Prologo

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KILLIAN POV

Non avevo la minima idea del perché avessi accettato il suggerimento di Liam, ma era troppo tardi per tornare indietro: dovevo solo attraversare la strada per raggiungere il numero 8 di Wild Street.
Era quasi buffo che il gruppo di sostegno si trovasse proprio in un vecchio bar chiuso nel cuore della città... e probabilmente era anche pieno di gente patetica e ubriaca che utilizzava quell'ora per parlare dei problemi più stupidi. Io non avevo bisogno di una cosa del genere, ero sicuro che sarebbe solo stato un'inutile spreco di tempo. Tempo prezioso, per di più: gestendo un bar nel centro di Londra, difficilmente riuscivo a prendermi più di una serata di riposo a settimana e avrei di gran lunga preferito passarla a bere rum con gli amici e conoscere belle ragazze in giro per i locali.
Avevo deciso di farlo soltanto perché avevo promesso a mio fratello che avrei provato, e glielo dovevo: dopotutto potevo anche rimanere mezz'ora e poi andarmene con qualche scusa per non offenderli. No, parlare delle mie cose con degli estranei, decisamente non fa per me, pensai mentre varcavo la porta d'ingresso, sopra la quale c'era ancora la vecchia insegna del posto.
Una volta dentro mi guardai subito intorno: c'era un'unica sala, in mezzo alla quale un gruppo di circa quindici persone sedeva in cerchio su delle sedie di plastica. Sul bancone del vecchio bar c'erano invece piatti, bicchieri, del cibo e alcune bevande – purtroppo analcoliche.
Sbuffai, un a bella birra sarebbe stata l'ideale, invece avrei dovuto accontentarmi di Coca Cola, aranciata o acqua. Fantastico. Sarei impazzito, me lo sentivo.
In più, per mia sfortuna nessuno stava mangiando e per non apparire come un morto di fame decisi di evitare anch'io e mi avvicinai al gruppo, tirando una sedia leggermente indietro e sedendomi: mi sembrava troppo stupido restare in quello stramaledetto cerchio. Mi limitai quindi a evitare tutti gli sguardi e incrociare le braccia per poi analizzare le persone che stavano chiacchierando tra loro: spiccavano una coppia di ragazzi molto giovani, una donna con una sciarpa, una ragazza dai capelli rossi che stava scrivendo qualcosa sul cellulare e altre due giovani molto carine. Tuttavia notai subito un dettaglio che li accomunava: tutti stavano sorridendo, nessuno escluso, come se fossero davvero a loro agio. Lo trovai strano: in una situazione del genere non avrei mai potuto sentirmi così in mezzo a tanti sconosciuti.
Fu un movimento a un paio di metri di me a distogliere la mia attenzione da quell'assurdo gruppetto: una giovane bionda era appena arrivata, e la osservai prendere con disinvoltura un pezzo di torta, poi senza dire niente si accomodò sulla sedia accanto alla mia tirandola leggermente indietro esattamente come avevo fatto io.
Era piuttosto carina con quei riccioli dorati che le ricadevano sulle spalle, gli occhi verdi e la pelle chiara coperta da un paio di jeans e una giacca di pelle rossa.
-Salve dolcezza. Sei qui per il cibo gratis?- tentai di approcciarmi.
Tuttavia, lei si limitò ad alzare lo sguardo su di me, e senza neanche rispondere tornò alla sua torta.
-Non essere maleducata tesoro, non voglio mica mangiarti, sai?
La bionda ovviamente continuò ad ignorarmi, e prima che potessi aggiungere altro una sveglia segnò le 21.
-Ciao!- esclamò l'anziano di fronte a me che neanche avevo notato -Sono contento che oggi ci siate tutti...- notò lanciando uno sguardo alla giovane accanto a me, e lei sorrise leggermente.
-E abbiamo anche un volto nuovo...- continuò, spostandosi su di me -Felice di conoscerti...?
-Killian. Killian Jones. Piacere.- borbottai, leggermente imbarazzato.
Mi salutarono con calore anche tutti gli altri, dicendomi i loro nomi che chiaramente dimenticai all'istante: tutti tranne la bionda, che neanche si degnò di guardarmi. Cosa le avevo fatto? Aveva messo il muso solo per la mia battuta innocente?
-Allora, cosa ti porta qui, Killian?- domandò gentilmente la donna con la sciarpa – Mary, o Susan, o qualcosa del genere.
-Oh... beh, in realtà sono venuto solo per fare un piacere a mio fratello. Posso... ascoltare e basta?
-Certo, non obblighiamo nessuno a parlare, non ti preoccupare!- sorrise rassicurante.
-Mary, come va con tuo marito?- domandò la ragazza accanto a me, dandomi modo di ascoltare per la prima volta la sua voce: era molto bella, proprio come lei... melodiosa.
