Quinta Seduta

16 3 0
                                    

Adam é uno studente di San Diego di 25 anni, un bel ragazzo alto e impostato dai capelli scombinati, moro con occhi verdi. Impegnato nel sociale ogni settimana come volontario in una casa di riposo di Boston. Prende il treno ogni venerdi da New York (dove studia all'Accademia di musica e teatro) per aiutare e far compagnia a quei poveri vecchietti lasciati soli dalle famiglie che non vogliono piú prendersi cura di loro. É Il maggiore di due figli, suo fratello Liam di 14 anni frequenta la high school anche se é un genio della matematica e della tecnologia. I genitori vivono insieme a Liam a San Diego, suo padre, Il Signor Arthur Brown, é messo bene essendo proprietario di una fabbrica metalmeccanica; sua madre,la Signora Maggie Brown, fa la casalinga. Fidanzato da 2 anni con Claire, a suo dire la ragazza migliore del mondo ma che non si é fatta mai viva da quando Adam era bloccato su un lettino d'ospedale.

Ogni mercoledì pomeriggio andavo al Memorial Hospital per la seduta settimanale con Adam. Era il 25 Settembre e quella fu la quinta seduta dall'inizio della terapia. E come tutte le altre fu come tentare di acchiappare il vento a mani nude.

Arrivai alla solita struttura maestosa e allo stesso tempo inquietante. Gli ospedali non mi hanno mai fatto un buon effetto. Parcheggiai con difficoltà la mia Renault 206 mezza pericolante,scesi dalla macchina,presi la mia valigetta e la chiusi. Subito mi avviai verso l'entrata, diretto al Reparto Terapia Intensiva al primo piano. Trovai l'ascensore aperto e fui temtato ad usarlo ma me ne pentii subito, non ero così pigro da evitare le scale per un singolo piano. Percorrendo il lungo corridoio, ovunque io mi voltassi trovavo qualcuno che stava male, di certo non potevo aspettarmi altro da un reparto di terapia intensiva, ma subito mi colpì l'immagine di una bambina che sorrideva, sorrideva così tanto nonostante la sua malattia che riusciva a rallegrare il cuore dalla tristezza di quelle mura giallastre. Riflettei. C'era chi aveva tutto ma in realtà non aveva nulla e chi come quella bambina, era privo di qualsiasi cosa ma in realtà aveva l'unica cosa che contava. L'amore.

Arrivai alla camera 09 e come al solito trovai Adam immobile, insieme alla madre che si prendeva cura di lui con gli occhi gonfi di lacrime. Tolsi la giacca,la appesi e misi la solita sedia accanto al lettino, presi dalla valigetta il mio block notes per prendere appunti e dopo essermi seduto e aver preso un lungo respiro per spronarmi, chiesi:

<<Buongiorno Adam, come ti senti oggi?>>

<<Sono nella stessa identica posizione da cinque settimane. Mia madre mi lava, mi cambia, mi pulisce e si cura di me e io non posso darle una carezza. Devo farla sforzare per abbassarsi affinche io possa darle almeno un bacio per ringraziarla. Mi sento un parassita>> mi rispose con tono tranquillo ma con disprezzo.

<<Capisco la tua rabbia, Adam, io sono qui per aiutarti. Se riuscissimo ad andare avanti con la tua storia ci aiuteremmo a vicenda. Sono convinto che la tua paralisi sia dovuta a questo trauma psicologico e che quindi sia temporanea. Fai un piccolo sforzo, cerca di non reprimere nulla e non temere di essere giudicato perché qui siamo io e tu, questo è il mio lavoro e sono obbligato alla segretezza professionale ma se vuoi, posso anche essere tuo amico e confidente se solo me ne dassi la possibilità. Allora, cominciamo?>>

Con queste mie parole cercai di confortarlo e ci riuscii. Mi fece cenno con il capo e gli chiesi:
<<cosa ti é successo, Adam?>>

<<Era buio fuori, così buio che non si riusciva a veder nemmeno una stella. In giro non c'era anima viva, solamente un paio di vecchietti allo storico "Violet Bar" di vecchia data, ed un paio di lampioni per non farti aver paura di fare quattro passi in compagnia la sera. Era quello che decisi di fare quella notte, ma da solo, ma se avessi saputo ció che mi sarebbe accaduto e in quale guaio mi avrebbe cacciato il fato, sarei rimasto sicuramente nel mio piccolo monolocale a bere cioccolata calda con la persona che amo di piú al mondo, Claire. Se solo potessi tornare indietro Dottor Kent...>>

Mi raccontó il solito prologo e come sempre si fermò a questo punto della storia

che mi suonava sempre piú strana e ambigua.
Non uscì piú una parola dalla sua bocca.

