All'inizio ero molto spaesata e anche un po' perplessa: tutto nuovo per me, dal tragitto, ai tempi, al quartiere, all'ambiente. La mia scelta era scaturita da una profonda insofferenza per tutto quello che avevo visto cambiare, modificato in peggio, nella vecchia scuola in cui ero. Non riconoscevo più quello che avevamo costruito e quello in cui avevamo creduto e creato, tutto era diverso, pubblicizzato come migliore, essenzialmente ridotto al fantasma di quello che era stato. Le normative introdotte dalla nuova legge mi avevano costretto ad un aut aut: o cercavo di andarmene o sarei rimasta lì fino alla pensione, probabilmente.
E questo proprio non mi andava giù: avevo una classe a cui ero molto affezionata, ma il resto... il resto era un inferno: io adoro, anzi adoroh, il mio mestiere ma c'erano certe situazioni che mi lasciavano avvilita, stremata e depressa, quotidianamente. Non mi andava di stare in questo stato con la prospettiva di ancora vent'anni di insegnamento... quindi BOOM, domanda di trasferimento, al settimo posto la scuola dove pensavo avrei avuto maggiori possibilità di arrivare, dato il mio punteggio di merda...
E niente, ero certa che, a meno di incredibili botte di culo, non avrei avuto le scuole comode, quelle sotto casa, per intenderci...
Quindi... il 7, mio numero fortunato da sempre, è diventato il corrispettivo della mia nuova sede di lavoro.
Ho saputo che avrei cambiato scuola il 13 giugno: ero una pila elettrica, l'ultimo periodo era stato pesantissimo, non vedevo l'ora di sapere: freneticamente, istericamente, entravo sul portale dove avrei saputo con qualche ora di anticipo i risultati, mediamente ogni 5 minuti; dovevo sapere, l'ansia mi divorava...
Avevamo presentato la domanda in tante, circa il 70% del corpo docente, tutte speranzose di migliori opportunità e cambiamenti positivi. Io... alternavo momenti di speranza a momenti in cui non volevo andar via e mi pentivo di aver fatto la domanda, non volevo lasciare i miei ragazzi, la classe che avevo cresciuto, ma contemporaneamente non volevo restare lì senza le mie colleghe, in particolare quella di matematica con cui condividevo le classi da quando eravamo arrivate, insieme, lì.
Quando le situazioni da vivere e da gestire sono complesse come quelle che ho trovato lì, si crea un'alchimia magica fra i colleghi, come se si facesse parte di una stessa orchestra: il suono armonioso si genera da tutti gli strumenti, insieme, e tutti noi lavoravamo insieme per il bene dei ragazzi. Sapevo che lei aveva altissime probabilità di ottenere il trasferimento, non volevo restare lì senza di lei, mi sarebbe sembrato troppo strano.
Ricordo ancora cosa ho scritto su FB il penultimo giorno in cui sono stata lì:
"Domani sarà l'ultimo giorno, probabilmente, che sarò al lavoro nella scuola dove ho vissuto gli ultimi quattro anni... Questa scuola si trova al Rione Xxxxxxxx, un quartiere molto difficile e dove ero terrorizzata di andare, quando seppi la destinazione avuta. Oggi proprio ho letto notizie di ulteriori conflitti a fuoco nel rione e mi spiace tanto. Per correttezza, però , devo dire che in questi anni non ho mai avuto nessun inconveniente né a scuola nè durante il percorso. Molti ragazzi della scuola, molti miei alunni vivono realtà difficili, a contatto con situazioni che non dovrebbero riguardarli: alcuni ne soffrono, altri reputano tutto normale, tutti ne risentono. Sono stati quattro anni molto complessi, difficili da gestire, che mi hanno regalato grandissimi grattacapi e preoccupazioni, ma anche enormi gratificazioni...
Io sarò sempre felice di questo periodo vissuto nel Rione, perché ho imparato tanto, come docente e come persona...
I MIEI alunni saranno sempre nel mio cuore, gli vorrò sempre bene, sono troppo belli❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️"Detto questo, ricordo che quando, tramite l'applicazione, si è visualizzata l'icona "visualizza risultato ", non ho avuto il coraggio di guardare: temevo di restare delusa, in quel momento volevo andar via perché sapevo che le altre si sarebbero trasferite. Quando ho letto di aver avuto il trasferimento e di aver avuto quella scuola, ho iniziato a piangere... troppe emozioni, tutte contrastanti, troppa pressione, troppa ansia.
