Voglio vederti stasera.Non aveva chiesto Posso? e nonaveva neanche scritto Vorrei, ma Voglio.Il suo messaggio era stato una sorpresa,ma decisamente piacevole. Mi eraarrivato venti minuti prima, ma ero alsupermercato a comprare qualcheschifezza golosa in previsione diospitare mio nipote per il weekend e nonme n'ero accorta perché avevo ilcellulare nella taschina esterna dellaborsa.Mentre ero in coda alla cassa digitaiuna risposta.Stasera non posso.Con mia ulteriore sorpresa, nellabarra in alto dell'app di messaggisticacomparve la dicitura Sta scrivendo...sotto il nome JohnSmith, lo pseudonimocon cui avevo memorizzato Esteban tra icontatti.Era insolito il fatto che avesse lettola mia risposta e mi stesse riscrivendoimmediatamente durante il finesettimana. I primi tempi ci scambiavamomessaggi nel cuore della notte, quasisempre tra l'una e le tre, quando la gentenormale dormiva; invece adesso ciscrivevamo più spesso nel primopomeriggio dei giorni feriali.Voglio vederti davvero tanto.Mi chiamò ancora prima che potessicomporre una risposta, e questo mi stupìulteriormente, perché Esteban non mitelefonava mai senza prima avermichiesto il permesso.«Che succede?» risposi. La donnache era davanti a me in fila si girò e milanciò un'occhiata incuriosita, per cuiabbassai la voce. «Tutto bene?»«Voglio vederti» insistette Esteban,senza rispondere alla mia domanda.«Possiamo incontrarci stasera?»«Ho...» M'interruppi, esitante. Io edEsteban non parlavamo della nostra vitaprivata. Ci dicevamo lo strettoindispensabile, senza approfondire.Parlavamo dei rispettivi lavori e anchedi sesso, ma il resto era avvolto dallanebbia dell'indeterminatezza, per tacitoaccordo. Avevo i miei buoni motivi perevitare di espormi troppo e avevosempre dato per scontato che ancheEsteban avesse le sue ragioni per nonparlarmi di sé. «Ho un impegno e nonposso annullarlo, scusa. Se me l'avessidetto prima...»«Non sapevo che sarei stato liberostasera» replicò, in tono deluso.I nostri incontri non erano maiscaturiti da decisioni prese all'ultimomomento, anche prima che ciaccordassimo su appuntamenti mensili.La sua improvvisa smania mi suscitò unacerta diffidenza. «Scusa, non pensavoche avresti voluto vedermi.»«Mi manchi.»Guardai con la coda dell'occhio ladonna davanti a me, che aveval'orecchio teso e stava chiaramenteascoltando quello che dicevo. «C'èqualcosa che non va?»«Niente. Mi sembri solo moltolontana» replicò Esteban, con voce piùcupa e calda. Avevo già notato che piùera turbato e più il suo accento spagnoloera forte, non solo nella pronuncia maanche nell'intonazione della frase, conpause significative tra una parola el'altra. «Ho bisogno di vederti.»Prima di Esteban c'erano stati altriuomini, più di quanti avessi voglia diricordare, non perché me nevergognassi, ma perché per la maggiorparte non ne era valsa la pena. Quandosi perde ciò che si ama prima di esserepronti a rinunciarvi, si finisce percercare una compensazione dovunque, eio avevo fatto parecchi tentativi a vuotoper trovare ciò che mi mancava primad'imbattermi nei messaggi rispettosi cheEsteban mi aveva scritto su un sitod'incontri tra dominatrici e succubi.Ormai ci scrivevamo da qualchesettimana e io gli avevo chiesto cosacercasse su quel sito, perché si fosseiscritto. Ho una smania inappagata, miaveva risposto. Ho continuamente famedi qualcosa che mi sfugge.Avevo capito cosa intendesse quandosi riferiva alla fame, al fatto che ci sipotesse ingozzare di qualcosa e provarecomunque un senso di vuoto perchél'appetito non era stato placato.Esteban mi piaceva, non potevo farciniente; era tenero, premuroso, simpaticoe intelligente, nonché sensibile. Mifaceva ridere e mi stimolava dal puntodi vista mentale, oltre a procurarmipiaceri intensi. Non parlavamo delsottile legame emotivo che si era creatotra noi perché non avrebbe dovutoesistere in un rapporto basatoesclusivamente su esigenze fisiche.«Non sono lontana, sono qui»sussurrai tenendo il cellulare tral'orecchio e la spalla mentre mettevo imiei acquisti sul nastro scorrevole allacassa, attenta a tenere la voce bassaperché non volevo dare spettacolo.