Giorno 5994

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Mi sveglio.
Devo immediatamente capire chi sono. E non mi riferisco solo al corpo. Non basta aprire gli occhi e scoprire se la carnagione del mio braccio è chiara o scura, se ho i capelli lunghi o corti, se sono grasso o magro, maschio o femmina, se ho cicatrice o una pelle liscia e vellutata. Il corpo è la cosa più semplice a cui adattarsi quando si è abituati ad averne uno nuovo a ogni risveglio. È la vita, il contesto attorno al corpo, che a volte è difficile comprendere.
Ogni giorno sono una persona diversa. Sono me stesso - so di essere me stesso - ma nello stesso tempo sono qualcun altro.
È sempre stato così.
Le informazioni di cui ho bisogno sono lì che mi aspettano. Mi sveglio, apro gli occhi, mi rendo conto che questo è un nuovo mattino, un nuovo posto. Ecco affiorare i dettagli biografici, un regalo di benvenuto da parte di quell'angolo della mente che non mi appartiene. Oggi sono Justin. Non so come, ma lo so. Mi chiamo Justin. Allo stesso tempo, però, so di non essere davvero Justin. Mi limiterò a prendere in prestito la sua vita per un giorno. Con un'occhiata capisco di trovarmi in camera sua. Questa è casa sua. La sveglia si disattiverà fra sette minuti.
Non sono mai la stessa persona due volte, ma in passato sono già stato un tipo simile a Justin: vestiti sparsi dappertutto; molti più videogiochi che libri. Justin dorme in boxer. Fuma, a giudicare dal sapore che ha in bocca, ma non tanto da desiderare una sigaretta appena sveglio.
"Buongiorno, Justin" dico per ascoltare il suono della sua voce. Basso. La voce nella mia mente è sempre diversa.
Justin non si prende molta cura di sé. Il cuoio capelluto prude. Gli occhi non vogliono saperne di restare aperti. Non ha dormito molto. Ho già la sensazione che questa giornata non mi piacerà.

Quando capito nel corpo di qualcuno che non mi va a genio, devo comunque rispettarlo, per quanto sia difficile. In passato ho rovinato la vita ad alcune persone, e ho scoperto che ogni errore commesso finisce per tormentarmi. Perciò cerco di fare attenzione.
Per esperienza posso dire che abito sempre individui della mia età. Non passo da un sedicenne a un sessantenne; al momento ci sono soltanto sedicenni. Non so di preciso come funziona, o perché. Ho smesso di domandarmelo da un bel pezzo. Non arriverò mai a capirlo, così come chiunque altro non capirà mai la propria vita. Insomma, dopo un po' non resta che accettare pacificamente che si esiste. Non c'è motivo di comprenderne la ragione. Si possono avere delle teorie, ma non si potrà mai contare su una prova concreta.
Ho accesso ai fatti, non ai sentimenti. So che questa è la stanza di Justin, mq non so se a lui piaccia. Ha in mente di uccidere i genitori nella camera qui accanto, o si sentirebbe perso se sua madre non entrasse come al solito per assicurarsi che sia sveglio? Proprio non posso dirlo. È come se una precisa parte di me andasse a sostituire quella stessa, precisa parte della persona in cui mi trovo. E anche se sono felice di poter continuare a ragionare con la mia mente, un indizio su come ragiona l'altro ogni tanto tornerebbe utile. Custodiamo tutti dei misteri, specie se ci guardiamo da dentro.
La sveglia finalmente si zittisce. Recupero una maglia e un paio di jeans, ma qualcosa mi dice che ho scelto la stessa maglia che Justin indossava ieri. Ne prendo un'altra. Porto i vestiti in bagno, e dopo la doccia mi vesto. I genitori di Justin sono in cucina. Non immaginano che qualcosa sia cambiato.

Sedici anni sono un bel po' di tempo per fare pratica. Di regola non commetto errori. Non più.

È facile decifrare i suoi genitori. Di mattina Justin non parla molto, quindi non sono tenuto a farlo. Ormai sono diventato piuttosto bravo a intuire le aspettative o l'indifferenza altrui. Butto giù un paio di cucchiaiate di cereali, abbandono la tazza nel lavello senza risciacquarla, recupero le chiavi dell'auto di Justin ed esco.
Ieri ero una ragazza di una città a due ore da qui; il giorno prima un ragazzo a tre ore di distanza da lei.
Comincio già a dimenticare i dettagli delle loro vite.
Devo farlo, altrimenti non ricorderei chi sono davvero.
L'autoradio di Justin è sintonizzata su una pessima stazione che trasmette pessima musica, e i deejay fanno pessime battute nel tentativo di tirare mezzogiorno.
Non mi serve sapere altro, davvero. Accedo alla mente di Justin solo per capire come arrivare a scuola, dove parcheggiare, a quale armadietto andare. La combinazione. I nomi degli studenti che Justin riconosce nei corridoi.
A volte non riesco proprio a sostenerla, questa trafila: mi manca la voglia di andare a scuola e di capire come arrivare a sera. In quei casi dico che non mi sento bene e rimango a letto, a leggere un po'. Ma anche questa routine può diventare noiosa, e la prospettiva di una nuova scuola, di nuovi amici per un giorno, torna a intrigarmi. Per un giorno.
Sto prendendo i libri di Justin dall'armadietto quando avverto una presenza. Mi volto, e mi trovo davanti una ragazza trasparente: esitante e in attesa, nervosa e adorante. Non mi serve un accesso per sapere che si tratta della ragazza di Justin. Nessun altro reagirebbe così di fronte a lui. È carina, ma non se ne rende conto; nasconde il viso dietro i capelli, è un po' felice e un po' no di vedermi.
Si chiama Emma. E per un istante - la frazione di un secondo - penso di sì, è il nome appropriato. Non so perché. Non la conosco. Eppure mi sembra appropriato.
Non si tratta di un pensiero di Justin. È mio. Provo a ignorarlo. Non è con me che Emma vuole parlare.
"Ehi" dico con estrema disinvoltura.
"Ehi" mormora lei di rimando.
Tiene gli occhi bassi, sulle sue Converse: le ha personalizzate, disegnando tutto attorno alle suole il profilo di una città. Tra lei e Justin è successo qualcosa, ma non so bene cosa. Probabilmente qualcosa di cui Justin non si è neppure accorto.
"Tutto bene?" chiedo.
Per quanto si sforzi, Emma non riesce a mascherare il suo stupore. Non è una domanda che Justin le rivolge spesso.
Ma anche se è strano, voglio saperlo davvero. E il fatto che a Justin non interesserebbe, me lo fa desiderare ancora di più.
"Certo" dice lei, nient'affatto sicura.
Trovare il suo sguardo è difficile. Per esperienza so che ogni ragazza dall'aria qualunque custodisce dentro di sé una verità decisiva. Emma nasconde bene la propria, ma vorrebbe che io la notassi. O meglio, vorrebbe che Justin la notasse. Quella verità è lì, poco al di fuori della mia portata. Un suono che aspetta di farsi parola.
Emma è così triste che non si accorge nemmeno di quanto sia evidente la sua infelicità. La capisco - sì, per un momento ne ho la pretesa; poi però da dentro quella tristezza brilla un sorprendente lampo di determinazione. D'impavidità persino.
Leva gli occhi da terra e incrocia il mio sguardo.
Chiede:"Ce l'hai con me?"
Non mi viene in mente nessuna ragione per avercela con lei. Semmai ce l'ho con Justin che la tratta così. La mortificazione è evidentissima, il linguaggio corporeo di Emma non fa che sottolinearlo. Quando è in compagnia di Justin, questa ragazza rimpicciolisce.
"No" dico. "Per niente."
Le dico ciò che vuole sentire, ma non mi crede. Le offro le parole giuste, ma è sospettosa e teme che nascondono una minaccia.
Non sono affari miei. Lo so. Sono qui per un giorno. Non posso risolvere i problemi del fidanzato di chicchessia. Non dovrei alterare la vita di nessuno.
Mi volto, recupero i libri, chiudo l'armadietto. Emma non si muove, paralizzata dalla profonda, disperata solitudine di una pessima relazione.
"Hai ancora voglia di pranzare con me, oggi?" chiede.
Risponderle di no semplificherebbe le cose. Mi succede spesso: la vita dell'altra persona comincia a risucchiarmi, e io mi precipito nella direzione opposta.
Eppure c'è qualcosa in Emma - quella città sulle scarpe, quel lampo di determinazione, quell'inutile tristezza - che ha ormai acceso in me la voglia di scoprire quale sia la parola a cui darà forma quel suono, quando smetterà di essere soltanto un suono. Nel corso degli anni ho incontrato parecchie persone senza arrivare a conoscerle per davvero, e invece stamattina, in questo luogo, alla presenza di questa ragazza, avverto il più languido dei richiami: voglio sapere. E in un momento di debolezza o di audacia, decido di assecondare quel richiamo. Decido di saperne di più.
"Certo" dico. "Perfetto."
Ancora una volta decifrare Emma è un gioco da ragazzi. Sono stato troppo entusiasta.
"Può andare" aggiungo.
È sollevata. O quantomeno prova quel po' di sollievo che è disposta a concedersi. Una forma molto prudente di sollievo. Accedo in Justin, scopro che stanno insieme da un annetto buono. Nulla di più. Justin non ricorda date precise.
Emma mi prende per mano. È una sensazione davvero bella, e proprio non me l'aspettavo.
"Sono felice che tu non ce l'abbia con me" dice.
"Voglio solo che vada tutto bene." Annuisco. Se la vita mi ha insegnato qualcosa, è che il nostro unico desiderio è che cada tutto bene. Non ci spingiamo a immaginare qualcosa di fantastico, meraviglioso o strabiliante; ci accontentiamo di sperare che tutto vada bene perché, il più delle volte, quel bene è abbastanza.
La campanella della prima ora sta suonando.
"A dopo" dico.
È una promessa elementare, ma agli occhi di Emma rappresenta il mondo.

All'inizio era difficile vivere senza instaurare legami duraturi, e senza poter mai incidere sulla vita degli altri. Anni fa desideravo amicizia e intimità. Mi gettavo a capofitto nelle relazioni senza preoccuparmi di quanto in fretta, e drasticamente, si sarebbero poi concluse.
Prendevo sul personale la vita degli altri. M'illudevo che i loro amici potessero essere i miei, che i loro genitori potessero essere i miei. Ma dopo qualche tempo ho dovuto smetterla. Vivere così tante separazioni mi spezzava il cuore.
Sono un vagabondo, e anche se la mia condizione comporta un certo grado di solitudine, mi regala un notevole senso di liberazione. Non sarò mai costretto a definire me stesso a partire da qualcun altro. Non soffrirò mai la pressione delle occhiate, il fardello delle aspettative dei genitori. Ai miei occhi ogni individuo si presenta come la parte di un tutto, e io posso concentrarmi su quel tutto meglio di chiunque altro. Non sono accecato dal passato, né motivato dal futuro. Mi concentro sul presente perché è la sola dimensione che sono destinato a vivere.
Imparo. Capita che m'insegnino qualcosa che mi è già stato insegnato dozzine di volte, ma capita anche che mi insegnino qualcosa di nuovo. Accedendo a un corpo, a una mente, scopro quali informazioni vi sono custodite, e quando lo faccio, imparo. La conoscenza è l'unica cosa che tengo con me quando vado via.
Conosco molte cose che Justin ignora, e che non imparerà mai. Mi siedo al suo banco per l'ora di matematica, apro il suo quaderno, scrivo alcune frasi che Justin non ha mai avuto occasione di ascoltare.
Shakespeare, Kerouac e Dickinson. Domani, un giorno o magari mai, Justin si troverà davanti queste parole scritte di suo pugno, e si domanderà da dove provengano, e di chi siano.
È l'unica interferenza che posso concedermi.
Tutto il resto dev'essere fatto senza lasciare tracce.

Emma è ancora con me. Alcuni suoi particolari, intendo. Brandelli della memoria di Justin. Piccole cose, come la piega naturale dei suoi capelli, quel modo di mangiarsi le unghie, la sua voce carica di determinazione e arrendevolezza. Dettagli casuali. La vedo ballare col nonno di Justin, che aveva chiesto di danzare con una bella ragazza; la vedo coprirsi gli occhi durante un film dell'orrore e sbirciare attraverso le dita per godersi la paura. Sono i ricordi belli. Non guardo gli altri.
Prima di pranzo m'imbatto in lei una sola volta. Un incontro frettoloso in corridoio, tra la prima e la seconda ora.

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Come continuerà?
Non vi basta che leggere il continuo. :)
Spero che la storia vi piaccia :)
Comunque ogni volta che scrivo 2000 parole fermo il capitolo.💘
(ora ho scritte 2002 parole del capitolo) :)
Mi raccomando... Fate i bravi! :)

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 20, 2017 ⏰

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