<<Devi dirmi tutto Adam,altrimenti non supererai mai questo dolore. Non vedi cosa comporta un trauma psicologico? Devi riuscire ad esternare ciò che con forza reprimi nella tua mente e non hai il coraggio di raccontare, altrimenti sarai costretto in questo lettino per molto altro tempo ancora. Se non vuoi farlo per te, ti prego, fallo per Claire>>

Quello fu il momento peggiore di tutte le sedute. Adam scoppiò in un pianto ininterrotto e inconsolabile. Erano settimane che ci lavoravo e fu davvero il caso piú difficile di cui mi sia mai occupato. Povero ragazzo, mi faceva una gran pena paralizzato su quel lettino senza poter asciugare le lacrime con le sue stesse mani.

Sul mio block notes presi i miei soliti appunti, non avevo il coraggio di fare altre domande ancora a quel povero ragazzo straziato dal dolore, ma avevo un dovere da svolgere e con rammarico chiesi:
<<Adam, posso sapere il cognome di Claire?>>

<<Johnson>> rispose.

Fu un appunto in piú su cui far ricerca il resto della settimana. Chiusi il mio block notes, lo riposi nella valigetta, indossai la mia giacca e dissi:

<<Grazie per avermi donato il tuo tempo,Adam>>.

Nell'avviarmi all'uscita la voce di Adam mi fermò dicendomi:

<<Grazie Dottor Kent>>.
Lo guardai sorridendo, capii che nonostante tutto si fidava di me e questo fu un motivo d'orgoglio. Stavo svolgendo bene il mio lavoro.
Mentre percorrevo il corridoio sentii afferrare il mio braccio da una piccola mano ma con una stretta solidissima. Era la Signora Bown, la madre di Adam, che in preda al panico cercava da me un conforto, un sostegno morale:
<<Adam non merita tutto questo, é così giovane e bello! Ha tutta la vita davanti a se e un milione di cose da scoprire ed esperienze da fare! Lui balla, canta e recita da dio, il suo destino non puó essere questo, non deve essere questo!>> mi disse trattenedo invano le lacrime.
<<Ho bisogno di elementi, Signora Brown. Se lei é a conoscenza di qualche dettaglio anche misero, un piccolo avvenimento fuori dalla norma la prego di dirmi tutto ciò che sa perché devo creare un percorso di guarigione psicologica e mi serve conoscere il paziente. Se lei é d'accordo, ovviamente.>>
<<Non lo chieda nemmeno Dottor Kent, farei qualsiasi cosa per veder di nuovo ballare il mio bambino...>>
<<Lei sa dirmi qualcosa in più sulla sua paralisi?>>
<<beh,io... Non so dirle nulla. Andai a New York per vedere il primo spettacolo di mio figlio. Non so descriverle che talento sia, la sua bravura non riesco a quantificarla. Mi sento una madre fortunata, ho creato due geni opposti, non mi sono fatta mancare nulla. Quella sera, Adam fu scelto come protagonista per l'opera "Hamlet" e ne fu degno dalla prima all'ultima scena. Non le dico gli applausi infiniti a fine spettacolo, una standing ovation solo per lui. Decise di andare a festeggiare la prima con gli altri artisti e......>> le gambe non ressero piú il suo corpo sciupato dal dolore e la Signora Brown cadde a terra.
Tutti accorsero per aiutarla portandola nella stanza di Adam dove c'era un lettino libero. La adagiarono lentamente e gli infermieri si presero in un lampo cura di lei. Non avrebbe terminato la sua storia quel giorno, ma ero sicuro che da li a poco ne avrei saputo di piú, era solo questione di tempo.

Ero invaso da mille pensieri.
Ero sicuro che con quel cognome e con qualche ricerca sarei riuscito a scoprire molto di più di questa storia, il mio sesto senso non sbagliava mai di solito e sentivo che c'era qualcosa che non andava.

"Come poteva una ragazza con cui hai condiviso due anni della tua vita, non farsi viva per piú di un mese? Cosa significava il "Bar Violet" e come mai lo nominava sempre? E l'Accademia puó avere qualche ruolo in questa storia?"

Queste domande mi tormentarono per il resto della giornata, non vedevo l'ora di tornare a casa per fare qualche ricerca. Volevo e dovevo uscirne fuori, venirne a capo.

L'oscurità della mente Where stories live. Discover now