In riva al mare un oceano e il pescatore

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In riva al mare il tempo sembrava eterno, o forse scandito da brezze leggere che facevano ondeggiare chiome in lontananza, verde scuro.
In riva al mare il tempo arrivava e svaniva come un'onda rumoreggiante, poca schiuma, leggero movimento, sposta e riporta sabbia bagnata nei luoghi della propria esistenza immobile. Quella spiaggia era tormentata e incerta: le imponenti montagne innevate a collegare l'acqua al cielo, le folte chiome sempreverdi, i leggeri rimasugli di freddo sotto forma di neve.
In riva al mare il pescatore contava il tempo da solo; e allora tempo immobile, tempo fugace, l'uomo soverchiava la natura e imponeva al tempo un ritmo. Avrebbe fatto tante cose, il tempo, ma in un solo secondo... non c'era tempo. Il pescatore aspettava da anni un pesce che continuava a stargli lontano. Non si sarebbe mosso da lì finché qualcosa non fosse caduto nella sua trappola. Stando fermo, a contare sempre i secondi, non aveva fame né sete. E non aveva chiuso occhio nemmeno per un riposino pomeridiano. Contava i secondi.
Secondo, secondo, secondo, secondo, secondo, secondo

Il tempo di dire secondo e già un altro scattava come una lepre, non aveva tempo per ragionare. E nemmeno pensava: vediamo di contare come mi insegnarono a scuola. Uno, due...
Affannato dalla frenesia di rispettare la schematizzazione imposta da se stesso del tempo, non aveva tempo di pensare a qualcosa all'infuori di secondo. Così era rimasto soggiogato dalla sua stessa idea.

Arrivò il giorno in cui la sua voce, stremata, non ce la fece più.
Il mutismo uccise una parte di lui, ma non si arrese: quella canna da pesca non era ancora tesa, era un'esca carnosa e succosa in un mare di pesci vegetariani. Da quel momento in poi dovette solamente pensare i secondi, come se secondo, secondo, secondo, fosse un mantra infinito. Pensarli ininterrottamente stroncava sul nascere altre elucubrazioni, anche se non ricordava nessun altro se non se stesso, null'altro se non ciò che i suoi occhi vedevano. Non collegava alcuna parola a un'immagine o a un'emozione, se non il secondo: battito cardiaco, capace di rimbombare nella cassa toracica per poi tornare indietro; suono ancestrale.

Passavano gli anni, il pescatore rimaneva tale e quale. Sentiva la durezza degli anni dentro, ma all'esterno il tempo pareva immobile, come ribelle alla coercizione dell'uomo.

C'era un sole bianco.

Stava perdendo le speranze, il pescatore. Aspettava da un secondo, ma pareva avesse perso tutta la vita.
Una folata di vento tormentò l'intero ambiente per qualche minuto, la forza della brezza era l'equivalente di uno schiaffo in pieno viso. Se ne andò all'improvviso, senza muovere più niente se non altre acque, altre foglie, in altri universi.
Svanito il vento, una nuova figura tappò il buco della sua assenza.

Il pescatore rimase impietrito da tale visione, tanto sbigottito da smettere di contare. Era così rosso in faccia da far pensare che il sangue gli sarebbe uscito attraverso ogni poro; i suoi occhi erano tanto stralunati che toccavano il sole bianco senza fare poi retromarcia.
L'effetto del tempo liberato dalla prigionia fece tutto quello che doveva fare in un attimo: burrasca, il sole cambiava da bianco a giallo canarino, poi di nuovo bianco; uno scorcio di luna, un paio di stelle pulsanti; che caldo, che freddo; non c'erano più tanti alberi, la neve una volta sparita non tornò più. Il pescatore e la figura stavano ancora fermi, uno seduto sulla spiaggia, l'altro ritto in riva al mare.

Il tempo continuava a danzare, e poi a ridere, e poi a danzare, e a urlare di gioia, e ancora danza, un altro passo, un'altra risata. Nel viso del pescatore si formarono d'incanto una moltitudine di rughe, gli occhi si richiusero su se stessi come paurose tartarughe, prima gli caddero i tre quarti dei capelli, poi il resto divenne grigio e bianco. Le mani ancora salde e tenaci, reggenti la canna da pesca, diventarono grinzose e tozze.

- Chi sei?
La voce del pescatore sembrava un macchinario non oliato. Le sue labbra parevano sorprendersi nell'articolarsi in suoni comprensibili.
- Io sono quello che tu non hai mai visto – rispose la figura.
- Non mi ricordo nulla di quello che ho visto, dimenticherò forse anche quello che vedrò – il pescatore era sempre più spaesato.
- Non importa tutto quello che non sai. Posso essere quello che preferisci; se vuoi, un oceano. L'oceano sta al mare come un genitore grosso e dispotico sta al figlio. Ma quest'ultimo, dopo un po', diventerà grande e grosso. Il despotismo potrà anche ereditarlo, ma non è questo. Un mare non sarà mai un oceano, passerà la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua vita matura da piccolo insieme, una macchiolina.