Ho profondamente odiato dover andar via da là, ma non avevo alternative: per come intendo io il mio lavoro, la passione è alla base di TUTTO, fare questo lavoro in una condizione di non serenità è pesantissimo.
Ho pianto un sacco, perché avevo creduto in tutto il lavoro fatto lì, tutto smantellato e sminuito in pochi mesi... è come una storia d'amore, quando il rapporto diventa unilaterale e non c'è più scambio, che senso ha continuare? C'è la fase della lotta, poi quella dell'incredulità, poi quella del l'accettazione... ad un certo punto ho smesso di angosciarmi, ho sperato che quello che sarebbe successo sarebbe stato il meglio per me.
Quindi ho pianto, abbracciando le mie colleghe, perché sapevo che sarebbe cambiato tutto, ci saremmo magari riviste, ma nulla sarebbe stato mai come prima.
Lo strazio è stato comunicare la notizia alle famiglie che proprio quel giorno venivano a prendere le schede di valutazione: ci siamo fatte dei pianti pazzeschi, insieme...
Mi sono sentita dannatamente in colpa, loro hanno perso tutti i docenti, ad eccezione di musica, scienze motorie e religione, erano davvero smarriti. Come si fa, dopo tanti giorni trascorsi insieme a dare un taglio netto? Impossibile, così come difficilissimo è stato aiutarli nei primi giorni di scuola: avevamo, abbiamo, una chat su whatsapp dove noi docenti abbiamo SENTITO la loro sofferenza a settembre, quando non ci hanno più trovato lì.
A volte i ragazzi pensano che i prof esistano solo all'interno delle mura scolastiche, non abbiano una vita propria: ecco perché la bomba é stata ad effetto ritardato, al rientro in classe. Lì, io e la mia collega di matematica abbiamo capito che dovevamo fare un passo indietro, per il loro bene, latitare un po'.
Voler bene a qualcuno significa soprattutto volere il suo bene: per questo io e la mia collega abbiamo cercato di far capire ai ragazzi che dovevano dare una possibilità ai loro nuovi docenti, di farsi conoscere, di farsi accettare, di farsi apprezzare.Il concetto del dare possibilità a chi incontriamo di nuovo nella vita, questo ho cercato di trasmettere il primo giorno in cui sono entrata nella terza nella nuova scuola: la mia collega Ale mi aveva detto che, conoscendomi, non si preoccupava degli alunni, particolarmente di quelli più grandi, che maggiormente avrebbero risentito della sua assenza.
Ma io sapevo che mi sarei trovata di fronte un muro, perché solido e bello era stato il rapporto con chi mi aveva preceduto ed avrei dovuto faticare per conquistare un pezzettino di cuore. Sarò scema, illusa, ma non penso si possano trascorrere tante ore insieme senza che ci sia empatia, senza che si stia bene insieme, sereni. Ovviamente loro faranno sempre il loro mestiere, che è quello di provarci sempre a prendere i prof per i fondelli, e noi faremo sempre il nostro, che é quello di rendergli più semplici le cose che gli faremo scoprire.
Ho fatto mie queste parole:
Detto questo, in quella classe non ero riuscita ad entrare il primo giorno: con la sfiga che mi contraddistingue, avevo solo le altre due classi, ed io stavo come una pazza, piena di ansia; sono una psicopatica ansiosa e chiagnona, anche se faccio la splendida con una certa disinvoltura...
Quindi, che fare? Prendiamo il toro per le corna, a fine lezione busso alla porta ed entro, accolta dalla collega di francese: 19 facce, 19 cervelli in frenetica attività, 19 persone che mi squadrano da capo a piedi ed io recito la parte da prof seria e professionale... Ci fossi mai riuscita una volta!!!
Gli dico che ci tenevo a salutarli, a conoscerli, che avevo tanto sentito parlare di loro ma... vedo dei lacrimoni, perché la mia presenza è la prova definitiva che la loro amata prof è altrove e non tornerà, e poi sento un'alunna che mi dice che la collega era per loro come una seconda madre...
Sarà durissima...