I primi giorni insieme sono stati faticosi e frettolosi: faticosi perché cercavo di farmi un'idea del punto da cui dovevo partire, frettolosi perché mi sembrava sempre poco il tempo trascorso in quella classe; ci trascorrevo meno ore di quante avrei dovuto, e quelle ore erano sempre troppo brevi. Cercavo di conoscerli, di farmi conoscere e soprattutto di non fargli avere un'impressione sbagliata di me. Sono una timida travestita da socievole, ed è stata dura costruirmi questa corazza, ma è stato necessario, altrimenti sarei stata sbranata.
Nelle prime settimane quindi, come dicevo, ho cercato di "acchiapparli": sapevo di avere poco tempo a disposizione e dovevo usarlo al meglio, nel modo più costruttivo possibile. L'orario, o la sfiga, non so, mi era ostile: 4 ore invece di sei, tutte frazionate e con una montagna di cose da fare...
Come si fa? Come si fa a farsi conoscere ed accettare e riconoscere quando il tempo a disposizione è poco? È come se avessi una febbre, una smania, che ti spinge a fare le cose.
Perché il problema è che da parte mia era scattato,BOOM, il coup de foudre, nei loro confronti... bel guaio!
Mi stavano simpatici, il problema è che mi piacevano le loro facce, i loro sorrisi, anche se spesso avrei usato una clava per placarli.
Le lezioni spesso erano un casino, alcune volte uscivo dall'aula imbestialita, il più delle volte ridevo e sorridevo come una pazza. Anche se facevo un placcaggio tipo rugby, anche se urlavo peggio di Pavarotti, anche se ripetevo le spiegazioni decine di volte...
insomma, NON MI ANNOIAVO MAI, anzi...
È difficile non far trasparire nulla di quello che succede altrove: ogni classe è un microcosmo, un mondo a sè ed i ragazzi sono convinti di essere il centro del tuo universo lavorativo. Ma ci sono le altre classi e la difficoltà sta nel non portare nelle classi in cui si entra strascichi di ciò che è successo altrove.
Come si fa? Come cancellare con un colpo di spugna la freva e le incazzature vissute in altre classi? Non è facile, ma devi. Devi perché non è giusto, devi perché i ragazzi non devono risentire e/o pagare per cose che non hanno commesso in prima persona. La speranza è che ti stiano a sentire e che, se quando entri in classe lo fai capire, abbiano un modo di fare ed un atteggiamento più pacato nei tuoi confronti.
Ma qual è l'atteggiamento giusto da tenere? Io confesso di non averlo ancora capito, provo invidia profonda (in senso buono) nei confronti di quei colleghi che riescono a "sedare" una classe, che con uno sguardo fanno zittire anche gli irriducibili. Io ci ho provato, in continuazione, ma ci riesco poche volte e temo non sarò mai un'insegnante così. Però credo che i ragazzi mi ricorderanno lo stesso e con piacere, perché non sarò stata una grandissima rompicoglioni come altri colleghi. Del resto, io ho scelto di fare la prof proprio per questo, per essere diversa dai miei precedenti professori.
Mi ricordo che, quando ho visto il film "Notte prima degli esami ", sono rimasta piacevolmente sorpresa dal finale nei titoli di coda: il protagonista, Luca, il più cazzaro di tutti, diventa prof di lettere... ha fatto come me!
Quando mi trovo di fronte dei ragazzi, sempre, gli racconto di me, di come fossi una fancazzista, educata, ma pur sempre fancazzista, ed a scuola mi dedicassi costantemente all'arte di impreziosire il diario con disegnini vari. Ho capito dopo il liceo cosa significassero studiare con interesse, perché avevo scelto io cosa studiare, finalmente libera da vincoli e pressioni.
Tutti, o quasi, ricordano con nostalgia il periodo del liceo, per me invece è stato un periodo terribile, che non vedevo l'ora che finisse. Il periodo dell'università è stato fantastico, adoravo quegli studi, quelle lezioni, il fatto di potermi gestire a piacimento i tempi di studio: non essere obbligata a prepararmi tutti i giorni ma poter fare di testa mia... ed ecco che alternavo periodi di garbato e non troppo palese cazzeggio con fasi di "studio matto e disperatissimo ", ma funzionava! Finalmente riuscivo a rendere bene, ottenendo voti ai quali i miei guardavano con stupore!