«Però ora sono al supermercato, devochiudere. Puoi richiamarmi fra un'ora,così avrò più tempo di parlare?»Esteban sospirò rassegnato. «Dovròaspettare un'ora prima di farmiavvolgere dal miele caldo della tuavoce? E va bene, resisterò.»Chiusi la comunicazione, sconcertatadalla sua smania, e anche leggermentelusingata. Il miele caldo della tua voceera una figura retorica po' tropposdolcinata, letteralmente, ma avevariscaldato anche il mio ego...Lasciai a casa i sacchetti della spesaed ero appena risalita in macchina perrecarmi alla sinagoga quando suonò iltelefono e risposi con il vivavocedell'auto per poter guidare mentreparlavo.«Sei in macchina? Sento il rumore»mi chiese Esteban.«Sì.»«Allora vieni da me! Vediamoci!»esclamò subito, con foga.Non risposi immediatamente. Non erada lui essere tanto insistente; ildesiderio era sempre un afrodisiaco, manel nostro rapporto Esteban non miaveva mai detto cosa fare e non avevointenzione di cominciare apermetterglielo.«Zitto» replicai seccamente. «Ti hodetto che non posso. Ho da fare.»L'avevo sentito così tante voltetrasalire sommessamente per il mio tonoautoritario da riconoscere al volo la suareazione. Sicuramente aveva avutoun'erezione all'idea di avere suscitato lamia disapprovazione e di doverne subirele conseguenze.Non potevo fare a meno di essernesoddisfatta. Mi piaceva da moriresapere che fremeva dal timore e daldesiderio in quel momento.«Scusa» mormorò, immediatamentepiù remissivo.«Stai calmo» gli dissi in tono piùindulgente. «Mi fa piacere che tu vogliavedermi e, in altre circostanze, sareistata contenta d'incontrarti ma, come tiho detto, stasera non posso.»«Hai un appuntamento?»«La cosa non ti riguarda» ribatteidecisa, con maggiore durezza di quantovolessi. «Ho un impegno, e questo ètutto ciò che devi sapere.»«Lui farebbe per te tutto quello chefaccio io?»Non risposi subito, ma mi soffermaiad analizzare mentalmente la miareazione alle sue parole prima dilasciare che prendesse il sopravvento.Altri uomini avevano tentato dicostringermi a dare loro ciò chevolevano da me, che fosse di naturasessuale o affettiva, e dovevo sforzarmidi convincermi che Esteban non eracome gli altri e che me l'avevadimostrato ormai abbondantemente.Quando lo legavo avevo laresponsabilità di assicurarmi che nonprovasse fastidio o dolore oltre il limiteche era in grado di accettare esopportare. Avevo il controllo del suocorpo ma, sotto certi aspetti, mi avevaaffidato anche il suo cuore e avrebbedovuto essere mia premura mantenerlointatto, evitare che sanguinasse percolpa della mia incuria.«Non ho appuntamento con un uomo»precisai. Subito fece una risatinasollevata, che troncai subito,aggiungendo: «Ma anche se fosse, nonsono affari tuoi». Pensavo di averecapito perché si comportava in quelmodo, ma ciò non cambiava la dinamicadei nostri rapporti.«Scusami, non avrei dovutochiedertelo.» Mi parve di sentire unlieve tremito nella sua voce.«Cosa c'è che non va, tesoro?» glichiesi, cedendo alla tenerezza. «Che tisuccede?»Ero sola in macchina, ferma davantialla sinagoga, ma abbassai comunque lavoce, conferendo una nota intima a quelvezzeggiativo. Lo immaginai inginocchio, a occhi chiusi, proteso perappoggiare la guancia sul mio palmomentre gli accarezzavo i capelli morbidie la pelle calda, di una bella tintadorata.Lo udii trasalire di nuovosommessamente. «Mi manchi, tutto qui.Volevo vederti. So che non è il giornogiusto, ma avrei potuto organizzarmi.»Vidi le porte della sinagoga che siaprivano e le persone che sciamavanoverso il parcheggio. William stava perarrivare; dovevo tagliare la telefonata,perciò feci a Esteban una proposta cheero sicura avrebbe rifiutato. «Devoandare. Stasera non posso vederti, mapotremmo prendere un caffè insiemedomattina.»«Sì!» accettò lui subito, di slancio.«Mi farebbe molto piacere. Ho solovoglia di vederti.»Gli era successo qualcosa, mi dissi;ne ero sicura. «Alle nove e mezza alMorningstar Mocha. Sai dov'è?»