-Sì, beh...- sospirò, abbassando lo sguardo e sfilandosi la sciarpa: sul suo collo aveva tre enormi lividi viola, oltre a qualche brutto graffio. Strinsi automaticamente i pugni: avevo sempre odiato gli uomini che alzavano le mani sulle donne fin da quanto ero bambino. Ancora ricordavo le lacrime di mia madre, i suoi lividi, e il suo sguardo impotente.
-Ho provato a parlargli... con calma. Ma non vuole ascoltarmi, si è arrabbiato quando gli ho detto di voler divorziare... mi ha minacciato dicendo che avrebbe portato via i bambini... e... non ho potuto fare altro che scusarmi, ma... insomma, mi ha... punita lo stesso.
Già odiavo quell'uomo, e neanche conoscevo Mary; tuttavia non ero mai riuscito a capire le donne che non sembravano voler denunciare i loro mariti violenti. Non ero mai riuscito a capire neanche mia madre, e quando la polizia ci aveva annunciato la morte di mio padre avevo provato un inquietante moto di gioia. Non ero riuscito a contenerla, e lo stesso valeva per Liam: era la mamma l'unica che per assurdo aveva pianto.
-Pensi di... beh, denunciarlo, magari?- le domandò l'anziano, sfiorandole delicatamente la mano.
-Non lo so. Eravamo felici una volta, lui mi amava. E ama i nostri figli, loro lo adorano... non posso rovinargli la vita, sono ancora piccoli...
In quel momento mi accorsi che anche la bionda stava stringendo i pugni, pur senza dire niente: nel suo sguardo riuscii a leggere una grande rabbia, la stessa che avevo provato in passato.
-Lo capisco, ma anche tu meriti di essere felici. Capiranno, sai, i bambini sono più intelligenti di quanto pensiamo...
-Lo so, ci penserò davvero. Grazie ragazzi, è bello poter parlare con voi...
Forse, dopotutto, mi ero sbagliato a proposito di quelle persone: forse non erano solo una banda di ubriaconi, ma gente con problemi reali, gente che non poteva neanche vivere felicemente la propria vita a causa della paura e dei sentimenti contrastanti.
Non sapevo dire cosa fosse, ma qualcosa mi convince a restare, restare e ascoltare le loro storie. Neanche mi accorsi che il tempo stavo scorrendo, tanto ero assorto nelle loro viste, i loro problemi e le paura; solo una volta ogni tanto lanciavo un'occhiata alla "ragazza senza nome", l'unica che non parlava a parte me.
Per qualche motivo mi incuriosiva genuinamente, forse perché conoscevo quello sguardo: era il mio sguardo. Lo sguardo di una persona che apparentemente stava benissimo, ma i cui incubi bussavano alla porta per rimanere lì per ore. Giorni. La maggior parte del tempo stavo bene, la mia mano mancante non era più un problema, utilizzavo la mia protesi alla perfezione. Il mio problema erano i fantasmi di Milah e della nostra bambina non ancora nata, e spesso, di giorno o di notte, rivivevo la loro morte tra le mie braccia. Ricordavo ancora il suo sguardo colmo di dolore che mi supplicava di lasciarla andare, promettendo che non mi avrebbe mai lasciato e che lei e Sarah – il nome che avevamo voluto dare alla piccola – avrebbero sempre vegliato su di me.
Deglutii e sbattei le palpebre per non permettere alle mie lacrime di uscire, quindi mi concentrai sulle due dicassettenni che parlavano del loro capo che continuava a toccarle e non potevano farci nulla perché avevano bisogno di quel lavoro. Quello era un altro genere di uomini che non riuscivo a sopportare: amavo flirtare e sedurre le donne, ma mai e poi mai ne avrei sfiorata una senza il suo consenso. Ero dell'opinione che una donna non dovesse essere sfiorata neanche con un fiore.
Poi ascoltai l'anziano signore, la cui pensione non era sufficiente a sostenere le spese per le cure di sua moglie; da ciò che avevo capito erano fuggiti insieme quando erano molto giovani, e ora non avevano nessuno a prendersi cura di loro, neanche dei figli.
Poi c'era il ragazzino appena 18enne costretto a crescere da solo la sorellina dopo la perdita dei loro genitori, la donna che non poteva vedere i propri bambini e l'uomo che era da poco sopravvissuto all'attentato di Parigi e non riusciva ad addormentarsi senza tranquillanti, tanto che aveva dovuto lasciare il lavoro in quanto incapace di concentrarsi.
Queste e le altre storie erano semplicemente terribili, e mi sentii davvero un idiota: anch'io ne avevo passate tante, ma oggi la mia vita non era così terribile. Stavo andando avanti, e per addormentarmi mi bastava qualche bicchiere di vino – non usavo medicinali.