La mia carriera liceale, sia pur in uno dei licei classici più tosti di Napoli, era stata decisamente mediocre, ero uscita quasi col punteggio minimo, impiegando un anno in più. Il fatto di riuscire, e bene, all'università era un fatto che quasi sconcertava i miei genitori.
In verità, avrebbero preferito che io avessi scelto Medicina, come mio padre, che mi avrebbe lasciato una clientela pazzesca; mia madre sarebbe stata propensa anche a Giurisprudenza, considerata un passe partout con molti sbocchi lavorativi. Nessuno dei due avrebbe mai optato per Lettere, soprattutto mia madre che aveva scelto quel corso di studi perché, ai suoi tempi, garantiva una rapida stabilizzazione lavorativa.
La mia scelta alla fine del liceo fu l'equivalente di un'esplosione nucleare, ma io fui tosta, determinata: volevo fare Lettere, perché volevo insegnare.
Non permisi a nessuno di intralciare la mia scelta, anche se devo dire che i miei non avevano molta fiducia su una positiva evoluzione della vicenda.
Ricordo che quando iniziavano ad arrivare i voti, mio padre era stupefatto, mentre mia madre taceva, sorniona, non lodandomi perché considerava normale che fosse così ( evidentemente aveva dimenticato lo strazio del liceo). I primi mesi la sentivo dire alle sue amiche che non era contenta della mia scelta, che avrebbe preferito un altro tipo di facoltà: io ci rimasi di merda, la affrontai e le spiegai che, mentre lei aveva scelto Lettere per ripiego, perché costretta da esigenze di vita, io avevo scelto Lettere per passione, perché mi piaceva: doveva farsene una ragione, io non avrei cambiato idea...
Ora che ho figli, capisco quanto sia difficile accettare un'altra mentalità negli altri, soprattutto nei propri figli, che spesso tendiamo a vedere come dei nostri cloni, prosecuzioni del nostro ego. Non è così, ognuno deve seguire le proprie inclinazioni, sia pur con buon senso, ognuno dovrebbe essere realizzato nella propria attività lavorativa. Mi rendo conto che è un'utopia, ma a volte si realizza!
Certo, avrei preferito la carriera accademica, sicuramente più prestigiosa, ma la soddisfazione quando un'alunna capisce qualcosa è ENORME (la differenza fra subordinate implicite ed esplicite, ad esempio...).
E poi, mi gratifica anche vedere i miglioramenti degli alunni; chi più, chi meno, tutti progrediscono. E perché questo accada è fondamentale che i ragazzi siano motivati.
L'anno scorso avevo un'alunna che ho soprannominato "il mio manga" personale, sembrava un fumetto: per come si muoveva, per come parlava, per l'abbigliamento psichedelico; Emanuela era molto chiacchierona e svogliata, con un linguaggio assai pittoresco, ma mi faceva morire dal ridere per le espressioni con cui se ne usciva. Spesso non faceva i compiti, non era certo l'alunna ideale, aveva delle concezioni del bene e del male alquanto soggettive, ma quando si rivolgeva a me sembrava un cucciolotto che volesse essere guidato. Ebbene, nonostante con altre persone, docenti e non, avesse un comportamento spesso sfrontato, non mi ha mai mancato di rispetto ed aveva bisogno di essere spronata, di essere supportata. Mi ripeteva sempre -Io sono scema-, ed io a farle cazziatoni e a dirle che no, non era scema per niente, solo che non aveva voglia di fare le cose perché preferiva pensare ad altro. -Non ti romperei le scatole se tu non fossi in grado, Emanuela!-, questo era il leit motiv delle nostre mattinate: poi la guardavo, fissamente, le dicevo di fare la brava e le sorridevo; e lei -Va bene, prof!-
Ecco, lei è una di quelle che mi manca di più, assolutamente non alunna modello ma... c'era del bene fra noi.
Quando sono andata via ed ho salutato sua madre, le ho chiesto di non essere troppo severa con la figlia, perché era una brava ragazza, nonostante fosse una pasticciona e combinasse guai in continuazione... ci siamo messe a piangere come due deficienti!
Credo sia stata una di quelle che ha risentito maggiormente del mio trasferimento, su fb mi ha mandato tanti messaggi ed ogni volta le ho risposto che doveva pensare solo al fatto che il bene non finisce se non ci si vede più come prima, il bene resta sempre, magari si modifica, ma certe cose non si dimenticano...
Ecco, io spero che chi sia arrivata dopo di me sia stata in grado di spronarla a dare il meglio di sè.