Il pescatore trovò curioso come questa figura, per descriversi, parlasse dei suoi inferiori. Trovò negli angoli reconditi della sua mente un ricordo: gli umani non trovano altro modo per crearsi uno spazio se non ritagliarne quello di qualcun altro, per poi rovinargli i bordi di graffi finché l'invaso non dovrà potare di nuovo i suoi confini. E saranno quelli, i miseri confini, a delineare la vita dell'aggressore di spazi.

- Quindi vivrà sempre triste, il mare – al pescatore doleva il cuore per tale rivelazione.
- Non lo so, e figurati se mi interessa. Io sono un oceano, mica un mare.
- Sarà sempre triste.
- Ne sei sicuro?
Il pescatore ignorò deliberatamente la domanda. – Se puoi essere quello che vuoi, diventa mare, così avremo la verità.
- Non posso diventare mare. Una volta oceano, non posso declassarmi in qualcosa di più piccolo. Tornassi come sono ora, gli altri oceani mi prenderebbero in giro, mi isolerebbero. Funziona così nel mio mondo.

La figura parlava con tranquillità, scandendo le parole con una lentezza altresì fastidiosa, e imprimendo in ogni lessema una grinta e una decisione senza motivo alcuno. Come se nel suo mondo l'unico sentimento dimostrabile fosse un digrigno di denti inequivocabile.
- Per favore. Sento che la mia vita stia svanendo. Prima di addormentarmi per sempre, dimmi come il mare viva le sue sventure.
- Sarebbe troppo per me...
- Ti offro tutto quello che vuoi. La mia vita, il mio tempo.
L'oceano, commosso, vide nel vecchio pescatore una luce di vita bramante, desiderosa. Egli, il più potente tra gli oceani, aveva diluito nell'acqua qualsiasi passione, poi le molecole idrogeno e ossigeno l'avevano decomposta e distrutta come una cellula cancerosa.

- Diventerò mare – si decise.
La trasformazione durò a lungo, ma il vecchio tenne le sue pupille guardinghe per tutto il tempo della metamorfosi; il tempo pareva di nuovo fermo, non una foglia deturpava la quiete delle grandi chiome.
Alla fine accadde. La figura, dapprima imponente, divenne un minuscolo puntino.

- Allora? Come ci si sente?
- Mi sento pieno, forse del nulla. È strano come si possa essere saturi dello spazio vuoto.
- Il pescatore era attonito. Non capiva il senso di quella frase, lui, che voleva solo semplici risposte.
- Non capisco proprio...
- Le mie acque sono così piccole, non sarò mai amico degli altri oceani come lo sono fra di loro. Non sarò mai amico dei pesci perché non gli basto. Sono calmo, le mie ondi non sono agitate, eppure i grandi oceani mi oscurano. Tu sai i nomi di tutti gli oceani a memoria, ora dimmi... puoi dire altrettanto per i mari? Ho così poca acqua, così poca, potrei facilmente esser bevuto da un oceano qualunque, accompagnato da dei biscotti. Eppure mi sento in qualche modo potente, in qualche modo una figura vera. Mi sento pieno del vuoto che potrebbe uccidermi.

Mi sento un po' più vivo.

Sento di poter sorridere. Le mie acque sono una voragine.

Sono felicissimo.

Pescatore, tu che hai aspettato tutta la vita, verrai ripagato. Anima in pena, senza tempo, alla fine lo hai ritrovato, il tempo.
- È proprio vero.
"uno, due, tre, quattro, cinque..."
Il pescatore trovò un altro barlume di ragione nella sua mente ormai in penombra. Come il ritaglio verde poco prima del tramonto, la sua mente si aprì rivelandosi a se stessa se stessa.
L'uomo è così, una volta immerso nella povertà ne esce lordo, sozzo. Anacronistico, inadeguato, uno scarafaggio in una casa signorile. Acquista però la durezza d'animo propria delle anime nobili, un luccichio negli occhi che assorbe tutto ciò che la terra aveva da emanare.
E cose da dire che non finiscono più. Nella melma si parla, parla, parla. Finché la voce non finisce. E quando finisce, c'è la mente, protetta dal mutismo.

Il pescatore respirò per l'ultima volta. Gli occhi vitrei riflettevano la luce del mare. Piano piano, come per magia, un pesce sbucò dall'acqua, intrappolato dall'amo. Si avvicinò sino a fermarsi ai piedi del pescatore deceduto, come se fosse trainato da una forza sovrannaturale.
Era un pesce bellissimo.
Mare guardava piangendo la scena.
Sarebbe rimasto mare tutta la vita.

In riva al mare un mare e il pescatore.

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