-Beh, si è fatto tardi ma... ma c'è qualcun altro a cui piacerebbe parlare?- domandò in fine Mary, passando lo sguardo da me, a Lucy e poi alla bionda. Nessuno disse niente, quindi di comune accordo si alzarono tutti e raggiunsero il bancone con le vivande.
Quando lessi l'ora sul mio cellulare non riuscii a crederci: erano quasi le 11 di sera ormai. Come poteva il tempo passare tanto velocemente?
Salutai quindi tutti ad accezione della bionda che sembrava essersi volatilizzata, ed uscii: probabilmente sarei rimasto, ma preferivo qualcosa di forte ad un bicchiere di aranciata.
Non appena misi piede fuori fui colpito dal freddo e mi pentii di non aver indossato qualcosa di più caldo: in quello stesso momento intravidi la ragazza dalla giacca rossa. Era a qualche passo di distanza da me e stava riponendo il telefono in tasca.
-Hey. Non sei di molte parole...
La giovane sussultò e si voltò, esaminandomi un paio di volte da capo a piedi.
-Neanche tu.
-Lo so. Come ho detto, sono venuto per far piacere a mio fratello.- "e mia madre" aggiunsi mentalmente, per non fare la figura del ragazzino -Tu?
-A volte mi piace stare ad ascoltare persone che non giudicano...- fece scuotendo le spalle -Scusa, devo andare ora. Ci vediamo.
Prima che potesse voltarsi la afferrai per un braccio: sentii i suoi muscoli tendersi all'istante, quindi lasciai immediatamente la presa, un po' confuso.
-Scusa dolcezza, non volevo spaventarti. Volevo solo offrirti un drink...- spiegai mentre si calmava.
-Non... non mi hai spaventata, solo... per favore, devo andare...- mi pregò, con uno sguardo strano: c'era qualcosa in quegli occhi che non riuscivo a decifrare. Paura? Preoccupazione?
-D'accordo...- decisi di non insistere, perché a giudicare dalla sua faccia doveva essere successo qualcosa e magari aveva davvero fretta; -Posso sapere il tuo nome, almeno? E il tuo numero, magari.
-Emma. Ma per quanto riguarda il mio numero... beh, scordatelo.
-Perché?- la provocai con un sorriso divertito. Non ero abituato a essere rifiutato, e non capivo davvero che tipo di problema avesse con me: poteva almeno darmi una chance.
-Conosco i tipi come te... probabilmente sei solo interessato a bere un paio di drink, un po' di pomiciate e magari una notte di sesso... per poi tornare alla tua vita come se niente fosse successo. Mi sbaglio?- domandò, incrociando le braccia e continuando a guardarmi.
-Ok mi hai scoperto, a volte lo faccio. Ma non dirmi che a te non piace divertirti, dai... con un bel faccino come il tuo sono certo che gli uomini ti cadono ai piedi.
-Beh, sbagli. E mi piace divertirmi, ma non in questo modo. Mi lasci andare, adesso?
-Certo, tesoro. Non ti forzerò a bere con me, anche se lo adoreresti...
-Se fossi in te non ne sarei così sicura. Ora devo proprio andare. Ciao.- concluse, guardandomi incerta: che problema c'era? Puzzavo, forse? Avevo la zip dei pantaloni slacciata?
-Ciao Emma. Ci vediamo la prossima settimana.- mi arresi sorridendole.
-Quindi tornerai? Non eri venuto solo per accontentare tuo fratello?
-Forse ora ho una ragione per tornare- dissi allusivo. Era una davvero, davvero bella giovane donna, ancor più di quanto non avessi notato inizialmente.
-Mh... Ci si vede. Forse.- disse e questa volta si voltò definitivamente, sparendo nella stazione della metro.
Forse avrei dovuto ringraziare Liam, se non fosse stato per lui non avrei mai incontrato Emma: ora, offrirle un drink sarebbe diventato il mio obiettivo personale. Non volevo sedurla, solo avere l'occasione di conoscerla, chiacchierare... aveva un certo fascino che in qualche modo la rendeva molto attraente. Doveva di sicuro essere una donna molto interessante.

***

EMMA POV

-Sono a casa!- esordii non appena rientrai; ero piuttosto certa che mia madre fosse a casa dato che quella sera mio padre sarebbe tornato tardi da una cena di lavoro.
-Ciao tesoro. Com'è andata?- mi domandò dal divano, proprio come avevo immaginato: mise quindi in pausa il film che stava guardando su Netlix e mi incitò a raggiungerla.
-Tutto bene...- risposi semplicemente, prendendo posto accanto a lei.
-Hai parlato?