«Sì. Grazie, mia signora.»Era strano sentirmi chiamare cosìfuori dalle quattro mura di una camerad'albergo, però mi provocò ugualmenteun brivido di piacere. «Devo pur farecontento il mio bimbo, no?»Appena pronunciai quella fraseallusiva, fui invasa dal gelo e poi daun'intensa vampata di calore al viso.Devo pur fare contenta la miabimba, no?Me lo diceva spesso George, ma allafine aveva fatto tutt'altro che pensarealla mia felicità.Esteban non notò il mio improvvisosilenzio perché stava ridendo per il miocommento e, quando rispose, la sua voceaveva un tono più normale. «Il tuobimbo muore dalla voglia di esseretoccato da te.»«Non potrò toccarti un granché nellacaffetteria» lo avvertii.«Mi basterà.»Vidi un altro gruppo di persone cheuscivano dalla sinagoga, ma Williamnon c'era. «Ora devo proprio andare. Civediamo domani.»Chiusi la comunicazione e cercai conlo sguardo mio nipote. Quando le portesi chiusero senza che lui fosse arrivato,scesi dalla macchina per andare acercarlo. Avevo dimenticato che ilsabato si recitava il Kiddush e venivaofferto il pranzo nella sala ricreativa.Quando vi entrai, vidi William cheparlava con il rabbino. Erano seduti a untavolo con due piatti pieni davanti aloro. Il rabbino gli disse qualcosa conaria seria, a cui William risposeannuendo, ma poi fece una risata e glidiede una pacca sulla spalla.«Ciao, William» dissi, rendendomiconto che ero in jeans e canottiera edero a testa scoperta, anche se in quellasinagoga le donne dovevano coprirsi ilcapo solo quando leggevano la Torah.«Buongiorno, rabbino.»«Avevo dimenticato che sarestivenuta a prendermi» mi disse William.«Siediti e mangia qualcosa con noi»m'invitò il rabbino, indicando il tavolodel buffet.Quella mattina avevo mangiato solouna mela, perciò l'idea di un bageltostato con formaggio cremoso mi parveappetitosa. Però non volevo trattenermie mi sembrava maleducato approfittaredi un pranzo gratis, quando nonpartecipavo ai riti religiosi datantissimo tempo. Inoltre temevo che ilrabbino ne avrebbe approfittato perdomandarmi quando mi avrebbe rivistoin sinagoga, perciò scossi la testa.«Grazie, sto bene così.»«William mi ha detto che leggerai laTorah al suo Bar Mitzvah» disse ilrabbino mentre William mangiava gliultimi bocconi d'insalata di uova etonno.Annuì, fingendomi entusiasta.«Esatto.»«Ottimo! Abbiamo sempre bisogno dipersone che leggano la Torah.»Mi resi conto che era il momento didarmela a gambe prima che cominciassea fare allusioni sul fatto che avrei potutoprendere parte alla funzione del venerdìsera o a qualsiasi altra attività. «È statoun piacere rivederla, rabbino. William,dovremmo andare.»Salutammo e uscimmo. Saliti inmacchina, William si mise asghignazzare.«Cosa c'è?» gli chiesi, perplessa.«Avevi una faccia! Guardavi ilrabbino come se avessi paura che ticostringesse a leggere la Torah.»Scoppiai a ridere anch'io. «Ineffetti...» ammisi.«Ti capisco, è così noioso!»Non avevo nulla da obiettare e nonvolevo comportarmi da ipocrita con mionipote. «Stringi i denti, ancora qualchemese e poi è fatta.»«Non credo proprio. Mamma vuoleche continui il catechismo. Ha detto chela mia istruzione ebraica non finisce conil Bar Mitzvah» dichiarò lui, cupo.«Può sempre cambiare idea, che nesai? E tuo padre che dice?»William alzò gli occhi al cielo, comese la mia fosse stata una domandainutile. «Niente.»Evan non aveva proseguito ilcatechismo dopo il Bar Mitzvah, a cui siera preparato svogliatamente. Oraandava in sinagoga alle funzionireligiose solo per William, mentre Susanera più praticante.«Di solito sono le mamme a prenderedecisioni riguardo a queste cose, perciòparlane con lei. Non si sa mai, potrebbedarti ascolto.»«Tua madre dava ascolto a te?»obiettò William.Era una domanda legittima. «Disolito no» ammisi.William scoppiò a ridere e io mi uniialla sua risata. Accesi la radio e cimettemmo a cantare a squarciagolaquando sentimmo una canzone deiMetallica.Tutto sommato era una bella giornata,ma i momenti che trascorrevo conWilliam erano quasi sempre piacevoli inogni caso.  

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 28, 2017 ⏰

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