Capitolo secondo

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La logora valigia di cartone era già sull'uscio di

casa; al suo interno un paio di calzoni, due camicie

e qualche cambio di intimo. L'indispensabile, e

nulla più.

Vincenzo teneva tra le dita il biglietto della corriera

che lo avrebbe accompagnato alla stazione di Cassino

per prendere il treno.

Il volto teso, le mani tremanti, i pensieri altrove.

Filomena non spiccicava una parola; da due settimane

a quella parte non aveva parlato molto. Solo la sera,

con gli occhi rivolti al cielo – mentre sperava di vedere

la mamma affacciarsi tra le stelle, accompagnata dagli

angeli, come le aveva detto il padre –, la si poteva udire

rivolgerle una preghiera, un saluto.

Invece lui, non solo aveva taciuto la verità, ma adesso

se ne andava lontano, in Francia, e lei non sapeva

dove si trovasse questo posto che avrebbe dato un lavoro

al padre.

Se ne stava lì, con la testa bassa, stretta nei vestitini

dismessi dalle cugine più grandi. Attorcigliava le manine

perché, di nuovo, sentiva quella sensazione a cui

non sapeva dare un nome, la stessa che aveva avverti

to quando il Dott. Di Giacomo era comparso in cucina,

ingobbito dalla stanchezza.

Vincenzo aveva provato, nei giorni precedenti, a combattere

i sensi di colpa che provava verso la bambina.

Ma alla fine si era convinto: con i nonni sarebbe stata

bene e cresciuta con affetto. Lui i genitori non li aveva

più ed era troppo giovane per marcire in quel paese

che diventava sempre più povero. Andava all'estero,

ma lo faceva anche per la figlia.

Le avrebbe scritto e spedito dei soldi, così la sua coscienza

sarebbe stata in pace con Dio.

Nonna Caterina spinse la piccola verso Vincenzo:

«Avanti, saluta il babbo e non fare il broncio, ogni tanto

verrà a trovarti».

Lei si alzò, timidamente, sulle punte e gli offrì la guancia.

Il padre la baciò con un gesto meccanico, con gli occhi

già puntati sull'orologio per non rischiare di perdere

il treno. Afferrò il bagaglio, salutò in fretta bimba e

suoceri e si volatilizzò, girando l'angolo, per scomparire

dalla vista della piccola che si aggrappò alla ruvida

mano della nonna.

***

Ottobre arrivò in fretta e, con esso, il primo giorno di

scuola.

Quando la campanella suonava per annunciare l'inizio

della prima ora, nella casa adibita all'uso scolastico,

Filomena donava un sorriso a ogni bambino che,

passando, la urtava. Quel vociare, quelle risate divertite,

erano musica per le sue orecchie.

Ma quando anche lei cominciò a saggiare la bacchetta

del maestro, sempre arrabbiato, l'entusiasmo si spense

con la stessa rapidità di un fuoco d'artificio lanciato

nel cielo. E ne aveva visti pochi, forse una sola volta,

nella sua breve vita di bambina.

Nel primo governo Mussolini, il ministro della Pubblica

Istruzione, Giovanni Gentile, si era affannato a

riformare la scuola che doveva essere uguale per tutti.

L'obbligo agli studi fu prolungato fino ai quattordici

anni d'età ma, di fatto, rimase lettera morta per la stragrande

maggioranza dei ragazzi, le cui famiglie non

avevano possibilità economiche per consentire l'istruzione

o avevano bisogno della loro giovane energia

per portare a casa il pane.

A Filomena, la nonna aveva detto che ormai era grande

e che l'avrebbe fatta studiare, tirando la cinta, solo

se il pomeriggio avesse portato a pascolare le pecore

del signor Anselmi. D'altronde Mario e Caterina erano

vecchi e acciaccati, la mamma era morta e il padre

lavorava all'estero; chi, se non lei, doveva contribuire

a portare qualche soldo in casa? Se il signor Anselmi

si fosse trovato in difficoltà, anche un pezzo di carne

per fare il bollito e un po' di viveri per la dispensa sarebbero

andati bene.

Negli otto mesi trascorsi dalla sua partenza, Vincenzo

fece avere sue notizie solo tre volte. Essendo analfabeta,

aveva chiesto aiuto a un suo amico francese di origine

italiana per scrivere a casa ma, disse, non avrebbe

voluto disturbarlo troppo frequentemente.

L'ultima volta aveva anche mandato qualche soldo,

dicendo che lavorava come muratore ed era ospitato

in casa di una donna, conosciuta poco dopo il suo arrivo.

Nonna Caterina si era rivolta all'unica persona fidata

che sapeva leggere, affinché la aiutasse a capire quegli

scritti: il maestro di Filomena. Presente a quei radi

incontri, la bimba aveva ben presto capito che alcune

frasi venivano omesse, per l'evidente imbarazzo del

maestro e perché, una volta conclusa la lettera, questi

aveva chiamato in disparte l'anziana.

Tuttavia, una volta giunte a casa, la piccola si mise

a origliare da dietro la porta accostata, ascoltando le

dure parole della donna:

«Si è già accompagnato con una francese! Ha scritto di

rado e a Filomena non ha mandato che qualche spicciolo...».

Nonno Mario sospirò:

«È giovane! Temo che si costruirà una nuova famiglia,

speriamo solo non si dimentichi di sua figlia».

Ormai, Filomena, di pratica con il dolore ne aveva fatta

tanta e questa volta lo riconobbe subito nel suo cuore.

Si sentì abbandonata per la terza volta, nonostante

avesse solo sei anni!

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⏰ Last updated: Dec 25, 2016 ⏰

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Come fiori tra le macerie- Capponi EditoreWhere stories live. Discover now