla mancava, si sarebbero dimenticati di quella finestra lasciata aperta, ma il duca avrebbe comunque fatto verificare l'eventuale presenza di estranei o di anomalie e la loro presenza in giardino, con quel clima, rientrava di diritto in quella seconda categoria.

A meno che...

Reagirono nello stesso istante, seguendo un copione già provato numerose volte: le labbra di Marc cercarono le sue, le sue mani si strinsero sulla sua vita mentre lei gli afferrava il bavero della giacca, avvicinandolo a sè. Tremò e lo sentì tremare, mentre Marc le schiudeva le labbra mordendola appena. D'istinto allargò le gambe, permettendogli di avvicinarsi ancora di più, facendo combaciare i corpi e rimanendo entrambi senza fiato.

Un lieve tossire li fece allontanare.

-Miss Elizabeth, scusatemi.

Martine si voltò verso il capo delle guardie, fingendo un perfetto accento inglese. –Vi scuso se promettete di mantenere il segreto.

-Ovviamente.- le rispose quello, con un sorriso complice. Martine si era presentata come la fidanzata di un vecchio nobile fiorentino, che si stava recando dalla natia Inghilterra a Firenze per il matrimonio, facendo qualche tappa intermedia. Marc era, ufficialmente, Lorenzo, fratello del promesso sposo. Sembrava che quella storia alla Tristano e Isotta suscitasse simpatie ovunque andassero.

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