-No. E non ho intenzione di farlo, lo sai.- risposi afferrando la ciotola dei pop corn: erano salati e imburrati proprio al punti giusto.
-Ma perché, Emma... a che serve andarci, a questo punto?
-Infatti ci vado solo un paio di volte al mese. E non mi va di tornare sull'argomento. Henry dorme, vero?
-Sì, come un angioletto...- sospirò rassegnata, per poi cingermi le spalle. Ne avevo parlato a lungo con lei e papà, spiegando loro che non me la sentivo di raccontare i miei fatti alle persone del gruppo, ma sembravano non riuscire proprio a capire che stavo perfettamente bene così. Da quando avevo partorito, la depressione era notevolmente diminuita: mio figlio aveva quasi 2 anni, ed era pi bimbo più bello e tenero del mondo. Non mi importava di non avere al mio fianco un padre per Henry, stavamo benissimo così.
-Bene... vado a dargli un bacio, mi metto il pigiama e ti raggiungo.
Senza aggiungere altro mi alzai e raggiunsi velocemente la mia camera: Henry stava davvero dormendo come un angioletto, nella sua culla e con la boccuccia semiaperta. Lo baciai leggermente per non svegliarlo, poi indossai il mio comodo e caldo pigiama. Dopo un'ultima rapida occhiata al mio piccolo tornai in salotto, abbracciando la mamma non appena notai le tazze di cioccolata calda sul tavolino.
-Sapevo avresti apprezzato! Oggi fa piuttosto freddo, perché non indossi il piumino che ti ho comprato?
-Sto bene così, dico davvero. Grazie per la cioccolata, ti adoro.
-Lo so. Senti, ho invitato Neal domani sera a cena, per te va bene?
-Oh... beh, sì, certo. È... mi piace Neal.
-Anche tu gli piaci.
-Non in quel senso, mamma!- esclamai infastidita: adoravo avere un rapporto di amicizia con mia madre, dato che aveva soltanto 20 anni più di me, ma quando si metteva in testa certe idee era insopportabile. L'ultima era di farmi uscire con Neal.
-Ok, scusa, se ancora non te la senti...
-Smettila. Non si tratta di sentirmela- replicai, nonostante in parte avesse ragione -E' solo che vedo Neal come un amico. Gli voglio bene, ma questo è quanto. Non voglio uomini, un nuovo tipo oggi mi ha ricordato quanto possono essere irritanti.
-Oh, hai conosciuto un ragazzo allora...
-Sta' calma. È... fastidioso. Sai, no tipo uno di quelli stronzi. Insomma, super sicuro di sé, flirta... e...- borbottai, non sapendo bene cosa aggiungere. Era uno stronzo e basta.
-Ehi...- fece preoccupata, tornando al suo lato materno -Stai bene? Ti ha infastidita? Devi dirmelo...
-Sto bene... e no, certo che no, non mi ha fatto niente. Mi ha solo... sai, rotto le palle. So come gestire quelli come lui- le assicurai, ed era vero. Anche se non lo sapeva, col mio nuovo lavoro avevo già incontrato numerosi uomini come Killian Jones o come cavolo si chiamava, e sapevo come gestire la situazione, anche se in un primo momento mi aveva colta alla sprovvista.
-Torniamo a Netflix e basta, dai...
La donna annuì apprensiva ma non obiettò più e premette play: stava guardando "Ritorno al Futuro 2", e sembrava mi fossi persa soltanto i primi cinque minuti. Era così che volevo concludere la serata, non a pensare a quell'uomo che probabilmente la prossima volta non si sarebbe neanche presentato. Ero certa che non avesse bisogno di me, poteva sicuramente avere tutte le donne che voleva. Era bello... ma era anche il tipo d'uomo che ero abituata ad evitare. Mi ricordava Ryan, in qualche modo, e a uomini del genere non doveva neanche essere permesso di avvicinarsi alle donne. Ero felice di essere riuscita ad evitare che quest'ultimo scoprisse di nostro – mio figlio, e non l'avrebbe mai scoperto.
Avevo un solo, unico dubbio: perché Killian Jones si era trovato lì? Per quale motivo un uomo come lui aveva bisogno di un gruppo di supporto? Gli avevo lanciato qualche occhiata fugace, certo, e più di una volta l'avevo visto davvero turbato nell'ascoltare le storie delle altre persone. Forse c'era davvero qualcosa in lui, ma non riuscivo a capire cosa.
In quel momento decisi che la prossima settimana sarei tornata: ero curiosa di sapere se fosse stato serio quando aveva detto che sarebbe tornato, o era stata solo una mossa per sedurmi.
Mi sarei messa nei guai, ne ero certa. Eppure volevo tornare. Sarei tornata.

Restoring Our Broken Souls (Italiano)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora